Omosessualità nell’antica Grecia

Omosessualità nell'antica Grecia

L’omosessualità nell’antica Grecia, pur essendo accettata, era soggetta a regole di comportamento e destinata a determinate occasioni.

Le relazioni omosessuali sono da sempre uno dei temi scottanti dell’attualità, come dimostra la centralità che hanno avuto nelle cronache politiche e sociali dell’anno appena conclusosi. Un tema onnipresente nel web dove molti utenti, per controbattere alle opinioni (limitanti) di chi considera i rapporti tra persone dello stesso sesso “contronatura”, ricordano come nella Grecia antica l’omosessualità fosse ben accetta.

Per quanto questa tesi abbia un fondo di verità, va comunque privata del filtro idealista-sentimentale con cui viene edulcorata; l’omosessualità nell’antica Grecia non costituiva un tabù, ma veniva regolamentata da leggi precise e accettata solo in determinate occasioni.  

Le origini dell’omosessualità nell’antica Grecia: la pederastia

La sessualità rivestiva un ruolo importante all’interno della società ellenica, poiché era inserita all’interno di rituali volti a formare il modello cittadino greco. Eva Cantarella afferma che proprio nell’età arcaica, dove la suddivisione della società era basata sull’età, l’omosessualità prende piede tramite il rito della pederastia.

La pederastia si basava sulla relazione tra l’erastès, un uomo anziano, e l’eròmenos, un giovane spesso in età adolescenziale. In questo rapporto il primo aveva un ruolo attivo nei confronti del secondo, che invece era “passivo”: l’erastès aveva il compito di educare e di preparare l’eròmenos agli aspetti della vita pubblica, in particolare il matrimonio, motivo per cui poteva esserci un consumo del rapporto carnale.

Nel Fedro Platone afferma che all’atto sessuale si può opporre anche una passione basata sull’esaltazione della bellezza e delle virtù dell’eròmenos. È quello che ancora oggi chiamiamo “amore platonico”, una passione che esclude la sfera sessuale concentrandosi soltanto su quella spirituale.

Oltre a dare il titolo ad un altro dei più famosi dialoghi di Platone, il simposio era anche l’occasione più importante in cui tali rapporti si consumavano, come dimostrato anche da alcune decorazioni di anfore e vasi. Durante questi banchetti, dove si discuteva di politica e si decantavano poesie e a cui partecipavano soltanto uomini membri di importanti famiglie o gruppi gentilizi della città (eteria), l’erastès corteggiava l’eròmenos il quale, inizialmente indifferente, finiva per concedersi a lui.

In quest’ottica, l’omosessualità in Grecia veniva tollerata. Non venivano invece tollerati i rapporti tra uomini adulti, giudicati inaccettabili. Nelle commedie di Aristofane, ad esempio, sono presenti personaggi omosessuali oggetto di scherno, poiché il loro atteggiamento era giudicato vergognoso.  

L’omosessualità nell’esercito

Altri esempi di pederastia si ritrovano nei poemi omerici. Il rapporto tra Achille e Patroclo nell’Iliade è considerato da molti studiosi come pederastico poiché Omero, pur non accennando mai al fatto che i due possono essere amanti, descrive Patroclo come un uomo adulto rispetto all’eroe acheo.

I poemi dell’antichità sono molto importanti per capire come l’omosessualità nell’antica Grecia fosse predominante in un ambiente “virile” come quello militare. Non era raro che si instaurassero rapporti amorosi tra soldati dell’esercito, anche se bisogna ricordare come questi ultimi portassero spesso le proprie schiave negli accampamenti (sempre citando l’Iliade: Achille si rifiuta di combattere perché viene privato della sua schiava Briseide). Più che di omosessualità bisognerebbe parlare, per l’esercito greco, di bisessualità.

I rapporti omosessuali erano tollerati all’interno dell’esercito e, anzi, motivavano i soldati a combattere al meglio per proteggere i propri amanti come dimostra la storia del Battaglione Sacro; Si trattava di un gruppo di soldati tebani formato da centocinquanta coppie di amanti omosessuali.

Plutarco ne parla nella Vita di Pelopida, dove afferma che nacque per iniziativa del comandante Gorgida. Facendo leva sull’affetto che legava le coppie di soldati, riuscì a creare una forza armata che difese la città di Tebe per trentatré anni fino a quando non venne sconfitta, dopo un’eroica resistenza, nella battaglia di Cheronea del 338 a.c. da Filippo II di Macedonia e suo figlio Alessandro Magno.

L’omosessualità femminile: Saffo

Un discorso a parte merita l’omosessualità femminile. Nell’ultimo capitolo di Secondo natura. La bisessualità nel mondo greco Eva Cantarella mostra come i rapporti amorosi tra due donne, a differenza di quelli maschili, fossero visti come «segno di inqualificabile sregolatezza».

È risaputo del ruolo marginale affidato alla donna nella società greca, esclusa da gran parte delle occasioni della vita pubblica e relegata alla cura della famiglia. Ma allo stesso modo è risaputo che una delle manifestazioni più esplicite dell’omosessualità femminile è rappresentato dalla poetessa Saffo, originaria dell’isola di Lesbo dove era sacerdotessa di un tiaso dedicato al culto di Afrodite. Le famiglie benestanti mandavano in questo luogo le proprie figlie, inserite in una pederastia tutta al femminile. Ad esse, infatti, veniva impartita un’educazione finalizzata al matrimonio tramite l’insegnamento del canto e della danza, nonché dei lavori tipicamente femminili e, soprattutto, venivano iniziate all’amore.

All’interno del suo tiaso, Saffo intrattenne più di una relazione con le sue allieve. A testimonianza c’è la sua produzione poetica e, in particolare, due componimenti. Il primo è l’Inno ad Afrodite, dove la poetessa si rivolge direttamente alla dea dell’amore in preda all’ansia per un amore non corrisposto.

Il secondo è invece la celebre Ode della gelosia (identificato dagli studiosi come Frammento 31 V). Qui Saffo osserva una sua allieva in atteggiamenti romantici con un uomo e davanti a quella scena si ingelosisce al punto da soffrire fisicamente:

(…)

ma la lingua mi si spezza e subito

un fuoco sottile mi corre sotto la pelle

e con gli occhi nulla vedo e rombano

le orecchie

 

e su me sudore si spande e un tremito

mi afferra tutta e sono più verde dell’erba

e poco lontana da morte

sembro a me stessa.

(…)

Questa ode, testimonianza dell’esistenza dell’amore lesbico (aggettivo che, con non poca ignoranza e mancanza di tatto, oggi viene usato con significato denigratorio) di pari dignità a quello socialmente accettato tra due uomini, ispirò a Roma il poeta Catullo per la composizione del carme 51: un testo che, pur riprendendo il modello originale, si differenzia per il suo destinatario: non più un’adolescente, ma una donna adulta a cui il poeta veronese, in un sentito omaggio a Saffo, dà il soprannome di Lesbia.

Immagine di copertina: University of Liverpool

A proposito di Ciro Gianluigi Barbato

Classe 1991, diploma di liceo classico, laurea triennale in lettere moderne e magistrale in filologia moderna. Ha scritto per "Il Ritaglio" e "La Cooltura" e da cinque anni scrive per "Eroica". Ama la letteratura, il cinema, l'arte, la musica, il teatro, i fumetti e le serie tv in ogni loro forma, accademica e nerd/pop. Si dice che preferisca dire ciò che pensa con la scrittura in luogo della voce, ma non si hanno prove a riguardo.

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