Le locomotive del museo di Pietrarsa: brevissima storia di un litorale bianco

museo di Pietrarsa

Come è nato il museo di Pietrarsa? Scoprilo con noi!

Pietrarsa, altro tempo. Il ricordo del suo nome è soprattutto legato alla costruzione delle prime antiche locomotive e delle prime strade ferrate. E da essa altre vie hanno costituito le vene della comunicazione che ha avvicinato luoghi altrimenti lontani.

Da Leucopetra al museo di Pietrarsa

È storia che l’oggi silente “sterminator Vesevo” costituisse da secoli, col suo perenne fumacchio, lo sfondo suggestivo e privilegiato del panorama partenopeo; ed è storia che, dall’autunno del 79 d. C. alla primavera del più recente 1944, il vulcano napoletano abbia dato numerosissime prove della sua devastante potenza. Dopo l’eruzione documentata da Plinio il Giovane, una delle più potenti fu quella del 1631 che la tradizione vuole sia terminata solo per intercessione di San Gennaro, il cui simulacro sarebbe stato esposto di fronte la furia del Vesuvio; in questa ci sono le origini di Pietrarsa. La zona in questione aveva originariamente un altro nome, Leucopetra, ovvero “pietra bianca”, derivante dalla candida colorazione degli scogli e della sabbia del suo litorale; fu, infatti, con l’eruzione del 1631 che, a causa di detriti, gas e altre sostanze eruttate che investirono quei luoghi, che il litorale si tinse di scuro, “bruciando” l’antico albore e dando origine, così, al nome Pietrarsa. Un toponimo, forse, più appropriato alla “fucina” rovente da cui sarebbero nate le prime locomotive.

Le Officine di Pietrarsa

Fu per il volere del re Ferdinando II di Borbone, che nel 1842 furono ordinate le prime pietre per realizzare le Officine di Pietrarsa dove, poi, nel 1845, furono realizzate le prime locomotive – su progetto e preliminare progettazione inglesi – che percorsero la prima strada ferrata della storia, la Napoli-Portici, lunga circa sette chilometri; un tragitto che oggi si copre facilmente, ma che all’epoca pareva segnare l’inizio di un epoca, auspicando l’“avvicinamento” di luoghi privi di sicure vie di comunicazione. L’auspicio del re Ferdinando II era di rendere il Meridione centro propulsore di un’economia di tipo industriale. Paradossalmente, però, con l’Unità d’Italia (1861), la situazione sembrò peggiorare: quello che sarebbe potuto essere il “polo Sud” dello sviluppo industriale, siderurgico e metallurgico italiano, a causa di quel processo di “piemontesizzazione” di tutte le strutture e istituzioni della Penisola, fu costretto a cedere il passo a uno sviluppo economico maggiormente a favore di industrie settentrionali; da grande centro di produzione, le Officine di Pietarsa furono una semplice base per le riparazioni di locomotive, nonostante la tecnologia ferroviaria progredisse. La chiusura avvenne nel 1975.

Sarebbe, però, stato ingiusto estinguere decenni di storia e di uomini e famiglie, e quasi come un luogo della memoria di una stagione del passato del Meridione, nel 1977 le Officine di Pietrarsa raccolsero la loro eredità nel museo di Pietrarsa che sorge presso quel litorale, un tempo fatto di pietra candida, e oggi riarso per opera del Vesuvio.

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A proposito di Salvatore Di Marzo

Salvatore Di Marzo, laureato con lode alla Federico II di Napoli, è docente di Lettere presso la scuola secondaria. Ha collaborato con la rivista on-line Grado zero (2015-2016) ed è stato redattore presso Teatro.it (2016-2018). Coautore, insieme con Roberta Attanasio, di due sillogi poetiche ("Euritmie", 2015; "I mirti ai lauri sparsi", 2017), alcune poesie sono pubblicate su siti e riviste, tradotte in bielorusso, ucraino e russo. Ha pubblicato saggi e recensioni letterarie presso riviste accademiche e alcuni interventi in cataloghi di mostre. Per Eroica Fenice scrive di arte, di musica, di eventi e riflessioni di vario genere.

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