Alessitimia: quando “come stai” non è più “small talk”

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L’alessitimia è l’incapacità di dare nome alle emozioni. Quando qualcuno chiede come stai e l’altro risponde con un vago ed elusivo “bene” o un secco e scarno “male”. Ma cosa significa stare bene, stare male? Oppure cosa significa non stare proprio? Quante volte davanti a un come stai, diventa faticoso rispondere: frugare nei meandri della memoria, ripescare una sensazione, anche se datata ma che un po’ si avvicina al proprio stato d’animo, abbellirla, darle una parvenza di vissuto con un vocabolo di circostanza e stroncare ogni ulteriore investigazione introspettiva.

Un po’ per evitare di annoiare l’interlocutore, un po’ perché il “come stai” è diventato “com’è il tempo oggi”, un po’ perché a nessuno va sul serio di interrogarsi sulle proprie emozioni.

Ma sarebbe una svolta, una epifania lucida di ciò che funziona nella propria vita e ciò che invece andrebbe oliato meglio. Non installarsi in una condizione di alessitimia, dentro alcune parole vacue e preconfezionate ma sforzarsi di cercarne altre, più dettagliate, più esemplificative di come ci si sente. Bisognerebbe cominciare ad assumere una attenzione quasi maniacale per i propri stati d’animo, perché solo ritraendoli, vividi e corposi, si possono comprendere e attraversare.

Il ventaglio delle emozioni è sterminato e ciascuna declinabile in altre succursali e piccole riproduzioni. Proprio in questo orizzonte così allargato è complicato orientarsi e si preferisce sacrificare qualsiasi affondo emotivo per slogan collettivi, ma spersonalizzanti.

Diventa ancora più terribile intrattenersi con sensazioni negative: la tristezza, la rabbia, lo spaesamento derivato da un timore incerto e incontrollato, lo stordimento informe che ne viene fuori. Talvolta si tratta di stati d’animo sbalzanti che per essere metabolizzati necessitano di etichette, forme, contesti, confini. Ma il tramite è interiorizzare ogni momento e ammetterlo essenziale per carburare.

Per imparare a dare un nome a quello che si agita dentro un corpo vivo e pensante, bisogna prima maturare quell’agitazione e lasciare che si evolva e ispessisca, senza fretta di contenimenti.

Si è abituati a scalzare ogni emozione con l’ansia fagocitante di provarne altre ma da qui le lacune emotive. Come si fa a dire come si sta se non si ha il tempo di capirlo. È un cortocircuito. Per questo sarebbe più appagante scongiurare i bene e i male e addentrarsi in un reticolo più sottile di sfumature sensibili . Sarebbe dire “Come stai?”, e prendere tempo: “Aspetta che ci penso”.

Immagine: Ipsico

A proposito di Rita Salomone

Scrivo cose e parlo tanto. Mi piace Forrest Gump (anche se sono nata quattro anni dopo il film) e nel tempo libero studio filologia a Napoli. Bella storia la vita come scatola di cioccolatini.

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