Le donne nella religione ebraica: ruolo, regole e tradizioni

Le donne nella religione ebraica

Nella religione ebraica, le donne ricoprono un ruolo fondamentale: sono considerate il cuore della famiglia e sono coloro che, secondo la legge ebraica (halakha), tramandano l’ebraicità ai figli. Tuttavia, il loro ruolo e le regole che seguono possono variare enormemente a seconda della corrente di ebraismo considerata, da quella ortodossa, più rigorosa, a quelle più liberali. Esploriamo i principi di modestia, purezza e il dibattito sul loro ruolo pubblico.

Le regole della modestia e della purezza nell’ebraismo ortodosso

Nell’ebraismo ortodosso, la vita delle donne è guidata da precetti specifici volti a preservare la santità del corpo e della famiglia. Le più note sono le regole di modestia (tzniut) e di purezza familiare (taharat hamishpacha).

Regola / precetto Descrizione e pratica
Modestia nell’abbigliamento (Tzniut) Le donne sono tenute a indossare abiti che coprano la maggior parte del corpo, come gonne lunghe (anziché pantaloni), maniche lunghe e scollature non pronunciate.
Copertura del capo (Kisui Rosh) Dopo il matrimonio, le donne coprono i propri capelli in pubblico, utilizzando parrucche (sheitel), foulard (tichel) o cappelli. Questo gesto simboleggia il loro nuovo status.
Separazione durante il ciclo (Niddah) Durante il ciclo mestruale e per i sette giorni successivi, la coppia si astiene da qualsiasi contatto fisico, dormendo spesso in letti separati.
Bagno purificatorio (Mikveh) Al termine del periodo di niddah, la donna si immerge in una vasca rituale chiamata mikveh, un atto di purificazione che le permette di riunirsi fisicamente con il marito.

Queste regole, fondamentali nell’ebraismo ortodosso, non sono sempre seguite nelle correnti più liberali (conservatrice e riformata), dove l’approccio all’abbigliamento e alle pratiche rituali è lasciato alla scelta individuale. La Torah considera peccaminoso per una donna sposata non coprirsi i capelli, ma la scelta di aderire a questa regola varia molto. Anche gli uomini sono tenuti a seguire precetti di modestia, sebbene diversi.

Il ruolo pubblico: il caso di Regina Jonas, prima donna rabbino

La questione del ruolo pubblico delle donne divide la comunità ebraica. Regina Jonas fu la prima donna ad essere ordinata rabbino in Germania nel 1935. Già nella sua tesi del 1930, sostenne che non esisteva alcuna legge ebraica (halakha) che impedisse a una donna di accedere al rabbinato. La sua ordinazione, tuttavia, rimase un’eccezione per decenni.

Ancora oggi, l’ebraismo ortodosso non ammette donne rabbino e limita la loro partecipazione attiva ai riti liturgici. Al contrario, le correnti conservatrici e riformate hanno pienamente aperto il rabbinato alle donne e permettono loro di leggere la Torah e condurre la preghiera. Questo evidenzia un doppio standard: da un lato, una visione che riconduce la donna principalmente al ruolo di madre e custode della casa; dall’altro, una prospettiva che ne riconosce la piena uguaglianza spirituale e intellettuale.

Altre informazioni e domande sulle donne nell’ebraismo

Cosa non possono fare le donne ebree ortodosse?

Nell’ebraismo ortodosso, le donne non possono svolgere alcune funzioni religiose pubbliche riservate agli uomini, come essere ordinate rabbino, far parte di un minyan (il quorum di dieci uomini necessario per la preghiera pubblica) o guidare la maggior parte dei servizi liturgici. Sono inoltre tenute a rispettare rigide regole di modestia e purezza familiare.

Perché le donne ebree ortodosse si coprono i capelli dopo il matrimonio?

La copertura dei capelli (kisui rosh) è un precetto che deriva dalla Torah e simboleggia il passaggio allo status di donna sposata. I capelli sono considerati una forma di bellezza intima, da riservare al marito. Coprendoli in pubblico, la donna manifesta il suo impegno coniugale e la sua modestia (tzniut).

Cos’è il Mikveh e perché è importante?

Il mikveh è una vasca per l’immersione rituale utilizzata per la purificazione. La sua importanza è centrale nella pratica della purezza familiare (taharat hamishpacha). L’immersione nel mikveh al termine del periodo di niddah non è un atto di igiene fisica, ma un rito spirituale che segna il passaggio da uno stato di impurità rituale a uno di purezza, permettendo alla coppia di riprendere l’intimità fisica. Questo ciclo di separazione e riunione è visto come un modo per rinnovare costantemente la santità del legame matrimoniale.

Fonte immagine: Pexels

Articolo aggiornato il: 03/09/2025

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