La fascistizzazione delle Relazioni Internazionali, come funziona?

La fascistizzazione delle relazioni internazionali

Lo scoppio della guerra in Ucraina, culminato con l’aggressione da parte della Russia di Putin, ha rafforzato il processo di fascistizzazione delle relazioni internazionali. Tale concetto è stato elaborato dal filosofo Stefano G. Azzarà, allievo di Domenico Losurdo. Analizzando la guerra tra la NATO e la Russia per interposta Ucraina – così come viene definita dal filosofo –  Azzarà sostiene che, nella società internazionale, si assiste a un’escalation politica e ideologica che assume un carattere così fondamentalista e fanatico da trasformare il contenzioso materiale, ovvero il conflitto di interessi per il potere e le risorse, in uno scontro di civiltà e di fedi politiche.

Un mondo da amministrare

Per comprendere questo strumento ideologico, bisogna però partire dal “momento magnifico” vissuto dalla maggior parte degli Stati occidentali – con a capo, beninteso, gli USA – nel primo decennio successivo alla fine della Guerra Fredda. L’ingresso di decine di Stati nella famiglia dell’ordine internazionale liberale stava rivoluzionando la società internazionale, promuovendo un nuovo carattere di tipo amministrativo nella gestione delle relazioni internazionali da parte dell’egemone a stelle e strisce. Il collasso del potenziale nemico sovietico ha immediatamente congelato la società internazionale, elidendo il conflitto politico come principale strumento nella gestione della società internazionale. L’ordine internazionale andava semplicemente, da un lato, amministrato – soprattutto dal punto di vista economico e commerciale – e, dall’altro, difeso dalle potenziali minacce provenienti dai cosiddetti rogue states.

Quest’ultima dimensione diventa cruciale nella comprensione del processo di fascistizzazione delle relazioni internazionali. Tuttavia, per poterla assimilare in maniera chiara è necessario riprendere il noto politologo tedesco Carl Schmitt, secondo cui persino uno Stato e, a maggior ragione, un ordine globale orientato alla “pura” amministrazione e insofferente nei confronti delle identità ideologiche, culturali o religiose conosce almeno un possibile nemico: cioè colui che non crede a questo tipo di neutralità spirituale.

La fascistizzazione delle relazioni internazionali si inserisce, quindi, nel tentativo della potenza egemone statunitense di riportare l’ordine internazionale prodotto dalla fine della Guerra Fredda allo Stato di Natura. La democrazia liberale e la promessa dello sviluppo economico per mezzo del liberalismo sono divenuti meccanismi ideologici escludenti: qualsiasi attore internazionale (Iran, Iraq, Russia ecc.) che non si adegui ai principi democratici non rappresenta soltanto una minaccia per l’egemone, ma per la democrazia tout court: merita di essere eliminato, anche in via preventiva.

Gli uomini di stato devono preoccuparsi dell’interesse collettivo del quale sono incaricati ma non devono ignorare l’interesse delle altre collettività recitava il politologo francese Raymond Aron; da parte delle potenze occidentali, gli interessi delle altre collettività non vengono in alcun modo considerate quando sorge la necessità di difendere la propria Sicurezza. L’uso della forza, anche in maniera preventiva, viene utilizzata per difendere la Pace. Quest’ultima ha assunto una posizione particolare prendendo “gradualmente il posto delle idee di cristianità e di civiltà come valore centrale sulla base del quale giustificare, nello stesso tempo, l’esistenza di un ordinamento internazionale, la necessità di una sua espansione e il mantenimento della sua struttura gerarchica

La fascistizzazione delle relazioni internazionali come strumento ideologico

Il meccanismo ideologico della difesa della Pace e della democrazia, la descrizione dell’Altro come il Male assoluto, la strenua difesa a tutti i costi della propria posizione di potenza sono tutti componenti fondamentali di questo processo di fascistizzazione delle relazioni internazionali.

La chiara manifestazione di tale meccanismo risulta evidente nella graduale frammentazione dell’ONU e, a maggior ragione, nel depotenziamento di una grande conquista degli ultimi secoli: l’Assemblea Generale – organo fondamentale capace di comprendere tutti gli Stati facenti parte dell’Organizzazione, a prescindere dalla forma di governo di cui essi sono dotati.

Non a caso, Domenico Losurdo parla di Bonapartismo Planetario per designare il ruolo della potenza egemone statunitense nel dettare le regole del gioco. Venute meno le organizzazioni internazionali alternative (Patto di Varsavia, Comecon ecc.) e i forti partiti di massa, in riferimento alla Guerra del Golfo sostiene l’autore: “Bush si è presentato, secondo la definizione di organi di stampa compiacenti, come il «presidente del pianeta»: ottenuta l’investitura formale e plebiscitaria dell’ONU, egli ha potuto procedere senza impacci di alcun genere nella definizione dei tempi, modi e obiettivi della guerra da lui fermamente voluta.

Va inoltre aggiunto – sostiene Losurdo – il tentativo di “trasformare in modo definitivo l’ONU in uno strumento esplicito dell’egemonia dei paesi ricchi”, in modo che rifletta la distribuzione del reddito fra i paesi, facendo scaturire una “discriminazione censitaria”.

La postura bonapartista di certi attori internazionali risulta il diretto risultato della fascistizzazione delle relazioni internazionali, dove, per mezzo dell’uso della forza, Stati più poveri o non democratici vengono continuamente razzializzati, se non soggetti a nuove forme di imperialismo.

Che fare?

Il crescente disordine globale in cui la società internazionale è immersa negli ultimi decenni è pressoché la diretta conseguenza di due fenomeni, strettamente collegati alla fascistizzazione delle relazioni internazionali: il primo è il dominio senza egemonia degli USA, il secondo è la grande convergenza.

Classificare la fase di declino del potere statunitense come dominio senza egemonia è opera dell’economista italiano Giovanni Arrighi, il quale lo ricollega a ciò che Emmanuel Todd chiama micromilitarismo teatrale, ovvero gli sforzi perseguiti dall’esercito statunitense per sfuggire alla cosiddetta Sindrome del Vietnam. L’allargamento della NATO, l’aumento delle spese militari, sono le dirette conseguenze di un processo ben più importante che ci riporta al secondo aspetto prima citato.

La grande convergenza è il processo opposto alla grande divergenza di Pomeranz: il progressivo assottigliamento della distanza economica e industriale fra il nord e il sud del mondo.

La potenziale fioritura di un’egemonia in Asia orientale, unita alla progressiva caduta dei profitti accumulati in Occidente, è strettamente incatenata in un rapporto di causa-effetto con l’ascesa di Trump negli USA e con il programma ReArm Europe nel Vecchio Mondo.

Non possiamo sapere cosa accadrà, ma siamo certi di trovarci immersi in una fase di transizione, come afferma Giovanni Arrighi nel capolavoro Il lungo XX secolo:

Tutte le precedenti transizioni egemoniche si sono contraddistinte per lunghi periodi di caos sistemico, e questo rimane un possibile sbocco. Quale degli scenari futuri alternativi descritti nel Lungo XX secolo si realizzerà resta ancora una questione aperta, la cui soluzione sarà determinata dall’agire umano e dalle nostre azioni collettive.

Fonte immagine: Pixabay (jplenio: https://pixabay.com/it/photos/scacchi-strategia-impegnare-3801531/)

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