Avella e il suo anfiteatro, tra Neapolis e l’Irpinia

Avella e il suo anfiteatro, tra Neapolis e l’Irpinia

L’area archeologica dell’anfiteatro romano di Avella celebra la grandezza della città nel periodo romano, quale museo a cielo aperto e testimonianza dei fasti della Roma imperiale.

Il sito di Avella, ubicato nell’area della Bassa Irpinia, ai piedi del Parco Nazionale del Partenio, nella Valle del fiume Clanio, nasce come insediamento della “mesogaia” campana, ovvero al confine tra i centri indigeni della Campania antica e quelli costieri colonizzati dagli Eubei. Essa costituisce una delle realtà meno note e purtroppo pregiudicate dal punto di vista della ricerca archeologica, soprattutto a causa della sistematica opera di saccheggio subita dalle necropoli. Menzionata nell’esigua tradizione letteraria soprattutto per la produzione della nux abellana, la cui coltivazione costituisce ancora oggi la principale attività del territorio, Avella è citata da Virgilio nel libro VII dell’Eneide come malifera avella, cioè “ricca di mela” e come riferimento topografico per indicare il limite verso l’entroterra del regno di Ebalo, figlio del mitico Telon e della ninfa Sebeto.

La nascita dell’insediamento si inserisce nell’ambito di un fenomeno di riorganizzazione del popolamento indigeno prodottosi allorquando, con la fondazione di Cuma, si determinano nuovi equilibri nel controllo della pianura campana, sicché il mondo indigeno conosce trasformazioni politiche e sociali notevoli. Effetto di tali dinamiche è il consolidarsi di insediamenti di tipo accentrato in posizione periferica rispetto alla pianura, allo sbocco di itinerari naturali che conducono verso l’interno, come Suessula, Calatia e Nola.

La più antica documentazione proveniente dalle necropoli di Avella si colloca tra la fine dell’VIII e gli inizi del VII sec. a.C., mentre le tracce più risalenti di occupazione sono da porsi tra la fine del VI e la prima metà del V sec. a.C.; tuttavia, allo stato attuale delle conoscenze è molto difficile stabilire la cronologia del piano che ha improntato in modo definitivo la forma urbana, soprattutto perché gran parte dei resti dell’abitato giace al di sotto della città moderna che ne ha ereditato il nome.

Le testimonianze epigrafiche di Avella

Nelle straordinarie testimonianze epigrafiche in lingua osca provenienti da Avella, in primo luogo il Cippo Abellano, la comunità di Avella è rappresentata dal kvaistur Maio Vestirikio, personaggio connesso ad opere architettoniche di abbellimento urbano a carattere pubblico. Oltre a rivestire una notevole valenza sul versante della storia politica e delle istituzioni indigene della Campania nel momento della romanizzazione, ​queste epigrafi testimoniano un momento particolare della storia di Abella, in cui si è pienamente affermato il modello urbano e in cui è l’oligarchia cittadina a porsi come soggetto politico nelle opere di ridefinizione territoriale e di rinnovamento urbanistico. Un’ulteriore tappa dello sviluppo urbano è da individuare nel periodo post-sillano, in correlazione probabilmente alla deduzione di una colonia: la città era caduta verosimilmente sotto il controllo romano all’indomani della seconda guerra ​sannitica ed è alla temperie politica legata a tali eventi che la storiografia attuale collega la formazione della tradizione letteraria che, attraverso il riconoscimento di una comune origine greca, tende a creare una saldatura politica tra i centri dell’entroterra e Neapolis. In tal senso andrebbe letta la notizia sull’origine calcidese di Abella e di Nola risalente a Pompeo Trogo e riportata da Giustino. Nel corso delle guerre sociali, Avella rimase fedele a Roma e per tale motivo nell’87 a.C. fu incendiata dai Sanniti di Nola.

L’area archeologica dell’anfiteatro romano

Intervento più significativo della tarda repubblica (I sec. a.C.) è l’edificazione dell’anfiteatro, più antico del Colosseo di Roma (costruito nel 72 d.C.), inscritto in modo organico nella maglia urbana, sfruttando il naturale dislivello esistente in senso nord-sud; esso è realizzato in opera reticolata e poggia sulla cinta di fortificazione, come quello lievemente più antico di Pompei. Situato all’estremità del decumano maior, dunque nel settore sud-orientale della città antica, esso costituisce l’opera architettonica di epoca romana più importante della città. Solo la parte meridionale poggia su grosse costruzioni a volta, mentre l’arena si trova sotto il livello circostante. Le prime due cavee, inferiore e centrale, sono ancora visibili con alcuni sedili in tufo; mentre della summa cavea restano poche tracce. All’arena si accedeva attraverso due porte: la porta triumphalis e la porta libitinensis. Sono, inoltre, ben conservati i due vomitorii principali nell’asse maggiore dell’ellisse (itinera magna) con ambienti laterali e il podio, che divideva la curva dall’arena.

L’anfiteatro rappresenta oggi l’unico monumento pubblico portato alla luce, mentre ancora da chiarire è l’ubicazione di altri edifici come il teatro, la basilica e la piscina, noti esclusivamente attraverso le testimonianze epigrafiche. Che la città continuasse a vivere fino alla tarda antichità è testimoniato dalla documentazione funeraria, numismatica ed epigrafica; tuttavia, l’immagine che si propone per il IV sec. d.C. è quella di un centro in rovina. È probabile, pertanto, che l’occupazione della città nel periodo tardo-antico fosse ormai limitata ad alcune zone e che l’insediamento si fosse disgregato in piccoli nuclei.

 

[Immagine in evidenza tratta da wikipedia]

A proposito di Adele Migliozzi

Laureata in Filologia, letterature e civiltà del mondo antico, coltivo una grande passione per la scrittura e la comunicazione. Vivo in provincia di Caserta e sono annodata al mio paesello da un profondo legame, dedicandomi con un gruppo di amici alla ricerca, analisi e tutela degli antichi testi dialettali della tradizione locale.

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