Politicizzazione dei santuari giapponesi: Meiji e Yasukuni

Politicizzazione dei santuari giapponesi: Meiji e Yasukuni

Con politicizzazione s’intende il conferimento di un carattere politico a settori che normalmente ne sono estranei. Andiamo quindi ad analizzare due traiettorie contrastanti di politicizzazione percorse da due dei più importanti santuari giapponesi dopo la fine dell’occupazione: il Meiji Jingu e lo Yasukuni Jinja.

La politicizzazione dei santuari giapponesi e lo shintoismo di stato

Con l’occupazione americana a seguito della resa del Giappone ultranazionalista-militarista dopo la Seconda guerra mondiale il 15 Agosto 1945, venne ridimensionato lo shintoismo di stato, ossia una componente della shintō no shūkyō (ossia della religione shintoista) che era stata posta alla base del funzionamento del kokutai (il sistema dello stato giapponese) come etica della nazione per giustificare valori, rituali ed ideologie revisioniste (come il progetto del Panasiatismo, quindi la supremazia del Giappone nella «Sfera di co-prosperità della grande Asia Orientale»). Al termine dell’occupazione nel 1952, l’Associazione dei Santuari Shintoisti, che aveva avuto fino ad allora il compito di tutelare gli interessi dei santuari, cominciò a reclamare indietro la posizione di rilievo che avevano questi richiedendo una nuova politicizzazione dei santuari giapponesi, e ad accanirsi contro l’interpretazione dello shintoismo come correlato dell’ultranazionalismo che avevano diffuso gli americani, ferendo la cultura giapponese.

Politicizzazione dei Santuari Giapponesi: Meiji e Yasukuni
Santuario Meiji – Fonte: Wikipedia

La politicizzazione del Meiji Jingu come «simbolo che unisce»

Se la riverenza al santuario era stata vietata ai tempi dello SCAP,  il gesto del primo ministro Hatoyama Ichirō e del suo governo nel 1956 di acquistare lamine di rame per l’edificio principale inaugurò una lunga collaborazione tra il suo Partito Liberal Democratico (PLD) e il santuario Meiji, che incarnava i valori tradizionali cari ai deputati conservatori. Difatti, il Meiji era dedicato alla figura dell’omonimo Tennō (ossia dell’Imperatore) che era rimasto una delle poche istituzioni sopravvissute al vaglio degli occupanti americani: questo perché gli USA avevano ben compreso quanto la figura del Tennō fosse simbolica per i giapponesi, e trovarono che per loro era maggiormente conveniente averlo come alleato collaborazionista anziché destituirlo ed inimicarsi il suo popolo (di conseguenza, l’Imperatore non fu inserito tra i criminali di guerra durante i Processi di Tokyo).

Mentre il legame con l’Imperatore assicurava il favore degli americani per la politicizzazione dei santuari giapponesi come il Meiji, l’assenso mondiale fu conquistato attraverso il legame tra shintoismo e ambientalismo: il luogo sacro veniva visto come un power spot carico di energia naturale che si manifestava in alcune attrazioni come il Pozzo di Kiyomasa (noto per il potere di convogliare buona sorte) e la Chinju no Mori (ossia la Foresta Sacra che circonda il tempio) piantata durante la prima guerra mondiale e progettata per autorigenerarsi ed anelare così all’eternità. Secondo il sacerdote-capo del santuario, l’esempio di salvaguardare il proprio futuro per assicurarsi benessere illimitato dovrebbe essere seguito dall’intera umanità unita.

Politicizzazione dei santuari giapponesi: Meiji e Yasukuni
Santuario Yasukuni – Fonte: Wikipedia

La controversa politicizzazione dello Yasukuni Jinja

Lo Shōkonsha, fondato nel 1869, fu poi rinominato Yasukuni Jinja nel 1979, e sin dall’inizio rese evidente l’affiliazione con il ministero degli affari militari accogliendo mostre sulla guerra, celebrazioni militari e le tombe dei soldati deceduti, glorificando la morte in battaglia per il proprio stato. Tale motivazione rese intrinseco il legame con i valori ultranazionalisti-militaristi, il quale fu molto osteggiato dagli americani durante l’occupazione, e fu in grado di sopravvivere al vaglio solo dimostrando buona condotta, eliminando cerimonie e sacerdoti legati a quell’ideologia, Neanche l’espansione del cimitero laico di Chidorigafuchi tuttavia riuscì a marginalizzarlo, e il santuario ritornò in auge dopo la fine dell’occupazione per i giapponesi. Nel 1966 iniziò un iter di processi riguardo la separazione tra stato e religione (come descritta nell’articolo 20 della costituzione del 1946) che culminò con la sentenza della Corte Suprema del 1977, che sanciva la costituzionalità della cerimonia di purificazione dei terreni, ponendo fine al separatismo assoluto. Questo passaggio fu un punto di svolta fondamentale, che giustificò una traiettoria di politicizzazione anche dei santuari giapponesi.

Tuttavia, nessuno si poteva aspettare un evento più controverso per schierare politicamente lo Yasukuni Jinja: nel 1978 vennero commemorati i 14 criminali di guerra di classe A, sepolti nel santuario. Questo gesto incontrovertibilmente condannava sia il Tribunale Internazionale dell’Estremo Oriente che li aveva  giudicati colpevoli, sia rigettava l’idea della guerra di aggressione perpetrata nel Pacifico dal Giappone. La situazione peggiorò con l’intensificarsi delle visite ufficiali al santuario dei primi ministri dello stato, a cominciare da Nakasone nel 1985, che esprimono assenso verso i valori militaristi incarnati dallo Yasukuni.
Ad oggi il luogo, proprio per la sua politicizzazione, è ancora fonte di aspri attriti internazionali, soprattutto per i vicini Cina e Corea, che più di tutti hanno subito i crimini dei generali e degli uomini di guerra, sepolti e commemorati al santuario, e per i cui danni il Giappone non ha ancora posto rimedio (e spesso non ne ha nemmeno riconosciuto integralmente le violazioni). Le visite ufficiali non fanno altro che alimentare il malcontento, e il santuario si presenta come un «simbolo che divide».

Fonte immagine in evidenza e dei santuari: Freepik.com e Wikipedia

 

A proposito di Eleonora Sarnataro

Studiosa di inglese e Giapponese, i suoi migliori amici da sempre sono carta e penna, per mettere nero su bianco emozioni, resoconti e pareri riguardo i più disparati stimoli culturali.

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