Vera Gheno e lo shwa: il linguaggio che ci rende umani

Vera Gheno

Vera Gheno è una linguista, saggista e traduttrice italiana.
Dopo aver conseguito il diploma al Liceo Classico Machiavelli di Firenze, decide di laurearsi in sociolinguistica il 12 aprile 2002 presso l’università degli studi di Firenze.
Successivamente, Vera Gheno nel 2006 consegue nella stessa Università il dottorato di ricerca in linguistica italiana.
La sociolinguista si occupa di studiare il linguaggio in rapporto alla società e in questo modo permette di rendere migliore la vita delle persone attraverso le parole; infatti come sostiene Vera Gheno:il linguaggio è l’unica cosa che ci rende umani.”
Nello specifico, Vera Gheno è specializzata in comunicazione digitale ed è una sostenitrice dell’utilizzo dello shwa.

Cos’è lo shwa?

Dalle parole di Vera Gheno si intuisce che lo shwa è il suono che corrisponde alla vocale media per eccellenza, che si colloca nel mezzo del quadrilatero delle vocali e non è necessario deformare la bocca per riprodurre il suono, perché basta semplicemente tenere la bocca a riposo. Il suono non è difficile perché è simile a quello che tutti gli studenti fanno quando non sanno rispondere ad una domanda posta dal professore.

Lo shwa è un simbolo di genere maschile dell’alfabeto fonetico internazionale (IPA) e che viene rappresentato con il simbolo “ə”. Il nome del simbolo è tedesco e proviene dall’ebraico: “shĕwā” che significa “nulla”. Lo shwa viene utilizzato per rivolgersi a una moltitudine mista che contiene persone non binarie, cioè individui che non si riconoscono né nel genere femminile né in quello maschile.

Per questo motivo, in molti contesti LGBTQl+, collettivi femministi si è incominciato ad usare una serie di simboli presi dalla tastiera: l’asterisco, il trattino basso, la barra, la chiocciola e la “u”.

Le identità non binarie costituiscono l’1% della popolazione, ma questo non deve essere una giustificazione per non servirsi dello shwa, perché le parole contano per autodefinirsi.

Dunque, se si decide di prendere come riferimento un’ottica inclusiva, non si possono e non si devono escludere queste persone.

Vera Gheno si sofferma anche sul termine “inclusività”. Il termine significa: la capacità di includere, accogliere e di non discriminare. Tuttavia, la parola evidenzia una divergenza tra le persone che includono e quelli che vengono accolti. Quindi si crea una società normocentrica in cui i “normali” includono e i “diversi” vengono accolti. La parola inclusività toglie oggettività ai divergenti per questo lo studioso e autistico Fabrizio Acanfora predilige l’espressione “convivenza delle differenze”.

Bisogna sottolineare come la studiosa utilizzi la preposizione articolata “delle” e non quella semplice “con” perché in questo modo si mette in luce che tutti siamo diversi. Infatti, come afferma il poeta Robert Zend: “le persone hanno una cosa in comune, sono tutte differenti.” Nel mondo ci sono vari esperimenti su questa lingua che possa permettere agli individui di convivere con le differenze. In Inghilterra si utilizza il singularthey, in America latina la x e in Spagna la “@” oppure i plurali in “e” cometodes”.

La domanda che sorge spontanea è la seguente: “Perché la maggior parte delle persone considera lo shwa come una minaccia?”

Innanzitutto perché è un suono alieno all’inventario fonematico dell’italiano standard, è un suono difficile da usare perché non è presente in molte tastiere e crea difficoltà ai dislessici e agli anziani. Inoltre, lo shwa è molto invasivo perché si sta pensando di cambiare la lingua italiana.

Negli anni la lingua italiana ha subito dei cambiamenti, non si parla certo la lingua di Dante o Leopardi ma è difficile che si verifichi una modifica all’interno della morfologia italiana. Nonostante ciò, lo shwa viene utilizzato da molti e anche da alcune case editrici.

Voi cosa ne pensate? Lo shwa è davvero una minaccia?

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