Boris Ryžyj viene considerato a ragione la voce più autorevole dell‘ultima generazione di poeti sovietici nella Russia postcomunista. Nasce nel 1974 a Čeljabinsk, una città di oltre un milione di abitanti sulle pendici orientali degli Urali, al confine con il Kazakistan. La sua famiglia si trasferisce presto a Sverdlovsk, l’attuale Ekaterimburg, per motivi di lavoro legati alla professione di geologo del padre. L’aspetto della città oggi è cambiato tanto rispetto agli anni Settanta, dove sterminati blocchi sovietici alternati dalle silhouette di fabbriche stanche dominavano il suo paesaggio. Il giovane Boris Ryžyj cresce quindi in uno di questi quartieri periferici sovietici che sembrano assomigliarsi tutti. Nel distretto Čkalovskij, nella parte chiamata dagli abitanti Vtorčermet per via del nome del grande stabilimento metallurgico presente nella zona, Boris Ryžyj trova la una realtà cruda e triste, che lo ispirerà sin dai primi anni di scrittura.
Nei quartieri lontani e tristi,
che al mattino sono grigi e vuoti,
dove sembran ridicoli e pietosi
i lillà e gli altri fiori,
c’è una casa di sedici piani
e lì si erge un pioppo
o un acero, inutile e stanco,
a fissare il cielo vuoto
(Traduzione Giovanni Polizzi)
Boris Ryžyj avrebbe compiuto 49 anni quest’anno, ma all’età di 26 ha deciso di mettere fine alla sua vita. Se c‘è un comune denominatore tra le più grandi penne russe è proprio la tragicità a cui il destino accompagna inesorabilmente le vite degli scrittori. E Boris Ryžyj non è da meno. Un lungo taglio verticale gli attraversa la faccia, una carriera da boxer, forte alcolista e poeta in Russia. Una vita segnata.
Inizia a scrivere versi all’età di 14 anni, ma negli anni universitari matura una vera e propria poetica originale, cupa, tragica. Una poetica al passo con l’atmosfera di incertezza che regnava in Unione Sovietica prima e in Russia poi a cavallo tra gli anni ’80 e ’90.
La Russia è un vecchio film, in fondo.
Pensa e ripensa, è la stessa cosa:
i veterani stanno sullo sfondo,
giocano a domino sotto casa.
Quando brinderò e morirò,
i lillà ondeggeranno al vento,
per sempre il bimbetto sparirà
che in cortile correva un tempo.
Rimetterà in tasca i confetti
dal ciglio canuto il veterano,
pensando: “Ma dov’è finito?”.
Sono sparito in primo piano.
(Traduzione di Laura Salmon)
Boris Ryžyj oggi
Adesso Boris Ryžyj è considerato un classico contemporaneo, ha avuto già in vita il riconoscimento di autorevoli scrittori, come Evgenij Rejn e Evgenij Evtušenko. Ma è soprattutto tra i più giovani che la voce di Boris Ryžyj continua ad avere successo, forse perché si ritrovano nell’atmosfera cupa e asfissiante descritte dal poeta e ancora ineludibili in molte parti della Russia contemporanea. I suoi versi hanno influenzato anche la nuova ondata di musica post-punk nei paesi post sovietici che si rifanno alle atmosfere evocate dalle sue poesie. Il testo del brano più famoso della band bielorussa Molčat doma è preso una poesia di Boris Ryžyj:
Una nave smaltata
L’oblò, il comodino, il letto.
Vivere è difficile e scomodo,
però morire è comodo.
Sto disteso e penso: probabilmente
queste lenzuola bianche
hanno avvolto chi oggi
se n’è andato all’altro mondo.
Il rubinetto gocciola piano.
La vita scarmigliata come una puttana
Appare come dalla nebbia
e vede: il letto, il comodino …
E io cerco di sollevarmi un po’
Voglio guardarla negli occhi
Guardarla, mettermi a piangere
e non morire mai.
(Traduzione Giovanni Polizzi)
Immagine in evidenza: Needpix