Le violenze sessuali nel dopoguerra giapponese: cos’è successo

Le violenze sessuali nel dopoguerra giapponese

È con la resa del 1945 che inizia un periodo importante per la storia giapponese, ovvero l’occupazione degli americani. Si tratta di un’occupazione del tutto pacifica, volta a “migliorare” le condizioni di vita in Giappone, soprattutto per quanto riguarda i diritti civili; ma se da una parte l’intervento dello SCAP (Supreme Commander of the Allied Powers) ha portato dei risultati positivi, dall’altra anche se ai soldati americani era stato ordinato di non creare disordini, ciò non accadde e le vittime principali di violenze sessuali nel dopoguerra giapponese furono le donne.

Protezione?

Per tentare di proteggere le donne giapponesi, per paura che gli americani si sarebbero comportati come fecero i giapponesi stessi in Cina, il governo creò  l’Associazione per le Attività Ricreative e il Divertimento, una serie di case di tolleranza, in modo da poter esercitare liberamente l’attività di prostituzione. Alcuni studiosi, tra cui Terese Svoboda, notarono che questi bordelli riuscirono a sopprimere, o a limitare, i casi di violenza; questi bordelli tuttavia furono costretti alla chiusura a causa della diffusione delle malattie veneree tra i soldati, e di pari passo aumentarono in modo significativo le violenze sessuali.

Dato il rapido crescere delle violenze sessuali, alle donne veniva consigliata l’iscrizione a corsi di sopravvivenza, all’interno dei quali veniva spiegato e insegnato loro come vestirsi, comportarsi e come difendersi durante gli attacchi: dovevano indossare abiti lunghi, vestirsi a più strati in modo da rendere difficile il “denudamento”, essere accompagnate sempre da figure maschili e urlare a squarciagola in caso di abusi per attirare il più possibile l’attenzione. Questi consigli riuscirono in qualche modo a proteggere le donne, ma a non a fermare del tutto gli abusi.

Le violenze sessuali nel dopoguerra giapponese

Molti furono gli stupri e le violenze sessuali nel dopoguerra giapponese da parte dei soldati americani, le vittime non potevano neanche ribellarsi o difendersi poiché non solo erano sovrastate dalla forza dei soldati ma molte volte questi utilizzavano anche delle armi per costringerle.

La maggior parte delle vittime non denunciava per paura, per vergogna ma anche perché tutto il sistema burocratico e militare del Giappone dipendeva dallo SCAP il quale il più delle volte insabbiava tutto con lo strumento della censura: quando la stampa giapponese aveva provato a riportare tutti i casi di crimini e violenze sessuali da parte dei soldati alleati, lo SCAP aveva risposto prontamente con la censura, limitando non solo la condivisione di informazioni, ma nascondendo qualsiasi tipo di attività criminale degli alleati.  

Furono 1336 gli stupri documentati solo nei primi giorni dell’occupazione della prefettura di Kanegawa, ma pochissimi i condannati; l’unico tentativo dei giapponesi di formare un corpo di vigilanza per proteggere le donne dai soldati fuori servizio fu affrontato dai soldati statunitensi con veicoli corazzati in formazione da battaglia: il leader del corpo di vigilanza venne catturato e imprigionato per lungo tempo. Quei pochi che invece riuscivano ad essere catturati, trovavano il favore dello SCAP anche a livello giuridico: nei processi, la donna era costretta a rivivere ciò che era accaduto e la sua testimonianza talvolta non veniva ritenuta sufficiente o veritiera.

Fonte immagine in evidenza: Wikipedia

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