Tito, il sisma dell’Ottanta – Intervista a Lina Fermo

TITO

L’intervista che segue ha come protagonista Lina Fermo, cittadina di Tito (PZ) – sito in Basilicata – con la quale si è discusso circa il sisma dell’Ottanta che segnò indelebilmente la gente colpita. In un clima come quello che i cittadini titesi si sono cimentati a descrivere finora, si fatica a percepire il futuro e ci si sente smarriti dinanzi al depennamento di tracce del passato. A Tito i più anziani morirono di crepacuore mesi e anni dopo il terremoto, avendo visto i sacrifici di una vita mutarsi in macerie. Accettare la prepotenza con cui un evento così violento s’impossessò della quotidianità e della normalità è stato certamente il passo più difficile da compiere per queste persone.

Il terremoto del 23 novembre 1980 causò danni rilevanti a Tito: le unità edilizie danneggiate più o meno gravemente furono 901 e le persone rimaste senzatetto furono 599 (12,5%) su un totale di 4834 abitanti.
Numerose abitazioni del centro storico furono danneggiate, con crolli parziali e danni gravissimi nella zona centro-occidentale compresa tra Via Federici e Via San Nicola, mentre crolli parziali si verificarono nella zona nord-orientale delimitata tra Via Vittorio Emanuele e Via Municipio. Grave danneggiamento si ebbe nei pressi di Largo Castello, così come nella zona più settentrionale del paese, rione Notargallotto.
Per quanto attiene l’edilizia religiosa, ancora una volta nella storia la Chiesa Madre di San Laviero subì danni ingenti con il crollo totale delle coperture e delle parti terminali delle murature perimetrali, oltre alla caduta della parte sommitale del campanile e a gravi lesioni alle sue strutture verticali. La Chiesa delle Grazie, o di Sant’Antonio, con l’annesso Convento riportò un grave stato di fessurazione con lesioni nell’ultima campata della volta a crociera della chiesa, oltre che lesioni leggere e diffuse a volte, archi e architravi. Seriamente danneggiata fu anche la Chiesa della Congrega del Carmine, dove si ebbe il crollo della copertura e della volta sottostante insieme a parte delle strutture verticali, tanto da causarne la successiva demolizione. Analoga sorte subì la Chiesa di San Vito, completamente rasa al suolo e in seguito ricostruita nello stesso luogo.

Più di qualcuno ricorda che si trattò di una tiepida serata, quella del 23 novembre dell’Ottanta. Non tutti avevano già provato la sensazione di sentire la terra muoversi sotto i piedi. La gente racconta di un forte boato, accompagnato da un grande movimento prima sussultorio e poi ondulatorio. Le persone erano come impazzite per la paura, si faceva fatica a realizzare cosa stesse succedendo. Per il timore degli sciacalli c’era chi rientrava a casa a recuperare qualcosa d’importante prima di fuggire al sicuro. Ciò che traspare chiaramente da tutte le interviste è un’intensa sensazione d’impotenza dinanzi a un evento così improvviso e annientante.
L’angoscia iniziale per le ipotetiche morti accomunava un po’ tutti e quella situazione assurda appariva come irreale.

Il sisma dell’Ottanta, il caso di Tito

Intervista a LINA FERMO; (48 anni – casalinga) a. 2015

(Si sono lasciati il più possibile invariati i modi di esprimersi e il “linguaggio” parlato usato dagli intervistati)

Cosa serba la sua memoria del drammatico 23 novembre 1980?

Era una sera come tante, avevo tredici anni. Il pomeriggio era stato tiepido e quindi mi ero trattenuta davanti casa a chiacchierare con le mie amiche. Alle 19.00 rientrammo perché era quasi ora di cena, oltre al fatto che quella sera in tv c’era il concerto di Miguel Bosè e io ero una sua fan. Dopo 35 minuti, però, fummo travolti dal terremoto. Erano le 19.35 quando sentimmo un forte boato accompagnato da un grande movimento, prima sussultorio e poi ondulatorio. Eravamo come impazziti per la paura. Con me c’erano i miei fratelli più piccoli e mia madre. Non riuscivo a realizzare cosa stesse succedendo, ma è ancora vivo il ricordo di quei mobili che sbattevano da una parta all’altra, il fracasso dei soprammobili che cadevano e le urla di mia madre che, stringendoci a lei, cercava di proteggerci. Io avevo paura di morire senza riuscire ad abbracciare mio padre e mio fratello più grande, che erano fuori casa. Furono secondi interminabili. Quando la scossa ebbe fine, ci riversammo tutti in strada. Non fu uno spettacolo bello: fuori era tutto buio, era saltata la corrente, si vedeva un gran polverone e a pochi metri da casa mia c’era la Chiesa Madre rasa al suolo. La gente gridava, piangeva e cercava di trovare un rifugio sicuro. Fu in quel momento che capii precisamente cosa rappresentasse il terremoto e presi piena consapevolezza del fatto che si sarebbe potuto ripetere. Afferrammo qualche coperta e, riunita la famiglia, scappammo in campagna, dove rimanemmo a dormire intorno a un falò e dove ci trattenemmo per un’intera settimana. Furono giorni molto duri. Arrivò il freddo e le scosse si ripetettero, la paura aumentava, i viveri scarseggiavano e le nostre abitazioni erano inagibili. Le scuole restarono chiuse e il paese era deserto, c’erano case distrutte, strade dissestate, negozi chiusi…

Ponendo la suddetta data come spartiacque tra il “prima” e il “dopo”, secondo lei cosa è cambiato a Tito?

Prima del terremoto, Tito era un paese prevalentemente agricolo e artigiano, poi c’è stata l’industrializzazione – infatti è stato espropriato molto terreno agricolo per la costruzione di nuove fabbriche – e con la ricostruzione sono nate varie ditte edili. Il paese si è spostato dal centro storico alla periferia, dove sono nati nuovi rioni. Se prima la gente lasciava tranquillamente le chiavi davanti alla porta esterna e ci si conosceva tutti, ora non ci si fida più l’uno dell’altro e a volte non conosciamo nemmeno il nostro vicino di casa.

Attualmente, come le sembra la situazione a Tito a trentacinque anni dal terremoto, sia dal punto di vista dell’aspetto urbanistico della città, sia da quello di una ricostruzione sociale?

Tito si è ingrandito. Si poteva sicuramente costruire meglio, pensando non solo a innalzare palazzi di cemento, ma prendendosi più cura delle strade, dei parcheggi e del verde. Purtroppo, dopo trentacinque anni, case non ristrutturate guastano l’aspetto urbanistico del paese. Dal punto di vista sociale la cittadina è cambiata molto, in passato ci si tratteneva parecchio in strada e c’era collaborazione, oggi si corre.

Nello specifico, rispetto al 1980, oggi quali sono le condizioni del centro storico della città, la zona più colpita del sisma?

Oggi il centro storico è rifiorito. Ci sono case che sono rimaste chiuse per tanti anni – in quanto la gente si è trasferita nei nuovi rioni – che attualmente si sono ripopolate per l’arrivo di forestieri, trasferitisi a Tito per necessità lavorative. In alcune zone hanno demolito alcune case, hanno allargato le strade e creato delle piazzette, dando così più luce a quei vicoli che prima davano una sensazione di soffocamento.

La ricostruzione della Chiesa Madre sembra essere una grande delusione per la comunità titese. Perché e cosa si poteva fare di più?

La Chiesa Madre è sita proprio nel centro storico e la sua ricostruzione non ha tenuto conto delle fattezze di quella chiesa che la gente ricorda con molta nostalgia.

 

Si ringrazia Lina Fermo per la gentile partecipazione!

A proposito di Chiara D'Auria

Nata e cresciuta in Basilicata, si laurea in Filologia Moderna presso l’Università Federico II di Napoli. Scrive per abbattere barriere e scoperchiare un universo sottopelle abitato da anime e microcosmi contrastanti: dal borgo lucano scavato nella roccia di una montagna avvolta nel silenzio alle viuzze partenopee strette e caotiche, dove s'intravede il mare. Scrive per respirare a pieni polmoni.

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