La kitsune in Giappone: il significato nel mito giapponese

kitsune

Una delle figure più famose del folklore e della mitologia giapponese è senza dubbio la kitsune (狐), lo spirito volpe: astuta, intelligente e longeva, nota per la sua abilità mutaforma e per l’enorme saggezza. Secondo alcuni, la kitsune è un protettore benevolo che guida gli esseri umani ed è anche il messaggero del dio della fertilità e dell’agricoltura, Inari; per altri, è uno spirito maligno e dispettoso che prende le sembianze di una donna attraente per ingannare gli uomini. La kitsune in Giappone e nella sua letteratura si riconosce per il suo sguardo tagliente, il manto dorato e per le sue numerose code: più avanza con l’età, più le code aumentano e così i suoi poteri. Chi è cresciuto a cavallo tra gli anni Novanta e l’inizio degli anni Duemila, ricorderà sicuramente il Pokémon Ninetales: una volpe a nove code, il numero massimo di code che una kitsune può raggiungere, ovvero il più alto grado di saggezza. Ma vediamo nel dettaglio le caratteristiche e abilità della kitsune e perché la sua origine è ancora oggi dibattuta in Giappone.

Caratteristiche e poteri dello spirito-volpe: vediamoli nel dettaglio

Le kitsune sono quindi un’entità spirituale o, come si dice in giapponese, uno yōkai. Attenzione però, questo non significa che la kitsune in Giappone venga considerata come un fantasma, infatti queste creature sono delle comunissime volpi dotate di poteri soprannaturali. Quando una kitsune ottiene la sua nona coda, il proprio manto si colora di bianco o oro e acquisisce automaticamente l’abilità dell’onniscienza e di infinita saggezza.

I poteri principali della kitsune in Giappone sono:

  • la possessione spirituale;
  • la capacità di sputare fuoco o fulmini;
  • possono entrare nei sogni degli esseri umani;
  • hanno il potere dell’invisibilità;
  • sanno volare e creare illusioni.

Le più potenti sono in grado, inoltre, di:

  • modificare il tempo e lo spazio;
  • portare gli uomini alla follia;
  • assumere altre forme oltre a quelle umane, ad esempio possono trasformarsi in una seconda luna.

Ma il potere primario delle kitsune in Giappone è, senza ombra di dubbio, il mutaforma: quest’abilità si raggiunge intorno ai 50 o 100 anni e le forme più gettonate sono le donne e ragazze giovani d’incredibile bellezza oppure gli uomini anziani. Questa storia era così radicata nel folklore che nel Giappone medievale si credeva che le donne che girovagavano senza meta al crepuscolo o di notte fossero proprio delle kitsune. Come si riconoscono le donne kitsune? In primis, dal viso affilato: occhi ravvicinati, sopracciglia sottili e zigomi alti. Oltre alla peluria sul corpo, le kitsune si possono smascherare cercando la loro coda, poiché, quando si trasformano, faticano a nasconderla. Inoltre, gli spiriti volpe odiano profondamente i cani: in loro presenza, queste scappano facendosi scoprire.

La possessione da kitsune è chiamata kitsunetsuki e le vittime ideali sono, ovviamente, le giovani donne: si credeva che questi spiriti potessero entrare nel corpo umano attraverso un’unghia o il petto e, dopo la possessione, i tratti facciali delle vittime assumevano sempre di più quelli volpini. Il folklorista Lafcadio Hearn descrive la kitsunetsuki, nel suo libro Glimpses of Unfamiliar Japan, in questo modo: «strana è la follia di coloro posseduti da un demone volpe. Talvolta corrono nudi gridando per le strade. Talvolta dormono con la bava alla bocca, ululano come volpi. E su alcune parti del corpo del posseduto compare sotto pelle una protuberanza che si muove, che sembra avere vita propria». La paura della possessione da kitsune in Giappone era così radicata che, dal periodo Heian (794-1185) al XX secolo, la kitsunetsuki veniva indicata spesso come diagnosi di infermità mentale.

Nelle opere, le kitsune vengono raffigurate a fianco delle hoshi no tama, ovvero dei particolari globi di fuoco incandescente: sotto forma di perle o gioielli, questi oggetti sono uno dei simboli associati a Inari. Quando le kitsune assumono la loro forma naturale, trasportano con sé la sfera stellata tra le fauci o sulla coda: in questa viene inglobato tutto il loro potere. Secondo un’altra credenza, la sfera rappresenterebbe l‘anima della kitsune, per cui non dovrebbero mai separarsi, altrimenti la stessa kitsune potrebbe morire: infatti, in vari racconti troviamo degli umani che rubano la sfera di fuoco allo spirito volpe per chiedere delle ricompense in cambio.

Infine, in base al passare degli anni, le kitsune vengono classificate in tre diversi gradi spirituali: le kiko (dai 500 ai 1000 anni), le quali possiedono fino a nove code e sono spesso spiriti buoni; le kuko hanno più di 3000 anni ed assomigliano più ad un umano che ad una volpe poiché, a causa della vecchiaia, non hanno più le code, e assumono il ruolo di semplici saggi benevoli; infine, il grado più alto è quello della kitsune tenko, più giovane della kuko, la quale ha smesso di compiere azioni maligne ed è quindi al pari di un kami, di una divinità.

L’origine della kitsune in Giappone: gli studiosi non trovano una risposta definitiva

Per capire l’origine della kitsune, ci dobbiamo chiedere se questa nasce da una tradizione importata dall’esterno o se è, invece, autoctona. Ancora oggi, il dibattito rimane aperto: anche la Cina, la Corea, l’India e la Grecia presentano svariati e numerosi racconti sui cosiddetti spiriti volpe, ma come vengono concepiti? In Cina, i racconti popolari huli jing narrano di queste volpi soprannaturali a nove code e anche in Corea esiste la stessa figura, chiamata kumiho: perciò, viene da pensare che le scuole di pensiero siano uguali a quelle del Sol Levante, eppure c’è una differenza. Secondo le tradizioni cinesi e coreane, lo spirito volpe è solo e soltano maligno, per i giapponesi no. Ancora, una figura complementare alla kitsune giapponese la ritroviamo nelle raccolte di racconti indiani Hitopadesa (XII secolo) e Pañcatantra (III secolo a.C.), ispirate a loro volta dalle Favole di Esopo (Grecia, VI secolo a.C.).

Secondi diversi studiosi, la kitsune sarebbe una credenza indigena giapponese risalente al V secolo a.C. Per Kiyoshi Nozaki, infatti, la kitsune era in origine considerata una creature positiva nella cultura popolare, poiché l’idea di kitsune maligna sarebbe state importata più avanti dalla Cina e dalla Corea. Nozaki analizza anche la sua etimologia: kitsu sarebbe stato il verso onomatopeico della volpe nel Giappone antico, ma la stessa parola si potrebbe tradurre anche con “stato d’animo affettuoso”, il che confermerebbe la tesi di Nozaki.

Alla fine, oggi definiamo due gruppi diversi di kitsune: le zenko (善狐) o volpi buone, associate spesso al culto del dio Inari; le yako (野狐), le cosiddette volpi di campo ovvero quelle maligne e le ninko (人狐), ovvero la volpe capace di interagire con gli esseri umani attraverso la pratica della possessione.

Fonte immagine in evidenza: Wikipedia.

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