L’esilio di un Poeta: intervista a Fabrizio Bancale

Fabrizio Bancale

Il film documentario di Fabrizio Bancale sull’esilio di Dante

A settecento anni di distanza dalla morte di Dante Alighieri, il regista Fabrizio Bancale scrive e dirige il suo film documentario sull’esilio del Sommo Poeta durato per venti anni circa. Seguire il suo esilio ha significato riportare alla luce la bellezza non soltanto di alcuni capoluoghi di provincia, ma anche di piccoli borghi medievali, di boschi verdeggianti, castelli e monasteri nascosti nel nostro meraviglioso Paese. Un viaggio affidato alla voce, ai gesti ed alle facce di personaggi nomadi, un po’ bizzarri, che nella loro attualità si fanno specchio di un Dante senza fissa dimora.

Tra testimonianze, aneddoti e leggende, si apre una finestra su un passato importante ereditato dal nostro Paese e dalla nostra cultura. 

L’intervista a Fabrizio Bancale

Leggendo di cosa tratta il docu-film e guardando il trailer, mi sono chiesta: da dove nasce l’idea di parlare di Dante?

L’idea viene un po’ da sé: quest’anno cade il settecentesimo anniversario della morte di Dante e subito mi è venuta l’idea di fare un lavoro su di lui, per onorare questo passato così importante. Ho pensato non ad un documentario classico sulla scrittura o sulla poetica di Dante, ma su quella parte della sua vita meno conosciuta che sono gli oltre venti anni di esilio che aveva affrontato da quando era stato bandito da Firenze fino praticamente alla morte. Anche perché se da un lato conosciamo pochissimo da un punto di vista biografico se non leggende, notizie per sentito dire, notizie che si tramandano e qualche piccola notizia appresa dal suo primo più grande biografo, Boccaccio, dall’altra parte dal punto di vista letterario sono gli anni più importanti, perché è durante l’esilio che scrive quasi la totalità della sua opera. Quindi questo esilio è evidentemente qualcosa di fondamentale non solo per conoscere la sua biografia ma anche per capirne meglio l’opera, che nasce da tutti questi sentimenti chiaramente molto forti nati durante l’esilio: Dante si sente cacciato dalla propria città, si sente cacciato ingiustamente e cerca in tutti i modi di rientrare nella sua amata e odiata Firenze.

Che sono, poi, tutti spunti che si ritrovano nella sua opera…

Esattamente. Ed anche un po’ la sua “rabbia”, la sua acredine – che spesso Dante manifesta nei confronti del mondo, in maniera a volte più ironica altre volte più cattiva – secondo me nascono da questi sentimenti. Tra l’altro, durante i nostri studi classici l’esilio è sempre stato lui che andava presso le varie corti e che veniva accolto dal signorotto, ma in realtà io ho imparato a conoscere per bene il suo esilio ed è stato molto più duro di questo. È stato veramente un ramingo costretto a peregrinare, a scappare, a fuggire, condannato a morte per cui chi lo avesse ucciso non sarebbe neanche stato punito dalla legge, perciò doveva sempre guardarsi le spalle, non sapeva di chi fidarsi ed era spesso costretto a scappare di notte perché giungeva notizia che era ricercato. Quindi, una vita molto più avventurosa e dolorosa di quanto io e penso la maggior parte delle persone possiamo immaginare.

Fabrizio Bancale, più di quanto si studi nelle scuole o all’università, sì. E per quanto riguarda i luoghi che avete visitato, quali emozioni vi hanno suscitato?

Ecco, questo è l’altro tema portante del lavoro. Raccontare questi anni dell’esilio di Dante significa anche un po’ visitare e conoscere il nostro territorio, visto che lui ha veramente attraversato mezza Italia. Diventa un viaggio, quasi un veicolo per conoscere meglio alcune zone del nostro Paese. Io volontariamente non mi sono fermato solo sulle grandi città, abbiamo fatto un volo d’angelo chiaramente su Ravenna dove c’è la tomba, ma mi interessava di più andare a scoprire quei piccoli luoghi, quei piccoli borghi soprattutto medievali dove ci sono ancora i resti di castelli e monasteri, che oggi magari non sono al centro delle nostre mete turistiche ma che all’epoca avevano una grande importanza strategica e politica, perché erano le sedi dove di volta in volta Dante andava ospite.

Quindi soffermarsi proprio sul “Poeta esiliato” ai giorni nostro ha anche un po’ il senso di rivivere quei luoghi, di ridarne la giusta dignità e scoprirne la bellezza?

Assolutamente, è proprio quello: riscoprire la bellezza di luoghi che normalmente non andremmo a visitare. Scoprire la bellezza del Castello di Poppi o le cascate dell’Acqua Cheta, che sono dei luoghi veramente magici, è come stare in una macchina del tempo che porta a riscoprire un mondo diverso. Ed ogni volta sono andato a ripescare quei versi che Dante ha dedicato in gran parte nella Divina Commedia ma non solo, o addirittura dedicati a Dante da altri, ritrovandomi in luoghi senza tempo e senza spazio. Quindi non c’è bisogno di fare un film in costume perché il costume è dato dalle location, dove appunto basta aggiungere le terzine dantesche ed ecco diventato un film in costume senza esserlo.

A proposito di film in costume che, come ha detto lei, non è, mi fa pensare anche alla scelta dei personaggi. A parlare sono un clochard anziano, una coppia di musicisti di strada, una viaggiatrice amante del disegno ed un inquietante monaco spagnolo. Che cosa ha portato alla scelta di affidare a loro questo racconto?

Allora, la prima è stata una scelta prettamente drammaturgica, cioè io avevo bisogno di far rivivere i versi di Dante. Una volta che avevo raggiunto il luogo e avevo intervistato lo storico o la guida turistica di turno, mi servivano chiaramente le parole, la poesia di Dante. La prima scelta a cui ho immediatamente pensato è stata la voce narrante e come tutte le prime scelte l’ho accantonata, preferendo far rivivere questi versi attraverso dei personaggi che non sono del Trecento ma che sono dell’oggi, assolutamente attuali, personaggi che potremmo incontrare per strada noi e che al tempo stesso possono rievocare quella che è la figura di Dante in esilio. Quindi ho scelto dei personaggi che sono borderline: il senza fissa dimora per eccellenza, chi più di un clochard può essere vicino a Dante in esilio, chi più dei musicisti di strada che cambiano città ogni giorno per suonare i loro strumenti, chi più di una viaggiatrice che segue il sogno della bellezza con il suo pennello e le sue tele per dipingere, e chi più di un monaco che ha vissuto quella storia nei vari castelli e monasteri. Dei personaggi che sono dell’oggi ma che possono riportare alla memoria il Dante peregrino attraverso un’associazione di immagini quasi diretta. Alla fine il gioco è un continuo palleggio tra l’esilio di Dante e l’esilio di queste persone, di questi fantasmi perché se esistono o meno non è questo che ci interessa raccontare ma ci accompagnano con le loro voci, con i loro gesti e con le loro facce e rievocano come in uno specchio a settecento anni di distanza Dante.

Parla di un messaggio ancora vitale lasciato da Dante. Secondo Fabrizio Bancale qual è?

Se noi a distanza di settecento anni ancora leggiamo Dante è perché secondo me noi gli diamo ancora la capacità di dirci qualcosa, per tantissimi motivi. Ma quello su cui ho voluto io fare il focus è proprio la capacità di raccontare il nostro Paese: ci sono delle distinzioni di luogo, politiche, che sono ancora attuali, ma che messe in bocca ad un clochard di oggi, per esempio, non sembra la poesia recitata bensì sembra quasi quello che il clochard vive e vede. C’è una capacità di immediatezza nel descrivere il nostro Paese che è ancora attualissimo, quella capacità di raccontare al tempo stesso un’unità e contemporaneamente una frammentazione del nostro territorio, andando a parlare di faide, di fratture, di piccoli centri con guerre fratricide. Racconta a settecento anni di distanza con parole chiaramente diverse quella che è ancora la realtà di oggi.

Frattura che abbiamo sperimentato soprattutto in questo periodo storico. C’è stato il pensiero di creare un parallelismo tra questi due anni e l’esilio dantesco?

Ma sicuramente. Si parla di un’Italia non unita, sia dal punto di vista politico che linguistico, un Paese dilaniato dalle guerre, dalle lotte intestine. Con le dovute differenze, l’Italia di oggi non mi sembra che viva di una serenità o di un’unione tanto diversa. Insomma, quelle parole ci possono essere d’esempio.

Il film vanta già alcuni titoli ed iniziative importanti: è stato selezionato all’Italian Contemporary Film Festival ed è stato visibile fino al 24 ottobre sulla piattaforma dell’ICFF in tutto il Canada. In Italia è stato proiettato per la prima volta il 27 ottobre presso la sede della Società Dante Alighieri, da cui è stato prodotto. Grazie a Fabrizio Bancale per questa interessante intervista!

Il link del trailer del docufilm di Fabrizio Bancale: clicca qui

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A proposito di Francesca Hasson

Francesca Hasson nasce il 26 Marzo 1998 a Napoli. Nel 2017 consegue il diploma di maturità presso il liceo classico statale Adolfo Pansini (NA) e nel 2021 si laurea alla facoltà di Lettere Moderne presso la Federico II (NA). Specializzanda alla facoltà di "Discipline della musica e dello spettacolo. Storia e teoria" sempre presso l'università Federico II a Napoli, nutre una forte passione per l'arte in ogni sua forma, soprattutto per il teatro ed il cinema. Infatti, studia per otto anni alla "Palestra dell'attore" del Teatro Diana e successivamente si diletta in varie esperienze teatrali e comparse su alcuni set importanti. Fin da piccola carta e penna sono i suoi strumenti preferiti per potere parlare al mondo ed osservarlo. L'importanza della cultura è da sempre il suo focus principale: sostiene che la cultura sia ciò che ci salva e che soprattutto l'arte ci ricorda che siamo essere umani.

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