Cos’è la delocalizzazione: tra opportunità e sfruttamento

Cos’è la delocalizzazione: tra opportunità e sfruttamento

La delocalizzazione è, come afferma Oxford Languages, «lo spostamento in altri Paesi di processi produttivi o fasi di lavorazione al fine di guadagnare competitività». Da sempre ha suscitato delle opinioni contrastanti dovute dalle considerazioni che si pongono su cos’è la delocalizzazione e ciò che ne comporta.

Ma cosa si intende con questo termine? Cos’è realmente la delocalizzazione? Con l’avvento della globalizzazione e del continuo espandersi dei mercati ha portato a dei forti cambiamenti dovuti dalle esigenze aziendali. Naturalmente il vantaggio che ne riceve l’azienda oltre ad essere il forte incremento che una piccola filiale in un nuovo paese potrebbe provocare nuovi acquirenti in nuove località del mondo. Naturalmente un ulteriore vantaggio che queste “piccole aziende” portano alla multinazionale è il costo inferiore, decisamente i fattori produttivi influenzano il costo della riuscita del progetto.
Oltre al facile accesso ai mercati, si ha che con la delocalizzazione della produzione le aziende hanno accesso anche a nuovo personale, il quale provenendo da altri paesi ha metodologie differenti e tecniche da poter implementare nella conoscenza del contesto e delle preferenze della clientela.

Che cos’è che la delocalizzazione? Cosa comporta?

Gli svantaggi sono dovuti spesso al fattore economico della grande azienda, oltre all’ingente numero di lavoratori che assume si ha una continua ricerca di mercato. La ricerca di mercato dovuta alla delocalizzazione naturalmente comporta allo stesso modo un trasferimento in nuove filiali per diminuire i costi di produzione e nuove domande di mercato.
Inoltre sono numerosi gli scandali nei quali differenti aziende hanno riscontrato l’accusa di sfruttamento di lavoratori o ambientale. Un chiaro esempio è la Shell nei territori nigeriani, con violazione del diritto internazionale. Dato che l’azienda ha una forte supervisione del mercato e allo stesso modo della clientela, che intacca la reputazione aziendale. Ma cos’è quella parte della delocalizzazione che intacca indirettamente il mercato? Il mercato e le varie strategie possono danneggiare la reputazione dell’azienda e cambia allo stesso modo la percezione che si ha di essa.
Senza dubbio un nuovo territorio, dei nuovi lavoratori implicano anche un forte distanza culturale e linguistica, non deve essere scontato il contrasto che si può avere con una cultura differente sull’ impatto aziendale.

Inevitabilmente la questione viene posta sul piano dell’azienda ed i paesi ospitanti, è effettivamente una situazione di subalternità? Alcuni esempi celebri sono la Nestlé nel periodo in cui la clientela era preoccupata a causa dell’utilizzo di olio di palma, oltre allo sfruttamento territoriale anche il consumo ha subito delle conseguenze negative; la Nestlé non ha mai fornito delle risposte, cancellava i commenti negativi dei consumatori sulle varie piattaforme social.
Ma cos’è che ha portato la delocalizzazione? Un comportamento denotato dai  consumatori i quali man mano hanno articolato delle accuse come “Green Washing” di cui sono state accusate numerose aziende, la prima è H&M che ha presentato la linea conscious con il motto «rispettosa dell’ambiente». Successivamente si è evidenziata l’ipocrisia di tale scelta aziendale partita proprio da una delle più grandi catene di produttori di fast-fashion.

La delocalizzazione ha dunque avuto i suoi forti effetti positivi sull’economia e sul capitale aziendale, allo stesso modo ha comportato numerosi svantaggi a chi ne usufruisce innescando dei processi economici che non sono del tutto positivi all’interno della società.

 

Fonte immagine: Freepik.com

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