Malinconia: etimologia, significato, cos’è e come combatterla

Cos'è la malinconia

Cos’è la malinconia, una riflessione sul tema

«Un desiderio di desideri: la malinconia».

(Lev Tolstoj)

Una sensazione bruciante, straziante, che si staglia come un macigno nel torace e nella mente. Un nodo alla gola e il respiro affaticato. Voglia di amare lasciata a metà, pensieri proiettati ad una stasi irrequieta. Questo stato d’animo complesso è la malinconia. Si manifesta come un senso di impotenza e di non credersi abbastanza, un’insicurezza cronica e un desiderio incessante per ciò che non si ha, che non si può avere, o che si è provato ma poi perso forse per sempre. È una sorta di tristezza di fondo, a volte inconsapevole, che porta a vivere passivamente. A differenza della tristezza, che è solitamente una reazione diretta a un evento specifico e tende a svanire, la malinconia è uno stato d’animo più persistente e diffuso, un desiderio per qualcosa di indefinito. È quel anelito, collocato in fondo all’anima, per una cosa, una persona mai conosciuta o un amore che non si è mai avuto, ma di cui si avverte incessantemente la mancanza.

La persona colta da questo stato tende spesso a isolarsi dalla vita sociale e a negare il trascorrere del tempo, volgendosi verso un passato o un futuro idilliaco, convinta di non poter osare, provare, lottare.

Cos’è la malinconia: definizione e origini storiche

Il termine malinconia deriva dal greco “melancholìa”, composto di “mélas, mélanos” (nero) e “cholé” (bile), dunque “bile nera”. Secondo la medicina greca ippocratica, questo era uno dei quattro umori dalle cui combinazioni dipendono il carattere e gli stati d’animo delle persone. I caratteri umani e i loro comportamenti deriverebbero dunque dalla varia combinazione dei quattro umori base, ovvero bile nera, bile gialla, flegma ed infine il sangue (umore rosso). Questi umori, ossia “liquidi”, definivano gli “stati d’animo”, e da essi etimologicamente derivano il carattere melanconico, il collerico, quello flemmatico e quello sanguigno.

La malinconia nella storia del pensiero

Il concetto di malinconia ha attraversato la storia della filosofia e del pensiero occidentale, assumendo significati diversi a seconda delle epoche. Già Ippocrate la considerava una condizione patologica. Altri, come Aristotele, la collegavano al genio, sostenendo che tutti gli uomini eccezionali fossero malinconici. Questa visione ha influenzato profondamente la percezione di questo stato d’animo, associandolo a una maggiore sensibilità e profondità intellettuale. Nel Novecento, Sigmund Freud la interpretò come una forma di lutto non elaborato, in cui l’oggetto perduto viene interiorizzato e diventa parte dell’Io del soggetto.

Epoca / Pensatore Interpretazione della malinconia
Ippocrate (V sec. a.C.) Condizione patologica causata da un eccesso di “bile nera”.
Aristotele (IV sec. a.C.) Associata al genio, alla creatività e all’eccezionalità intellettuale.
Marsilio Ficino (Rinascimento) Condizione tipica degli spiriti elevati, degli studiosi e dei contemplativi.
Robert Burton (XVII sec.) Analizzata in modo enciclopedico nella sua “Anatomia della malinconia”.
Sigmund Freud (XX sec.) Interpretata come un lutto non elaborato, con interiorizzazione dell’oggetto perduto.

Malinconia e creatività: lo “spleen” e l’ispirazione artistica

Lo scrittore francese Victor Hugo scriveva che «la malinconia è la gioia di essere tristi». Questo perché si tende a crogiolarsi in essa, nonostante il sentimento di tristezza immane che reca con sé. Si può provare un sottile piacere stagnando nei meandri di ricordi e desideri languidi. La malinconia di fatto non sussisterebbe priva di memoria e desiderio. Un’anima malinconica soffre per qualcosa che le ha donato estasi e felicità in passato e che purtroppo sa di aver perso, ma soffre altresì nel desiderio di un qualcosa che manca. Questa insoddisfazione, però, può rendere la malinconia un sentimento fertile, spingendo ad agire per cambiare una situazione scomoda. Quel sentimento di dolorosa mancanza può innescare la voglia di intraprendere un percorso interiore che amplia i confini della conoscenza di sé, spingendo verso la curiosità. Si tratta dello “spleen“, termine coniato dal poeta simbolista Charles Baudelaire, che si realizza quando la malinconia si traduce in fertile produzione artistica. Affinché la malinconia si trasformi in ispirazione, è necessario lasciarla fluire, accoglierla e liberarla attraverso il significato dell’arte, che sia pittura, scrittura o musica. Molti artisti, da Caspar David Friedrich a Giacomo Leopardi, fino a Fryderyk Chopin, hanno trasformato la loro malinconia in opere di straordinaria intensità.

Malinconia e depressione: differenze tra stato d’animo e patologia

La malinconia può fungere anche da campanello d’allarme, invitando un’anima stressata dalla frenesia quotidiana a rallentare. Il problema sorge quando la malinconia diventa un problema, ovvero quando questo stato d’animo diviene cronico, infruttuoso e paralizzante. Se non gestita, la sofferenza rischia di far regredire l’anima, sfociando in depressione. È fondamentale distinguere: la malinconia è uno stato d’animo, un sentimento che fa parte delle normali emozioni umane; la melanconia (con una sola ‘l’, in ambito clinico) è una sua degenerazione, che sfocia in vera patologia psichica. Questa è una forma di depressione maggiore, caratterizzata da forte abbassamento dell’umore e ansia. A differenza della malinconia, che può essere innescata da riflessioni profonde, la melanconia patologica ha spesso fattori biologico-genetici. Uno dei suoi sintomi è il continuo rimuginare, uno stato mentale che domina, mentre nella sana malinconia il pensiero resta sullo sfondo, con dolcezza. È qui che la creatività può salvare mente e anima.

“Appocundria”: la malinconia nella cultura napoletana

Nella lingua napoletana, la malinconia trova una sfumatura unica nel termine “appocundria“, reso celebre da Pino Daniele. L’etimologia forse deriva dal greco “hypochondria”, la zona sotto le costole dove si riteneva risiedesse la malinconia. L’appocundria non è però semplice malinconia. Indica uno stato d’animo dai contorni indefiniti, una tristezza lenta che unisce noia, insoddisfazione e solitudine. Viene spesso accostata al portoghese “saudade”, ma mentre l’appocundria è legata alla sfera intima, la saudade è un sentimento più collettivo. Entrambe sono però nutrite di un forte sentimento legato all’identità culturale, rispettivamente napoletana e portoghese.

Come gestirla: strategie per trasformarla in una risorsa

Per gestire una malinconia che rischia di diventare stagnante, può essere utile la psicoterapia, che aiuta a trasformarla in un equilibrio spirituale. Oltre a un percorso specialistico, ci sono diverse strategie costruttive. Tra queste, l’attività fisica, che aiuta a scaricare le tensioni e a produrre endorfine; il contatto con la natura, che favorisce il rilassamento; la socializzazione, che permette di condividere le proprie emozioni; e soprattutto l’espressione creativa, che consente di dare forma e voce al proprio mondo interiore, trasformando un peso in una risorsa.

La malinconia come opportunità di crescita e consapevolezza

In definitiva, la malinconia, pur appartenendo alla sfera dei sentimenti cupi, si tinge di positività. Il dolore è spesso strumento necessario per acquisire consapevolezza e smuovere l’anima dal torpore. A tal proposito, Luca Carboni cantava «la malinconia sembra quasi la felicità, sembra quasi l’anima che va… puoi scambiarla per tristezza, ma è solo l’anima che sa che anche il dolore servirà». Se accolta e compresa, la malinconia può diventare un’occasione preziosa per la propria crescita personale e la scoperta di sé, un ponte verso una più profonda comprensione della propria interiorità.

Foto di: Personale

Articolo aggiornato il: 02/09/2025

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