La vita di Andre Agassi: l’ossimoro del tennis che ha imparato ad amare se stesso trascorrendo più tempo all’inferno che in campo
“Tutti vogliono essere Andre Agassi. Ma nessuno sa cosa significhi essere Andre Agassi”
Questa frase, presa in prestito e adattata dal celebre film del 2017 “Borg vs McEnroe”, in quel caso riferita al celebre tennista danese Bjorn Borg, calza a pennello nel tratteggiare il ritratto di un altro celebre tennista: Andre Agassi. Diverso anni luce dal freddo Borg, ma che con il danese ha condiviso una malsana ossessione per lo sport che lo ha reso celebre in tutto il mondo.
Chi è Andre Agassi
Salopette di jeans, smalto rosso fiammeggiante sulle unghie, capelli da moicano – un look da ribelle anticonformista che ricorda i protagonisti sui generi del film “Wild at Heart” del grande David Lynch. Occhi penetranti, quasi in grado di scrutare l’anima, un talento raro nel tenere una racchetta da tennis in mano, un odi et amo con la stessa che avrebbe messo in difficoltà persino Catullo. Semplicemente Andre Agassi. La sua biografia “Open” è diventata in pochi anni un classico della letteratura sportiva; ci ha permesso di conoscere ed addentrarci nella sua storia personale: un uomo insicuro, che odiava completamente la propria professione, ma talmente abile nella stessa da non poter far altro nella vita. Per comprendere a pieno le fragilità dell’essere umano Andre Agassi vi basti pensare alla sua prima finale persa, quella del French Open 1990, una sconfitta arrivata a causa del parrucchino che indossava, sorretto da 20 forcine e fonte di ansie ed insicurezze che gli hanno impedito di concentrarsi in modo adeguato sulla finale.
La vita di Andre Agassi: Le origini
Fin dalla tenera età, il padre Mike, ha spinto Andre verso il tennis in modo ossessivo, convinto che suo figlio sarebbe diventato un campione. La sua infanzia non può essere in alcun modo paragonata a quella di un bambino normale. I giocattoli e i cartoni animati lasciano presto spazio alla racchetta e al celebre “Drago”(Macchina spara palline modificata per rendere più difficoltose le traiettorie e le ricezioni), con papà Mike che lo sottopone a sedute di allenamento estenuanti-al limite dell’abuso infantile- sin dall’età di sette anni. Quegli anni di eterna preparazione per perseguire il sogno di un cassetto che non era il suo, hanno avuto un impatto significativo sulla salute mentale di Agassi, che anno dopo anno, torneo dopo torneo, inizia a sviluppare una vera e propria avversione per lo sport che avrebbe invece dovuto amare visceralmente. Lo stesso Agassi ha raccontato di aver preso in considerazione l’idea del suicidio quando era solo un ragazzino, a causa delle enormi pressioni a cui era sottoposto dal padre:
“Odio il tennis, ma lo amo. Odio che mi abbia reso chi sono, ma lo amo perché mi ha permesso di diventarlo.”
L’ossessione
Il piccolo Andre cresce, pieno di insicurezze personali e con l’eterno timore di deludere papà, il quale riversa su di lui ogni sua aspirazione di grandezza ormai spazzata via dal trascorrere del tempo.
Mike amava spesso ripetere ad Andre:
«Se colpisci 2.500 palle al giorno, ne colpirai 17.500 alla settimana e quasi un milione in un anno. Un bambino che colpisce un milione di palle all’anno sarà imbattibile.»
La rigida disciplina che Andre ha dovuto sopportare negli anni della crescita, tra il padre e la scuola tennis di Nick Bollettieri, lo ha portato a diventare uno spirito ribelle, dedito alle provocazioni, un ragazzo che non ascoltava più alcuna forma di autorità e che faceva sempre di testa propria; una sorta di anarchico interessato solamente a fuggire da una realtà soffocante, che non gli permetteva di vivere nel modo sereno che avrebbe desiderato.
La vita di Andre Agassi: la nascita del campione
Nonostante tutto, il piano di Mike per rendere il proprio figlio il prototipo del tennista perfetto funziona e quel ragazzo, diventato uomo senza neanche aver avuto una vera adolescenza, emerge come uno dei più grandi talenti del tennis mondiale. Vince il suo primo torneo del Grande Slam all’età di 22 anni, trionfando, a sorpresa, a Wimbledon nel 1992, ritenuto dagli esperti il torneo meno adatto a esaltare le sue caratteristiche tecniche.
Il nome Agassi diventa in quel momento conosciuto in tutto il mondo, i capelli lunghissimi che amava portare sotto una fascetta diventano il taglio del momento, le donne iniziano a presentarsi a schiere ovunque alloggi.
Ma, se la figura di Agassi, il tennista, diventa sempre più luccicante, qualcosa dentro Andre, l’essere umano, si incrina sempre di più:
“Non riuscivo a trovare la felicità nel tennis. La trovavo solo quando smettevo di giocare.”
Dalla morte arriva la rinascita
Negli anni successivi, Agassi sprofonda in un periodo di profonda crisi personale e professionale. Dichiarerà in seguito di aver fatto uso massiccio di alcol e metanfetamine, rischiando quasi ogni notte di non vedere l’alba successiva.
Nel 1997, dopo essere sceso fino alla posizione numero 141 del ranking ATP, prende la drastica decisione di cambiare radicalmente il suo approccio al tennis e alla vita. Si sottopone a un intenso allenamento fisico e mentale, abbracciando uno stile di gioco meno spettacolare, ma più aggressivo ed efficace e cambiando radicalmente anche la propria immagine. Via l’impalcatura di capelli da moicano e quelle dannate forcine per lasciar posto a una non meno magnetica pelata, sfoggiata nel modo più dignitoso possibile, senza più timore di giudizio da parte degli altri.
Il nuovo Andre Agassi
Il nuovo, rinato e pelato Andre Agassi vince altri sette tornei del Grande Slam, diventando così il quinto giocatore di sempre a completare il Career Grand Slam, vincendo tutti e quattro i tornei del Grande Slam.
Agassi decide di appendere la racchetta da tennis al chiodo nel 2006, all’età di 36 anni, dopo una carriera leggendaria, piena di luci e ombre, ma che lo ha visto vincere 60 tornei ATP, battagliare con il rivale di sempre Sampras e trascorrere 101 settimane come numero uno del ranking mondiale. Dopo il ritiro, ha continuato a impegnarsi in attività filantropiche, concentrandosi sulla promozione dell’istruzione per i bambini meno fortunati attraverso la sua fondazione benefica.
Il lascito
Dopo aver vissuto l’epoca d’oro di Federer, Nadal e Djokovic, tre tennisti rimasti per anni ai vertici del tennis mondiale e che hanno fatto della costanza la loro forza più grande, fa quasi strano tornare a parlare di un campione certamente meno influente degli altri tre sopra citati; tremendamente discontinuo, non certo l’esempio “Da Mulino Bianco” da mostrare ai più piccoli che si approcciano al tennis, ma al contempo affascinante, magnetico, coinvolgente, persino per chi di tennis ne mastica poco.
Andre Agassi: ossimoro
Andre Agassi ha incarnato a piene mani non tanto il prototipo del tennista perfetto, come avrebbe voluto papà Mike, quanto quello dell’ossimoro applicato alla racchetta: uno di quei giocatori in grado di perdere da favorito contro l’avversario più improbabile, ma di vincere stoicamente quando tutti lo davano per spacciato; uno che è passato dall’essere numero 1 nel ranking ad essere 141esimo. Uno che dopo essere sprofondato nel baratro delle dipendenze per anni, è riuscito a svegliarsi da un torpore della durata di 5 anni, a divincolarsi dalle manipolazioni del padre, ad affrontare i propri demoni interiori e a tornare più forte di prima, reimparando nuovamente ad amare il tennis, ma soprattutto ad amare se stesso, anche grazie al decisivo incontro con l’attuale moglie, ironia della sorte, anche lei tennista: Steffi Graf.
C’è una possibilità su un milione che rinasca un altro tennista con la fisicità di Rafa Nadal, o magari con la pulizia tecnica di Roger Federer, o ancora uno in grado di coniugare entrambe le cose come Novak Djokovic. Ma fidatevi, non esiste nemmeno una possibilità infinitesimale che rinasca un altro Andre Agassi.
Fonte immagine in evidenza per l’articolo sulla vita di Agassi: Wikimedia Commons
Autore: ZankaM