Cos’è il sionismo: fondatore, obiettivi e ideali

Cos'è il sionismo: fondatore, obiettivi e ideali

Il sionismo è una dottrina di stampo politico che mira all’affermazione del diritto all’autodeterminazione del popolo ebraico e incentiva lo sviluppo di uno Stato per gli ebrei. Ebbe origine negli ultimi anni dell’Ottocento, come risposta all’antisemitismo, entrando nella schiera dei nazionalismi moderni dell’epoca. In seguito il movimento sionista si articolò in varie forme, tra cui quella socialista, quella religiosa e quella più liberale. Sin dalla sua nascita il sionismo ha fornito supporto alle migrazioni nella Palestina ottomana allo scopo di incrementare la presenza di ebrei in quella zona. Dopo la seconda guerra mondiale, a causa dell’Olocausto, aumentò il sostegno al sionismo da parte dell’opinione pubblica e dei governi nazionali, tanto che si arrivò alla formazione dello Stato di Israele nel 1948.

Che cos’è il sionismo?

Con il termine sionismo si indica quel movimento politico e religioso che ha l’obiettivo di preservare, aumentare e diffondere il sentimento di appartenenza ad una cultura ebraica tramite la creazione di uno Stato ebraico.
Etimologicamente sionismo deriva da Sion, la collina di Gerusalemme dove sorge la parte più antica della città che simboleggia la Terra promessa. Lì forse è stato sepolto re Davide ed ogni fedele spera di farvi ritorno.
Nella carta costitutiva del sionismo, redatta a Basilea il 29 agosto 1897, se ne riscontra l’essenza: «ha per scopo di creare in Palestina una sede nazionale per il popolo ebraico garantita dal diritto pubblico».
Il sionismo ha le medesime linee guida che si riscontrano nelle forme di nazionalismo che hanno spopolato in Europa nella prima metà dell’Ottocento. La differenza sostanziale con il nazionalismo è che gli ebrei non vivevano in un territorio omogeneo, non avevano una loro nazione ma erano ospiti indesiderati di altri paesi (spesso dei paesi in cui prevaleva la religione cristiana).

Chi ha fondato il sionismo?

A fondare il sionismo fu il giornalista di origine ungherese, Theodor Herzl (1860-1904). Egli formulò i precetti teorici e politici del movimento, partendo dal presupposto principale dell’esistenza di un legame tra gli ebrei e la Terra Santa. Quattro sono i pilastri su cui si basa: l’esistenza di un popolo ebraico, l’impossibilità all’assimilazione nella società in cui si è disperso, il diritto del popolo ebraico alla «terra promessa» e la mancanza di un altro popolo che occupi questa terra.
Herzl, in seguito allo scalpore dell’affare Dreyfus e all’antisemitismo che divagava in Europa in quegli anni (alla fine dell’800), scrisse il libro manifesto del sionismo: Der Judenstaat (che tradotto significa Lo Stato ebraico). Nell’opera emerge l’unica soluzione ipotizzata da Herzl: «la creazione di una patria sicura per coloro che non possono e non vogliono assimilarsi».
La risonanza conquistata dal libro tra gli ebrei d’Europa consentì la formazione di un vero movimento sionista e il conseguente primo congresso mondiale sionista, tenutosi a Basilea dal 29 al 31 agosto 1897.

Gli obiettivi 

Nel corso del congresso di Basilea, i delegati delle comunità ebraiche riunitisi crearono le strutture dell’organizzazione sionista e delinearono un programma d’azione per il futuro. Un programma che doveva basarsi sull’unione di tre tendenze diverse: una pratica, una religiosa e una politica. La prima prevedeva la colonizzazione agricola della Palestina come strumento per rivendicare, in prospettiva futura, dei diritti su quel territorio; la seconda incoraggiava la rinascita dei valori culturali e religiosi dell’ebraismo; infine, la terza tendenza aveva l’obiettivo di ottenere una sorta di permesso delle grandi potenze mondiali per tutelare e autorizzare l’immigrazione ebrea in territorio palestinese.
Il piano politico formulato durante il congresso sposava la tesi del testo di Herzl di avanzare in direzione della formazione di uno stato ebraico, procedendo attraverso tre passaggi fondamentali:
– la nascita di una coscienza comune di stampo sionista all’interno delle comunità ebraiche sparse nel globo, ossia la consapevolezza che soltanto il formarsi di un loro stato può mettere fine alla «questione ebraica»;
– la creazione di istituzioni statali ebraiche in cui le libertà politiche del sistema liberale si possano fondere con i desideri di giustizia sociale tipici dei movimenti socialisti;
– la conquista del consenso delle grandi potenze mondiali che avrebbero dovuto svolgere la funzione di garanti per la genesi del nuovo stato ebraico indipendente.
In sintesi, il sionismo mirava a raggiungere i due obiettivi cardine del nazionalismo liberale, ovvero la liberazione e l’unità. Liberazione degli ebrei dalle vessazioni e dall’ostilità di cui erano vittime, ricomposizione dell’unità ebraica attraverso la riunione di tutti gli ebrei sparsi per il mondo.

Lo Stato di Israele e la guerra arabo-palestinese

Nella metà del Novecento, in Palestina si contano 1.846.000 abitanti di cui due terzi arabi e un terzo ebrei.
Gli inglesi rinunciarono alla Palestina nel maggio del 1947, annunciandone l’abbandono entro un anno. Il 15 maggio venne elaborato il Piano per la partizione della Palestina, riconosciuto e accettato ufficialmente il 29 novembre dello stesso anno dalle Nazioni Unite, che previde la divisione della Palestina occidentale in due stati: uno a maggioranza ebrea e l’altro a maggioranza araba; Gerusalemme, invece, passò sotto il controllo dell’ONU. Tra le due nuove entità statali sarebbe stato opportuno il formarsi di una collaborazione sia economica che commerciale per accorciare il gap economico tra le due aree ed evitare possibili attriti fra le due etnie.
La divisione della Palestina venne accettata dai principali gruppi sionisti, ma la rifiutarono sia i Paesi arabi che gli stessi arabo-palestinesi. Nonostante ciò, l’Agenzia ebraica (l’ente fondato nel 1922 dal movimento sionista per affiancare l’Inghilterra nell’amministrazione della Palestina) dichiarò l’indipendenza dello Stato di Israele. Questo evento fece scoppiare la guerra arabo-israeliana del 1948, in cui Siria, Iraq, Giordania ed Egitto attaccarono Israele, venendo però sconfitti. Nessun trattato di pace seguì la fine del conflitto. I risultati della guerra furono un’estensione territoriale di Israele superiore a quello assegnatole dalle Nazioni Unite, l’annessione da parte della Giordania della Cisgiordania e l’occupazione della Striscia di Gaza dell’Egitto. La città di Gerusalemme restò divisa fra Israele e Giordania. I Paesi arabi continuarono ad opporre un rifiuto al riconoscimento dello Stato di Israele, nonostante gran parte dei paesi del mondo (oltre alle Nazioni Unite) fece esattamente il contrario.

Il 23º Congresso sionista
Nel 1951 si tenne a Gerusalemme il 23º Congresso sionista, che si aprì di fronte alla tomba di Herzl (secondo il suo testamento, la tomba doveva essere trasferita da Vienna). Il piano d’azione deciso a Basilea fu portato a termine con la fondazione dello Stato di Israele, l’obiettivo che il sionismo si pose all’epoca è stato realizzato. Il congresso stilò dunque un nuovo programma che aveva come scopo il consolidamento di Israele come Stato. Inoltre venne approvato il riconoscimento da parte di Israele dell’Organizzazione sionista mondiale come organo rappresentativo del popolo ebraico nel campo della diaspora e della costruzione del nuovo Stato.
Già dal 1950, lo Stato di Israele aveva approvato la «legge del ritorno» che consentiva a qualunque ebreo di ritornare ad Israele e ricevere la cittadinanza.

Fonte immagine: Pixabay

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