Le violenze sessuali nel dopoguerra giapponese: cos’è successo

Le violenze sessuali nel dopoguerra giapponese

È con la resa del 1945 che inizia un periodo importante per la storia giapponese, ovvero l’occupazione degli americani. Si tratta di un’occupazione del tutto pacifica, volta a “migliorare” le condizioni di vita in Giappone, soprattutto per quanto riguarda i diritti civili. Ma se da una parte l’intervento dello SCAP (Supreme Commander of the Allied Powers) ha portato dei risultati positivi, dall’altra, anche se ai soldati americani era stato ordinato di non creare disordini, ciò non accadde e le vittime principali di violenze sessuali nel dopoguerra giapponese furono le donne.

La resa del Giappone e l’inizio dell’occupazione alleata

Dopo la resa incondizionata del Giappone, il 15 agosto 1945, il paese fu posto sotto l’occupazione delle forze alleate, guidate principalmente dagli Stati Uniti. Il generale Douglas MacArthur, nominato Comandante Supremo delle Forze Alleate (SCAP), assunse il controllo del paese con l’obiettivo di smilitarizzarlo, democratizzarlo e ricostruirlo.

La paura delle violenze e la creazione dell’Associazione per le Attività Ricreative e il Divertimento

Per tentare di proteggere le donne giapponesi, per paura che gli americani si sarebbero comportati come fecero i giapponesi stessi in Cina (dove si erano verificati numerosi episodi di stupro di massa, come il Massacro di Nanchino), il governo creò l’Associazione per le Attività Ricreative e il Divertimento (RAA – Recreation and Amusement Association), una serie di case di tolleranza, in modo da poter esercitare liberamente l’attività di prostituzione. Di fatto, il governo giapponese, con la connivenza delle autorità di occupazione, organizzò un sistema di prostituzione forzata, reclutando donne, spesso con l’inganno, per “soddisfare” i bisogni dei soldati americani e, nelle intenzioni, limitare gli stupri indiscriminati.

Prostituzione forzata e la chiusura delle case di tolleranza

Alcuni studiosi, tra cui Terese Svoboda, notarono che questi bordelli riuscirono a sopprimere, o a limitare, i casi di violenza. Questi bordelli, tuttavia, furono costretti alla chiusura dopo pochi mesi a causa della diffusione delle malattie veneree tra i soldati, e di pari passo aumentarono in modo significativo le violenze sessuali.

I corsi di sopravvivenza per le donne giapponesi: una protezione illusoria

Dato il rapido crescere delle violenze sessuali, alle donne veniva consigliata l’iscrizione a corsi di sopravvivenza, all’interno dei quali veniva spiegato e insegnato loro come vestirsi, comportarsi e come difendersi durante gli attacchi: dovevano indossare abiti lunghi, vestirsi a più strati in modo da rendere difficile il “denudamento”, essere accompagnate sempre da figure maschili e urlare a squarciagola in caso di abusi per attirare il più possibile l’attenzione. Questi consigli riuscirono in qualche modo a proteggere le donne, ma non a fermare del tutto gli abusi.

Stupri e impunità: la difficile realtà delle vittime

Molti furono gli stupri e le violenze sessuali nel dopoguerra giapponese da parte dei soldati americani. Le vittime non potevano neanche ribellarsi o difendersi poiché non solo erano sovrastate dalla forza dei soldati, ma molte volte questi utilizzavano anche delle armi per costringerle.

La censura dello SCAP e l’invisibilità dei crimini

La maggior parte delle vittime non denunciava per paura, per vergogna, ma anche perché tutto il sistema burocratico e militare del Giappone dipendeva dallo SCAP, il quale il più delle volte insabbiava tutto con lo strumento della censura. Quando la stampa giapponese aveva provato a riportare tutti i casi di crimini e violenze sessuali da parte dei soldati alleati, lo SCAP aveva risposto prontamente con la censura, limitando non solo la condivisione di informazioni, ma nascondendo qualsiasi tipo di attività criminale degli alleati.

Il fallimento del corpo di vigilanza giapponese

Furono 1336 gli stupri documentati solo nei primi 10 giorni dell’occupazione della prefettura di Kanagawa, ma pochissimi i condannati. L’unico tentativo dei giapponesi di formare un corpo di vigilanza per proteggere le donne dai soldati fuori servizio fu affrontato dai soldati statunitensi con veicoli corazzati in formazione da battaglia: il leader del corpo di vigilanza venne catturato e imprigionato per lungo tempo. Quei pochi che invece riuscivano ad essere catturati, trovavano il favore dello SCAP anche a livello giuridico: nei processi, la donna era costretta a rivivere ciò che era accaduto e la sua testimonianza, talvolta, non veniva ritenuta sufficiente o veritiera.

Le conseguenze delle violenze sessuali nel dopoguerra giapponese

Le violenze sessuali perpetrate dai soldati americani sulle donne giapponesi hanno lasciato ferite profonde nella società nipponica, sia a livello individuale che collettivo. Oltre al trauma fisico e psicologico subito dalle vittime, si è creato un clima di paura e di sfiducia nei confronti delle forze di occupazione. La censura imposta dallo SCAP ha contribuito a nascondere la portata del fenomeno, impedendo una piena elaborazione del trauma e un’adeguata assistenza alle vittime.

Un tema ancora controverso: la ricerca della verità e della giustizia

Ancora oggi, a distanza di decenni, il tema delle violenze sessuali nel Giappone occupato rimane un argomento controverso e poco conosciuto. La ricerca storica su questo tema è ancora in corso, e solo negli ultimi anni si è iniziato a fare luce su questa pagina oscura della storia del dopoguerra giapponese, anche grazie alle testimonianze delle vittime che hanno trovato il coraggio di parlare. Portare alla luce questi crimini e riconoscere le sofferenze delle vittime è un passo fondamentale per la costruzione di una memoria storica completa e per la promozione di una cultura di pace e di rispetto dei diritti umani.

Fonte immagine in evidenza: Wikipedia

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