Nozze di Sangue al TRAM | Recensione  

Nozze di Sangue al TRAM | Recensione

Il secondo ciclo della stagione teatrale del teatro TRAM si chiude con la cruda tragedia Nozze di sangue di Federico García Lorca, riadattata e diretta da Gianmarco Cesario, in scena dal 17 al 27 febbraio.

La scelta di portare in scena una tragedia dai molteplici significati appare brillante nel suo intento didattico verso lo spettatore che, uscito dal teatro, necessiterà di tempo per rielaborare ciò che ha visto, data la potenza delle immagini e delle parole. La trama verte sulla storia, in una Spagna rurale e patriarcale, di personaggi senza nome, identificati soltanto per il loro ruolo sociale. In scena c’è una madre (Pietro Juliano), che rimugina sulla malata invenzione del coltello, un’arma tanto piccola quanto letale, che le ha già portato via marito e primogenito. Suo Figlio (Guido Di Geronimo) è la sua unica speranza di vita, motivo per cui è tanto impensierita dalle voci che girano sulla donna che quest’ultimo tanto freme di portare all’altare.

Una donna è tale se “sa prepararsi il pane e cucirsi una gonna da sola” e il matrimonio non è altro che “un uomo, dei figli, e un palmo di muro per tutto il resto del mondo”, solo così una donna può essere considerata tale e pura. La scelta di Cesario, infatti, appare provocatoria: seppure i personaggi portatori di questo forte e soffocante maschilismo siano tutte donne nel dramma di Lorca, gli attori del suo Nozze di Sangue sono tutti volutamente uomini, fatta eccezione della Sposa (Germana Di Marino).

La Sposa, orfana di madre, insospettisce la Madre per aver già avuto un fidanzamento proprio con un uomo della stirpe dei Felix, coloro che hanno strappato dalle sue braccia marito e figlio. Leonardo (Leonardo Di Costanzo)  è l’unico personaggio ad avere un nome, emblema forte della ribellione e del desiderio di libertà, è sposato con la cugina della sposa, ma non riesce a dimenticare gli anni passati con lei e alla notizia delle sue nozze non può che correre a rimembrarle il suo amore. La Sposa, seppur combattuta, cede e fugge con l’amante: la sua è una passione che l’avrebbe trascinata sempre, a prescindere da ogni cosa.

I toni della scenografia sono tetri, i costumi altrettanto scuri, i cambi d’abito avvengono sul fondo del palcoscenico lenti e solenni, a scandire sempre più il ritmo tragico dell’intera vicenda. Solo quattro gli attori, per molti personaggi, tutti soffocati e soffocanti, contrassegnati dalla cupezza di una società maschilista e a tratti dittatoriale, in cui non può esservi libertà. La Sposa, “falena nera” il cui trucco scuro sottolinea l’oscurità della sua anima tormentata, vede infranto dagli uomini che la circondano il suo desiderio di liberare la propria femminilità.

Il finale tragico, che avviene sotto la luce della Luna (Adriana Napolitano/Ilaria Leone), la quale arriva in scena danzando, è pervaso dalla società che crede di aver fallito, solo perché l’eros provato da una donna si mescola inevitabilmente a thanatos. Solo la sposa diventa la colpevole, la quale invano tenta ancora di riscattare la sua purezza. Il triste scenario maschilista, patriarcale e retrogrado di Nozze di Sangue, ancora rimanda degli echi vivi e moderni alla nostra società, in cui essere una donna è ancora troppo spesso una maledizione e un peso che attanaglia la libertà. 

Photo credit: Ufficio Stampa Teatro TRAM

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A proposito di Chiara Leone

Zoomer classe '98, studentessa della scuola della vita, ma anche del corso magistrale in Lingue e Letterature Europee e Americane all'Orientale. Amante dell'America intera, interprete e traduttrice per vocazione. La curiosità come pane quotidiano insieme a serie tv, cibo, teatro, libri, musica, viaggi e sogni ad occhi aperti. Sempre pronta ad esprimermi e condividere, soprattutto se in lingue diverse.

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