La cosmologia egiziana e la cosmologia del mondo greco arcaico

La cosmologia egiziana e la cosmologia del mondo greco arcaico

In questo articolo prenderemo in considerazione la cosmologia cosmologia egiziana e quella del mondo greco arcaico.

Cosmologia egiziana: Principi e Concepimenti

La cosmologia egiziana si basava su coerenti principi scientifici e filosofici dell’universo come un tutto. Dobbiamo dire che la civiltà egiziana si basò sulla comprensione completa e precisa delle leggi universali. Questa tendenza alla comprensione profonda delle leggi universali si manifestò in un sistema concreto, coerente e correlato, dove arte, scienza, filosofia e religione erano intrecciate e impiegate simultaneamente in una singola ed organica unità. Le prime immagini dell’universo, a soli 300.000 anni dal Big Bang, confermano lo scenario del cosiddetto “universo piatto” descritto dal modello inflazionistico. Il moderno e sofisticato modello cosmologico descrive l’universo come un funambolo sapiente che resterà sempre in bilico sul filo che separa l’eterna espansione dal ripiegamento che porterebbe al collasso finale. Dobbiamo dire che stupisce molto scoprire il fatto che l’idea di equilibrio precario, ma non statico, che caratterizza il modello cosmologico moderno fu presente e dominò le concezioni egiziane dell’universo. È necessario parlare di concezioni dell’universo egiziane al plurale perché quello che ci è pervenuto non è un’unica concezione, ma molteplici concezioni. Esse sono il frutto delle domande e dei tentativi di risposta che uomini diversi in luoghi diversi, nell’arco di circa 3.000 anni, hanno formulato. Tutti questi modelli cosmologici egiziani (ovviamente non matematici) hanno tutti qualcosa in comune che li caratterizza: la consapevolezza della fragilità dell’ordine naturale. Infatti, nell’antico Egitto, la creazione dell’universo non è data una volta per tutte. Nelle cosmologie egiziane, il momento in cui l’universo è stato creato è indicato nei testi egizi come “la Prima Volta”. Tuttavia, per gli egizi, ogni attimo trascorso dopo il momento iniziale ripete la creazione e sottolinea la tensione perenne tra esistente e non esistente. In ognuna delle diverse cosmogonie che ci sono giunte, a partire dai testi incisi sulle piramidi nel III millennio a.C., la Prima Volta ha come scenario una distesa liquida illuminata immersa nelle tenebre. Tale distesa liquida prende il nome di Nun. Dobbiamo dire che le riflessioni egiziane attorno a questa entità (o a questo “stato” della materia) sono quanto di più simile ad una teoria scientifica e laica che l’antico Egitto abbia mai prodotto. Infatti, il Nun non diventò mai un’entità divina, ma fu il vero protagonista delle rare cosmologie egiziane.

Il Nun non è acqua, benché il termine si sia imparentato con la parola “flutti” e contrassegnato con il geroglifico caratteristico dei liquidi. Infatti, la lingua egiziana usò un altro simbolo per indicare l’acqua, visto che essa è uno degli elementi creati, mentre il Nun è anteriore. Inoltre, il Nun è “il non esistente” dal momento che in esso non vi è spazio né tempo e non vi è movimento; infatti, il non esistente per gli antichi egiziani non coincide con il nulla, ma con la materia sottratta alle leggi dell’universo spaziotemporale e aggregata in un’unità compatta costituita da materia ed energia. Per le cosmologie egiziane, tutto era già presente da sempre, ma in uno stato di sonnolenza. Questo era il quadro immobile del non tempo che precedette la Prima Volta, ovvero il momento in cui fu creato l’universo. Dobbiamo evidenziare che la natura dell’evento che interviene a spezzare la staticità di quell’equilibrio che precedeva la creazione è uno dei punti critici di tutte le cosmologie. Questo vale anche per le cosmologie egiziane che presentano lo stesso punto debole delle altre cosmologie. D’altra parte, questo è un problema, una domanda che non ha risposte chiare nemmeno nei modelli cosmologici moderni. Le cosmogonie riguardanti più strettamente la creazione della terra e degli uomini sono di vario tipo e sono comuni a moltissime culture. La concezione egiziana dell’universo era sostanzialmente molto simile a quella babilonese. L’universo era rappresentato come una scatola rettangolare con il lato maggiore diretto da nord a sud e con un fondo leggermente concavo al centro del quale si trovava l’Egitto. Il cielo era un soffitto piano o arcuato sostenuto da quattro colonne o picchi montuosi, e le stelle erano lampade appese al cielo per mezzo di funi. Attorno all’orlo della scatola correva un grande fiume sul quale navigava una barca che portava il Sole. Per gli antichi egizi, il Nilo era una diramazione di questa corrente. Ma quello che è veramente peculiare alla cultura egiziana, o che almeno essa espresse con straordinaria chiarezza e coerenza, è la convinzione che la creazione non era la trasformazione totale e irreversibile del non essere all’essere. Secondo la cosmologia egiziana, il mondo creato è solo una nicchia scavata nell’infinità del non essere, che proprio perché infinito, non può essere interamente trasformato. Di conseguenza, aldilà dell’essere del mondo creato e visibile, si estende senza fine la liquida distesa del non esistente, nel quale le leggi del cosmo cessano di essere valide; così come i loro dei erano destinati a incontrare la morte, allo stesso modo per gli antichi egiziani l’universo non durerà in eterno. Infatti, un giorno esso tornerà alla sua unità originaria.

La Cosmologia del Mondo Greco Arcaico: Miti e Modelli

Detto ciò, passiamo a considerare la cosmologia del mondo greco arcaico. Presso i Greci, la cosmogonia era congiunta, almeno nell’ambito dei miti, alla teogonia, dal momento che i Greci avevano una forte inclinazione a divinizzare gli elementi naturali. I primi Greci pensavano che la Terra fosse costituita da un disco circolare circondato dal grande Fiume Oceano in eterno corso e sormontato dalla conca emisferica del cielo. Nelle opere di Omero è presente chiaramente questo modello cosmologico. È molto probabile che esso sia stato accettato fino al VI secolo a.C.

Questa concezione del mondo pone immediatamente il problema di cosa accade alle stelle, al Sole e agli altri pianeti quando spariscono all’orizzonte occidentale. Anticamente, i Greci pensavano che tutti i corpi celesti, dopo aver compiuto il loro percorso sulla semisfera del cielo, si immergessero nei flutti di Oceano. Inoltre, secondo gli antichi Greci, i corpi celesti giravano in qualche modo intorno all’orizzonte verso nord, riapparendo più tardi ad est al momento del loro sorgere.

Anche per Omero, il mondo è piano, un disco circolare di terra circondato da un infinito Oceano. Il piano del mondo giaceva sulla cima di una montagna, dentro la quale, racchiusa dalla superficie della terra, si trovava la casa di Ade, ovvero il Tartaro, il regno dei morti e delle tenebre terne.

Secondo la cosmologia del mondo greco arcaico, il piatto della Terra era circondato dall’Oceano, e alla periferia di questo mare sorgeva la cupola fissa del cielo. Il Sole, la Luna e le stelle sorgevano dalle acque all’estremità della cupola. Tale cupola si spostava su un arco sopra la Terra e poi si immergeva ancora una volta nel mare per completare il suo corso dentro l’Oceano.

L’atmosfera sopra la montagna della Terra era spessa e nuvolosa, ma più in alto era rischiarata dalle stelle. Secondo quanto sta scritto nell’Iliade, la coppia primordiale sarebbe stata quella di Oceano (acqua) e Teti (Terra). Tale coppia primordiale avrebbe dato origine a Crono, Rea, Zeus ed Era.

A questo punto, riteniamo concluso il nostro discorso sulla cosmologia egiziana e del mondo greco arcaico. Entrambe le culture hanno cercato di spiegare l’origine e la natura dell’universo, e benché le loro idee siano state sostituite da teorie scientifiche moderne, esse rappresentano comunque un punto di partenza fondamentale nella storia del pensiero umano.

Prof. Giovanni Pellegrino

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