Orientalismo di Edward Said: cos’è e come si manifesta

Orientalismo di Edward Said: cos'è e come si manifesta

Il saggio sull’Orientalismo di Edward Said, nel quale egli va a costruire una storia dell’immagine europea dell’Oriente, viene pubblicato nel 1978 e tradotto ufficialmente in italiano nel 1991. Edward Said è stato un intellettuale post-coloniale orientale e uno studioso palestinese nato a Gerusalemme, ala dell’impero britannico: egli vive la sua infanzia tra Cairo e Gerusalemme e si trasferisce nel Massachusetts intorno al 1951, dove rimarrà fino alla morte lavorando come docente alla Columbia University.

All’interno dell’Orientalismo di Edward Said, la prima idea che emerge è che l’Orientalismo è uno strumento – nell’ambito della rappresentazione – attraverso il quale l’Occidente ha esercitato il suo dominio sull’Oriente costruendo un’immagine e una rappresentazione culturale distorte e irreali di quest’ultimo. All’interno della sua tesi, infatti, Said sostiene che l’Oriente altro non è che il frutto di un’autodefinizione di un soggetto che si definisce come occidentale e che contrasta ed oppone a sé “l’Altro”, l’Oriente, a cui vengono attribuite delle caratteristiche in opposizione binaria con quelle degli occidentali. Questa rappresentazione dell’Oriente – che parte da un Oriente che diventa vero e proprio oggetto di desiderio da parte del soggetto europeo, fino ad arrivare ad una vera e propria legittimazione dell’occupazione delle terre orientali – nasce già in opere di diversi scrittori come Dante, Shakespeare e Omero, ma possiamo parlare di Orientalismo moderno soltanto a partire dall’imperialismo europeo e l’invasione napoleonica dell’Egitto.

Possiamo dunque esplorare i contenuti del primo capitolo del saggio sull’Orientalismo di Edward Said, The Making of the Other, nel quale ne vengono definiti i confini attraverso una disputa parlamentare inglese risalente al ‘900.

Orientalismo di Said: Egitto e narrazione coloniale

A dare il via a questa prima parte è il discorso di Arthur James Balfour – funzionario dell’impero britannico – al parlamento del Regno Unito in seguito ad un’interpellazione partita da J. M. Robertson – parlamentare del Tyneside – con la domanda «Con che diritto assumete quest’aria di superiorità nei confronti dei popoli che avete deciso di chiamare orientali?».

La risposta di Balfour, secondo Said, è esemplare della logica dell’Orientalismo che è andata a manifestarsi nelle forme di potere coloniale attraverso la costruzione di forme di conoscenza che vanno di pari passo, appunto, a forme di potere.

La risposta di Balfour, in primo luogo, è stata quella di negare di aver assunto alcuna aria di superiorità (anzi, la dà per scontata, in quanto l’Oriente esiste solo in quanto conforme alla conoscenza che gli inglesi hanno dell’Egitto), chiedendo poi a Robertson se avesse anche solo la minima conoscenza della storia e della sua realtà. Ciò che ha fatto Balfour, quindi, è stato giustificare l’occupazione dell’Egitto principalmente con quella che definisce nostra conoscenza dell’Egitto (che va a legittimare il dominio inglese e la mancanza di autonomia politica di quest’ultimo) ancor prima che con il potere economico e militare del Regno Unito. Va quindi a fare un resoconto della storia egiziana parlando del suo iniziale periodo di gloria dispotica, che si è tramutata poi in un declino che ha portato l’Egitto ad un’arretratezza tale da non riuscire ad autogovernarsi: la descrive come una cultura decaduta e subalterna che necessita del dominio inglese, che ha in realtà salvato l’Egitto dalla fine assoluta. È dunque un loro dovere governarli, in quanto, oltretutto, essi sono anche abituati fin da sempre all’assolutismo.

Ciò viene specificato all’interno dell’Orientalismo di Edward Said, inoltre, è che quella egiziana non era una semplice colonia, ma una vera e propria giustificazione dell’imperialismo basato sulla retorica storica di una cultura che è passata da una gloria assoluta ad una decadenza totale: sotto questa prospettiva, dunque, non esiste alcuna mediazione tra culture egemoni e culture dominate; ciò che è chiara è la rappresentazione di queste culture come inferiori, rozze, decadenti, che necessitano di un dominio, e tutto ciò che va contro questa rappresentazione viene totalmente marginalizzato, così come spiega anche Said in questa citazione tratta dal saggio:

«La concezione di fondo, nella sua forma più semplice, era chiara, precisa, facile da afferrare: ci sono gli occidentali, e ci sono gli orientali. I primi dominano; i secondi devono essere dominati, il che vuol dire di solito vedere occupato il proprio paese, rigidamente controllati gli affari interni, la propria vita e le proprie ricchezze messe a disposizione di una o di un’altra potenza occidentale. Che Balfour e Cromer, come vedremo tra poco, attribuissero motivi umanitari a una politica culturale e razziale così dura non indica affatto mendacità e malafede, indica piuttosto quanto l’applicazione alla realtà avesse semplificato e reso efficace una teoria generale

La visione coloniale secondo Cromer in Said

Parlando di Cromer – che aveva già governato l’Egitto sempre in nome dell’Inghilterra -, anch’egli parla di Egitto come oggetto di conoscenza e in opposizione totale all’Occidente.

Avendo conoscenza dell’oggetto (in questo caso, appunto, gli orientali) parla di questi ultimi come arretrati, incivili, senza logica, irrazionali, decaduti e degenerati, tutte caratteristiche in opposizione binaria a quelle che sono invece le caratteristiche degli occidentali, che egli descrive come avanzati, civilizzati, logici, razionali, maturi e normali. Per mitigare dunque questa descrizione negativa dell’Oriente veniva quasi sempre detto che «l’Oriente vive in un mondo diverso da quello occidentale, ma organizzato e con una sua interna coerenza, un mondo con i propri confini geografico-politici, culturali ed epistemologici». Va da sé che questa conoscenza – nata da un rapporto di forza – lascia che sia l’Occidente stesso a costruire l’identità dell’Oriente, degli orientali e del loro mondo. Un’altra cosa che sostiene Cromer è che l’Oriente non possa e non debba essere governato solo ed esclusivamente con la violenza, ma anche attraverso l’egemonia e la creazione del consenso, arrivando alla creazione di un legame più fruttuoso e un rapporto più robusto tra governanti e governati.

In conclusione, all’interno del saggio sull’Orientalismo di Edward Said, quest’ultimo viene definito come un modo di conoscere l’Oriente e una forma di rappresentazione in cui l’Oriente stesso viene rappresentato con eleganza e minuziosa precisione – come in un trattato di zoologia – come qualcuno di decadente che va giudicato (come in un’aula di tribunale), disciplinato (come in una prigione), esaminato e descritto (come in un curriculum) ma soprattutto governato e ordinato dall’Occidente. Nel periodo di massima espansione europea (parliamo quindi degli anni che vanno dal 1814 al 1915) gli europei controllano circa l’85% delle terre emerse e si arriva ad una spartizione di queste ultime tra le due più grandi potenze, Francia e Inghilterra, che condividevano la visione dell’Oriente come subalterno. Arrivavano inoltre a convincere il colonizzato stesso di essere arretrato, colonizzavano le loro anime oltre che i loro corpi e le loro terre, mostrando l’occidente come più potente e più giovane dell’oriente.

Non possiamo dire, ad oggi, di esserci lasciati alle spalle la modalità di rappresentazione e di guardare all’Oriente che viene descritta già nel ‘900 da Said stesso. Principalmente, le rappresentazioni culturali e sociali portate generalmente avanti dai media italiani – con le dovute eccezioni – continua a spingere su quell’opposizione binaria descritta da Said: brava gente italiana contro cattiva gente straniera, lavoratori contro nullafacenti, civili contro incivili. Liberarsi dalle catene di una cultura egemone come quella europea è difficile, ma è un lavoro che in un modo o l’altro può e deve essere portato avanti. 

Fonte dell’immagine: Wikimedia Commons

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