Campi di internamento in Italia: la storia e le tipologie
Oltre Auschwitz: la realtà dei campi in Italia
Quando si parla di campi di concentramento, l’immaginario collettivo corre subito alla Germania nazista e ai nomi sinistri di Dachau o Auschwitz. In pochi sanno, però, che anche l’Italia ebbe la sua fitta rete di campi di internamento. Si trattava di strutture carcerarie, spesso ricavate da edifici inutilizzati come ville, fabbriche o create ex novo con baracche in luoghi isolati, destinate alla prigionia di individui considerati una minaccia per il regime. Pur con differenze sostanziali rispetto ai lager tedeschi, questi luoghi rappresentano una pagina oscura e complessa della nostra storia, il cui obiettivo primario non fu lo sterminio sistematico, ma il controllo, la repressione e la “purificazione” della società.
L’evoluzione storica: dal domicilio coatto all’internamento fascista
Sul territorio italiano, l’allontanamento di elementi sgraditi era una pratica consolidata. Già dal 1863, per contrastare il brigantaggio, si usava il domicilio coatto, uno strumento per deportare individui ritenuti pericolosi. Con le leggi fascistissime del 1926, questo strumento si evolse nel confino di polizia, usato sistematicamente contro gli oppositori politici. La vera svolta avvenne con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Dal 1940, il regime trasformò questa prassi nell’internamento civile, un provvedimento amministrativo di prevenzione che portò alla creazione di decine di campi di internamento in Italia. In queste strutture vennero rinchiusi dissidenti, popolazioni delle colonie e stranieri ritenuti nemici: ebrei, sloveni, croati, rom, greci e molti altri.
Le tipologie dei campi di internamento italiani
I campi sul suolo italiano, dislocati soprattutto nel centro-sud, non erano tutti uguali. Si distinguevano principalmente in due categorie, a seconda dell’autorità che li gestiva e della popolazione che vi era reclusa.
I campi per internati civili del Ministero dell’Interno
Questi campi erano destinati principalmente a internati civili di guerra, come ebrei stranieri e antifascisti. Le condizioni di vita, pur durissime, non prevedevano la violenza sistematica dei lager nazisti. Il più grande di questi fu quello di Ferramonti di Tarsia, in provincia di Cosenza. Qui, malgrado sovraffollamento, malnutrizione e malattie, la mortalità fu relativamente bassa e legata principalmente alle precarie condizioni igienico-sanitarie. All’interno si sviluppò persino una sorta di vita comunitaria, con scuole e sinagoghe improvvisate.
I campi del Regio Esercito per prigionieri di guerra
Ben diverse erano le condizioni nei campi gestiti dal Regio Esercito, che accoglievano prigionieri di guerra e deportati civili, soprattutto iugoslavi. Qui il regime di detenzione era estremamente rigido, simile a quello dei campi tedeschi, con un tasso di mortalità molto elevato. Il più noto fu il campo di Gonars, in provincia di Udine, dove in un solo anno morirono circa 400 prigionieri sloveni e croati a causa di fame, freddo e malattie. In questi casi, pur senza un piano di sterminio, le condizioni imposte portavano a una morte lenta e quasi certa.
I campi di smistamento della Repubblica Sociale: l’anticamera dei lager
Con la caduta di Mussolini nel 1943 e la nascita della Repubblica Sociale Italiana, la funzione di alcuni campi di internamento in Italia cambiò drasticamente. Divennero dei veri e propri campi di smistamento, o *Polizei- und Durchgangslager*, gestiti in collaborazione con i nazisti. Il loro unico scopo era radunare gli ebrei italiani e stranieri per poi consegnarli ai tedeschi, che li avrebbero deportati verso i campi di sterminio, principalmente Auschwitz. I più importanti furono quelli di Fossoli (Modena), da cui passò anche Primo Levi, Borgo San Dalmazzo (Cuneo) e Bolzano-Gries. A questi si aggiunge l’unico vero campo di sterminio italiano, la Risiera di San Sabba a Trieste, dotato di un forno crematorio.
La fine dei campi di internamento in Italia e la memoria costituzionale
Dopo la Liberazione, i campi di internamento civile vennero smantellati e non più ripristinati. L’esperienza tragica di quegli anni lasciò un segno profondo nella coscienza del paese, tanto che i padri costituenti vollero cancellare ogni traccia di quella giustizia sommaria. Nella Costituzione della Repubblica italiana del 1948, misure come il confino e l’internamento amministrativo vennero esplicitamente rimosse dal sistema penitenziario, sancendo il principio che nessuna persona può essere privata della libertà se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei casi previsti dalla legge. Una lezione nata dalle ceneri di una delle pagine più buie della nostra nazione.
Fonte immagine per l’articolo “Campi di internamento in Italia: dove sono?”: Campo di internamento di Ferramonti di Tarsia – Wikipedia