La Zattera della Medusa, analisi del dipinto di Géricault

La zattera della Medusa

Analisi de La zattera della Medusa, celebre dipinto del pittore francese Théodore Géricault risalente al 1818-1819

Théodore Géricault nacque nel 1791 da una famiglia di stampo borghese che gli permise di avere un’ottima formazione. Ebbe la possibilità di studiare presso gli studi pittorici di Carle Vernet e Pierre-Narcisse Guérin e di completare gli studi presso l’Accademia di Belle Arti di Parigi.

Nel 1812 espone al Salon del Louvre la sua prima opera, Ufficiale dei cavalleggeri della Guardia imperiale alla carica. Fin da subito Géricault mette in chiaro la missione che caratterizza la propria arte: la riproduzione sì della storia a lui contemporanea, soprattutto le guerre napoleoniche, come facevano i suoi colleghi, ma concentrandosi su quelli che sono i personaggi secondari: da soldati semplici a ufficiali sconosciuti, figure i cui nomi si sono persi nella matassa della storia e le cui azioni hanno contributo al successo o meno di determinate imprese. Al 1816 risale il suo viaggio in Italia dove studiò le sculture di Michelangelo, i dipinti di Raffaello Sanzio e quelli di Caravaggio.

Altre famosissime opere di Géricault sono la serie delle monomanie (o “degli alienati”, 1822-23), ritratti a mezzobusto di persone affette da disturbi psichici relativi a un comportamento ossessivo che sfocia nella follia. Il pittore era molto interessato a questo tema, come dimostra il fatto che si concentra sulle espressioni facciali di questi uomini e donne, forse pazienti di un manicomio, in un periodo in cui la medicina inizia a interessarsi alla cura dei disturbi della mente.

L’opera che però viene associata automaticamente all’artista è La Zattera della Medusa, realizzata tra il 1818 e il 1819 ed esposta al Louvre. La genesi dell’opera è legata a un fatto di cronaca che all’epoca suscitò molta impressione: il naufragio della fregata La Méduse.

La Zattera della Medusa di di Géricault, antefatto

Nel giugno del 1816 La Méduse partì da Rochefort in direzione di Saint-Louis, sulle coste del Senegal. Capo della spedizione era Hugues Duroy de Chaumareys, un capitano con poca esperienza nei viaggi marittimi.

Il 2 luglio del 1816 la fregata si incagliò su un banco di sabbia a 160 chilometri di distanza al largo della Mauritania. A nulla servirono i tentativi di discagliare l’imbarcazione e il 5 luglio una parte dell’equipaggio si imbarcò sulle sei scialuppe di salvataggio. Per i restanti 150 passeggeri fu costruita una zattera che venne trainata dalle scialuppe sotto la guida di Chaumareys.

La zattera iniziò ad affondare per il peso degli uomini e la cima che la teneva legata alle altre navi crollò. Iniziò così un’odissea lunga 13 giorni: nella sola prima giornata morirono 20 persone (alcune si suicidarono) e dalla nona iniziarono a registrarsi episodi di cannibalismo. Questo terribile incubo si concluse il 13 luglio quando i dieci superstiti furono soccorsi da un battello. Cinque di loro morirono durante la notte.

I giornali dell’epoca dedicarono ampio spazio all’episodio che, come è facile immaginare, suscitò enorme scandalo in patria. Il capitano Chaumareys venne processato per aver abbandonato a morte sicura i componenti dell’imbarcazione e fu condannato a due anni di carcere, nonché alla radiazione dal registro navale.

Lo studio e le ricerche di Géricault

«Géricault mi permise di vedere La zattera della Medusa quando ancora ci stava lavorando. Fece una tremenda impressione su di me tanto che quando uscii dal suo studio cominciai a correre come un pazzo e non mi fermai finché non raggiunsi la mia stanza»

Queste sono le parole che Eugène Delacroix scrisse nel suo diario dopo aver visto il dipinto dell’amico Géricault ancora in fase di lavorazione, prima della sua esposizione ufficiale al Salon nel 1819.

Géricault, all’epoca ventisettenne, fu molto scrupoloso nel dipingere la sua opera. Intervistò due dei sopravvissuti al naufragio e il loro resoconto fu molto importante per il tono tragico del dipinto. Visitò anche l’obitorio di un ospedale di Parigi per studiare l’anatomia muscolare dei cadaveri. Il giornalista e critico d’arte Rupert Christiansen nel saggio The Victorian Visitors. Culture Shock in Nineteenth-Century Britain scrive che Géricault viaggiò in Inghilterra per studiare da vicino il movimento delle onde durante le tempeste.

Analisi de La Zattera della Medusa

La prima cosa che salta subito all’occhio osservando La zattera della Medusa sono i suoi colori cupi. Le nuvole coprono un cielo rosso, inquadrando così lo svolgimento della scena durante il tramonto, così come scure sono le onde del mare in tempesta.

Al centro si staglia una scena straziante. Sulla zattera, ridotta a un mucchio di legna, troviamo alcuni naufraghi in mezzo ad alcuni cadaveri. Colpisce subito l’uomo sulla sinistra con lo sguardo rassegnato al destino che lo attende, reggendo il corpo di quello che, forse, era un suo amico. Alla sua destra un cadavere coperto da un lenzuolo, con la parte superiore immersa nell’acqua e con solo le gambe sul legno della nave.

Scorrendo la scena verso l’alto lo sguardo si sposta su un nutrito gruppo di naufraghi. Alcuni di loro, come la donna un poco più un basso, hanno lo sguardo disperato. Altri, come il gruppo di uomini alla sinistra della cima della nave, mostrano invece un’espressione speranzosa derivante dalla vista della figura del ragazzo al centro che sventola un panno arancione usato come bandiera, nella speranza che una nave possa venire a salvarli.

La zattera della Medusa, con il suo carico di drammaticità, è una risposta agli stilemi perfezionistici e armoniosi dell’arte neoclassica. Se l’impatto emotivo non fu colto dai contemporanei di Géricault che criticarono l’opera alla sua prima esposizione nel 1819, fu invece ben recepito dai pittori romantici che furono ispirati dal loro collega. Il già citato Delacroix, ad esempio, omaggiò il dipinto dell’amico ne La barca di Dante e nella sua opera-simbolo La Libertà che guida il popolo.

Dopo la morte di Géricault, avvenuta a soli 33 anni nel 1824, il Louvre acquistò subito l’opera, dove tuttora è esposta.

Immagine in evidenza: Wikipedia

A proposito di Ciro Gianluigi Barbato

Classe 1991, diploma di liceo classico, laurea triennale in lettere moderne e magistrale in filologia moderna. Ha scritto per "Il Ritaglio" e "La Cooltura" e da cinque anni scrive per "Eroica". Ama la letteratura, il cinema, l'arte, la musica, il teatro, i fumetti e le serie tv in ogni loro forma, accademica e nerd/pop. Si dice che preferisca dire ciò che pensa con la scrittura in luogo della voce, ma non si hanno prove a riguardo.

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