Il mito di Atalanta: un’invincibile (o quasi) cacciatrice

Statua di Atalanta, Castello di Neschwitz, Neschwitz (Germania)

Nella mitologia greca raramente troviamo miti che narrano le vicende di eroine, di donne forti e capaci di sopravvivere e superare ogni avversità, senza che la presenza dell’eroe maschile di turno sposti in secondo piano le gesta di queste donne.
Uno di questi è il mito di Atalanta, una determinata, forte, coraggiosa e abile cacciatrice. Ma chi è questa donna?

Nel mito di Atalanta, Atalanta (in greco antico: Ἀταλάντη, Atalántē) è la figlia di Iaso, re dell’Arcadia, e Climene, due personaggi che provenivano dalla cultura beotica, nella Grecia occidentale. Il mito racconta che suo padre non avrebbe mai voluto una femmina come figlia e, alla sua nascita, fu abbandonata come di consuetudine alle pendici del monte Pelio. La dea della caccia Artemide ebbe pietà di lei e mandò un’orsa ad allevarla e a prendersi cura di lei fino a quando, poco tempo dopo, fu trovata da un gruppo di cacciatori che la crebbero prendendosi cura di lei.

Questa donna non aveva gusti molto femminili. La sua origine selvaggia la rese un’appassionata della natura e della caccia. Presto divenne una bellissima donna, definita come provocante e virtuosa ma, nonostante ciò, non voleva essere come le altre. Così Atalanta decise di consacrare la sua vita alla dea Artemide, protettrice della caccia, e imitarla in tutto.

Il culto di Artemide le impose di rimanere vergine per tutta la vita e Atalanta non ebbe alcun problema al riguardo poiché la sua dedizione la costringeva a rimanere tra le montagne e a dedicarsi completamente alla caccia. Per questo motivo, Atalanta sviluppò grandi capacità fisiche e imparò a maneggiare le armi con grande abilità, in particolare il giavellotto.

Il mito di Atalanta narra che un giorno due centauri di nome Ileo e Reco, cercarono di violentarla, ammaliati dalla sua bellezza. I centauri erano esseri mitologici che avevano la testa, le braccia e il busto degli umani e il corpo e le gambe di un cavallo. Molti di loro erano selvaggi e si lasciavano trasportare dalle loro passioni animalesche. La ragazza li affrontò e li uccise con il proprio arco.

In seguito, chiese di far parte degli Argonauti e partecipò alla spedizione, diventando l’unica donna a prendere parte all’impresa (secondo altre versioni del mito invece, Giasone, che temeva la presenza di una donna sulla nave Argo, rifiutò).

Ma la sua fama di donna cacciatrice iniziò nel momento in cui decise di partecipare alla battuta per la caccia del cinghiale calidonio (o Calidone), vicenda narrata nello stesso mito di Atalanta. Nonostante la riluttanza degli altri cacciatori nel vedere una donna che si apprestasse ad una battuta di caccia, la sorpresa fu ancora più grande quando per prima riuscì a ferire il famoso cinghiale. Meleagro (Argonauta e principe di Calidone), in segno d’onore e come premio per il coraggio mostrato, le donò la pelle dell’animale.

Dopo questa impresa, la sua credibilità e fama la precedettero ed echeggiarono fino ad arrivare al padre che, pieno d’orgoglio, la riconobbe come figlia legittima. Il padre però insisteva affinché convolasse a nozze con un uomo che le stesse accanto, sebbene Atalanta fosse totalmente contraria in quanto, alla sua nascita, un oracolo le aveva predetto che si sarebbe trasformata in un animale semmai avesse sposato un uomo. Nonostante ciò, Atalanta decise che avrebbe sposato solo l’uomo in grado di batterla in una corsa. Se l’uomo avesse perso, però, lo avrebbe ucciso.

Anche se la posta in gioco era molto alta, molti furono i pretendenti di questa folle sfida, che vide però ugual numero di perdenti. Ma un giorno apparve un giovane di nome Melanione (o Ippomene) che, follemente innamorato di Atalanta, decise di chiedere aiuto alla dea dell’amore Afrodite per aiutarlo nella sua impresa. La dea così gli diede in dono tre mele d’oro provenienti dal Giardino delle Esperidi e gli consigliò di lasciarne cadere una per volta durante la corsa. E così Atalanta, rapita dalla loro bellezza, si fermò per tre volte a raccogliere le mele lasciate cadere da Melanione durante la gara, facendo si che quest’ultimo vincesse la corsa col vantaggio ottenuto da questo “inganno”.
I due giovani si sposarono e vissero felici, cacciando e combattendo fianco a fianco per qualche tempo. Fecero tuttavia infuriare Afrodite, offesa per averli scoperti ad amarsi in un tempio dedicato a Cibele, dea della Madre Terra. Fu così che trasformò la coppia in leoni e li condannò a tirare il suo carro per sempre.

Secondo alcune fonti, questo il mito di Atalanta si sviluppa in due modi diversi:

– Si dice che in seguito, Atalanta fu infedele a Melanione e che da una sua relazione con Meleagro, figlio del re di Calidone Eneo, nacque un bambino. Questi fu esposto sulla collina Partenia e venne chiamato Partenopeo: il nome significa «figlio di una vergine violata», poiché Atalanta pretese di essere sempre trattata come una vergine

– Un altro finale è che i due sposi incorsero nelle ire di Afrodite, offesa per averli scoperti ad amarsi in un tempio dedicato a Cibele. Per punirli decise di trasformarli in leoni perché i greci ritenevano che i leoni non si accoppiassero tra loro.

Fonte foto: Di Johann Christian Kirchner – Fotografia autoprodotta, CC BY-SA 2.0 de, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=2947413

A proposito di Anna De Simone

Sono una studentessa di lingua e letteratura inglese presso l'Università "L'Orientale" di Napoli. Scrivo poesie per passione, copywriter freelance nel tempo libero e credo nella potenza delle parole come strumento in grado di sovvertire le leggi del mondo. Il mio mantra: "find your happiness in little things".

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