Kintsugi: l’arte giapponese della riparazione

Kintsugi: l’arte giapponese della riparazione

Kintsugi: l’arte giapponese della riparazione con l’oro che abbraccia le crepe della ceramica

Il kintsugi o kintsukuroi è un’espressione giapponese che letteralmente significa “riparare con l’oro (kin)”: questo, che può impegnare gli artigiani anche per mesi, consiste nell’uso dell’oro o di una specifica pittura a base di polvere d’oro per riempire le crepe createsi nella rottura di un oggetto in ceramica, poi fatto essiccare.

Il collante usato è la lacca urushi, ricavata dalla pianta Rhus  verniciflua, nota già nel periodo Jomon circa 5.000 anni fa per la fabbricazione di armi per la caccia. Questa tecnica sembra non solo favorire il riutilizzo di quell’oggetto, ora riparato e impreziosito dal costoso materiale, ma anche costituire la base di una riflessione e di una simbologia che oltrepassano il semplice ‘bricolage’.

«C’è una crepa in ogni cosa, è così che entra la luce». (L. Cohen, Anthem 1992)

Ogni ciotola, vaso, brocca, piatto di ceramica si riveste ora di tantissime, casuali e irregolari venature di luce dorata che attraversano l’oggetto, lo abbracciano, rendendolo unico per la diversità con cui ciascuno si crepa. Ogni fessura simboleggia una caduta, il penetrare di un sospetto, una difficoltà, un sentimento rotto dal dubbio, un pensiero doloroso, una lacrima. Eppure da ogni ferita dell’anima, in ogni imperfezione, può nascere la perfezione dell’essere umano, con le sue fragilità e con i suoi (inaccettati) limiti. L’arte del kintsugi diviene simbolo di resilienza.

Secondo la tradizione, questa tecnica sarebbe nata nel XV secolo quando lo shogun di Ashikaga, Ashikaga Yoshimasa, avendo rotto la propria tazza da tè preferita, avrebbe inviato in Cina l’oggetto che con il metallo proposto come collante, avrebbe assunto un aspetto davvero poco elegante. Per questo motivo, Ashikaga Yoshimasa ne affidò la riparazione ad alcuni ceramisti giapponesi che la restituirono al facoltoso proprietario con le crepe riempite di oro.

Sia la leggenda che la metafora sottese al kintsugi offrono un importante spunto di riflessione: non si devono rinnegare i propri fallimenti e le proprie sconfitte, ma provare a rielaborarle in positivo, mettendone in evidenza gli insegnamenti e riconoscendone le cause. Nel tentativo di recuperare quanto “si è rotto”, i risultati possono apparire imprecisi, esteticamente poco apprezzabili e da rigettare, ma sono proprio quelle anime rotte, ferite e spesso medicate in modo apparentemente poco rigoroso, a fare delle tazze sbeccate, le più preziose del servizio da tè.

«Proprio come un oggetto rotto viene aggiustato con cura attraverso la pratica del kintsugi, anche voi meritate di essere ricostruiti con l’oro. Scegliendo di aggiustare cosa è danneggiato, non solo ne riconosciamo il valore, ma sviluppiamo un attaccamento ancora più forte nei suoi confronti. Decidendo di riprendere in mano la nostra vita nonostante i dolori che ci hanno spezzati significa farci un dono immenso: l’autostima». Céline Santini, autrice del libro Kintsugi, ed. Rizzoli

Nella tecnica del kintsugi sono fondamentali alcune tappe, le stesse che ciascuno deve seguire così da superare la propria rottura e rinascere come oggetto nuovo, e prezioso. Superata la fase della rottura (dunque anche interiore dopo una sconfitta o un insuccesso), bisogna raccogliere (letteralmente) tutti i pezzetti (della propria vita) e assemblarli di nuovo – identificando gli errori commessi anche in passato e valutando di non applicare regole “vecchie” a situazioni nuove, ma avviando un processo di produzione e non di riproduzione di precedenti schemi. In questa fase di lavorazione, il ceramista deve saper pazientare e lentamente liberarsi dei pezzetti rotti: ognuno deve tornare all’essenzialità, liberandosi del ‘troppo’ e del superfluo (una tappa che ricorda la meditazione nello yoga). Poi si passa alla riparazione vera e propria, all’autenticità e alla scoperta del problema, in seguito sarà tempo di rivelazione e di esaltazione del lavoro realizzato con cura, di meditazione su quanto si è riusciti a realizzare e su quanto si potrà ancora fare, per non spezzarsi di nuovo.

«Perché sai, a volte il libro migliore è quello più polveroso. E a volte la tazza migliore è quella col bordo scheggiato». (da Once Upon a Time-3×22)

Per imparare la tecnica del kintsugi clicca qui.

Fonte immagine: qui.

Eleonora Vitale

 

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A proposito di Eleonora Vitale

Nata a Napoli il 29 luglio 1988, conduce studi classici fino alla laurea in Filologia, Letterature e Civiltà del Mondo Antico. Da sempre impegnata nella formazione di bambini e ragazzi, adora la carta riciclata e le foto vintage, ama viaggiare, scrivere racconti, preparare dolci, dipingere e leggere, soprattutto testi della letteratura classica e mediorientale.

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