La cucina romana affonda le sue radici nella tradizione contadina, basata su ingredienti poveri ma genuini provenienti dalle campagne laziali. Le specialità di questa regione sono nate per sfamare i lavoratori con piatti sostanziosi, capaci di fornire un importante apporto calorico ed energetico. La tradizione odierna è un’eredità di quel passato, con primi piatti a base di pasta e secondi di carne e verdure che si distinguono per sapori decisi e porzioni generose.
Indice dei contenuti
I quattro primi piatti romani: la base della tradizione
La pasta è il cuore pulsante della cucina romana. Quattro ricette, basate su pochi ingredienti sapientemente combinati, formano i pilastri della tradizione.
Tabella di confronto dei primi romani
| Piatto | Ingredienti principali |
|---|---|
| Cacio e Pepe | Pecorino Romano, pepe nero. |
| Gricia | Guanciale, Pecorino Romano, pepe nero. |
| Amatriciana | Guanciale, Pecorino Romano, pepe nero, pomodoro. |
| Carbonara | Guanciale, Pecorino Romano, pepe nero, tuorli d’uovo. |
Carbonara: sua maestà la regina della cucina romana. Un piatto cremoso e avvolgente, dove il giallo intenso del tuorlo d’uovo si sposa con il sapore deciso del guanciale croccante e del pecorino, con una spolverata finale di pepe nero. È una tappa obbligata per chi visita Roma.
Amatriciana: questo piatto prende il nome da Amatrice, cittadina in provincia di Rieti. La ricetta è un’evoluzione della Gricia, con l’aggiunta del pomodoro. Ingredienti poveri ma genuini come guanciale, pecorino e salsa di pomodoro creano un sugo saporito e autentico.
Supplì: il re dello street food romano
Il supplì è il re indiscusso dello street food romano. Il suo nome deriva dal francese *surprise* (sorpresa), per il cuore di mozzarella filante che si scopre al primo morso. Viene chiamato anche “supplì al telefono” perché, dividendolo a metà, il formaggio fuso crea un “filo” che ricorda quello del telefono. Si tratta di una polpetta di riso al ragù, impanata e fritta, da non confondere con l’arancino siciliano.
Il Quinto Quarto: l’arte del non sprecare
Il “quinto quarto” è la celebrazione della cucina povera, che non butta via nulla. Il nome indica tutto ciò che veniva scartato dopo la macellazione dell’animale: le interiora e le parti meno nobili. Questa tradizione, come documentato da fonti autorevoli come il Gambero Rosso, nasce nel rione Testaccio, dove sorgeva l’ex Mattatoio. I lavoratori venivano spesso pagati con questi scarti, che hanno dato vita a piatti gustosissimi come la trippa alla romana, la coda alla vaccinara e la coratella d’abbacchio con i carciofi.
I Carciofi: alla Romana e alla Giudia
Il carciofo romanesco (la “mammola”) è protagonista di due ricette iconiche. I carciofi alla romana vengono cotti lentamente in tegame con aglio, mentuccia e olio, risultando tenerissimi. I carciofi alla giudia, tipici della tradizione giudaico-romanesca del Ghetto, vengono fritti due volte fino a diventare croccanti come patatine, aprendosi a fiore.
Maritozzo: il dolce soffice della capitale
Non poteva mancare uno dei dolci romani più buoni e soffici. Il maritozzo è un panino dolce di pasta lievitata, tagliato a metà e farcito con un’abbondante dose di panna fresca montata. Il nome, secondo la tradizione raccontata anche dal portale turistico ufficiale di Roma, deriverebbe dall’usanza dei futuri mariti (“maritozzi”) di regalare questo dolce alle proprie fidanzate come pegno d’amore.
Fonte immagine in evidenza: Pexels
Articolo aggiornato il: 30/09/2025

