Pieces of a Woman, di Webér e Mandruczò | Recensione

Pieces of a Woman, di Kata Webér e Kornél Mandruczò | Recensione

Dopo il successo di Imitation of Life, ritorna il duo Kata Webér e Kornél Mandruczò

Il Teatro Bellini ritorna ad aprirsi a un teatro internazionale, ospitando all’interno della sua stagione Pieces of a Woman scritto da Kata Webér, diretto da Kornél Mandruzcò e interpretato da Dobromir Dymecki, Magdalena Kuta, Sebastian Pawlak, Joanna Połeć, Marta Ścisłowicz, Justyna Wasilewska e Agnieszka Żulewska. Lo spettacolo, come fu già proposto l’anno scorso per Imitation of Life, è stato trasmesso in lingua originale (ungherese) con la proiezione dei rispettivi sottotitoli tradotti in italiano.

Pieces of a Woman: la proposta di un linguaggio teatrale diverso

Pieces of a Woman si rivela una proposta, finalmente per davvero, contemporanea. Innanzitutto, dall’argomento affrontato: la gravidanza e la tragedia del lutto, con le loro conseguenze. Infatti, Maja è la protagonista alle prese fin da subito con il momento del parto, con tutti gli stati psicologici e fisici connessi come la stanchezza, le paure e le incertezze, coadiuvate probabilmente anche dalla consapevolezza dei rischi dovuti alla scelta di non partorire in ospedale ma privatamente a casa. Eppure, per tutta la durata di Pieces of a Woman, Maja è una donna che porta fino in fondo la sua decisione, finanche davanti allo spavento del marito nel momento in cui si rompono le acque. Purtroppo, però, fa i conti con quella disperazione che nessun genitore si augurerebbe mai di provare, ovvero la perdita della sua bambina. Successo per un errore? Successo per scelte non valutate bene? Successo per controlli non fatti bene? A Maja non interessa scoprirlo, bensì le importa rinchiudersi nella sua sofferenza e viverla, prendersi cura a modo suo dei pezzi di sé stessa – Pieces of a Woman, non a caso -, a differenza della sua famiglia che sembra non apprezzare i suoi modi di affrontare la perdita.

Pieces of a Woman, allora, successivamente si focalizza sulla questione di come si presuppone ci si debba comportare davanti agli eventi della vita e tanto più a una simile tragedia, un qualcosa di imposto a Maja dalla sua famiglia, composta dal suo compagno, da sua madre ormai anziana, sua sorella, suo cognato e una sua cugina rincontrata dopo tanto tempo. Ed a questo punto, Pieces of a Woman si trasforma in un vero e proprio dramma familiare nel quale vengono toccati e messi in discussione con peculiarità incredibile valori borghesi, che rivelano la loro ipocrisia davanti al grido della protagonista di essere lasciata in pace ad affrontare le sue decisioni nonché il proprio dolore.

Ma Pieces of a Woman rivela la sua contemporaneità anche nel linguaggio teatrale scelto, che offre degli spunti interessanti sui quali riflettere – e non è scontato in un panorama in cui prolifera una sempre più preoccupante monotonia. Come era per lo spettacolo della stagione scorsa, anche questo combina il teatro al linguaggio cinematografico. Se da un lato è un’esigenza forse inevitabile per consentire la proiezione dei sottotitoli e, di conseguenza, l’incontro con un aspetto internazionale della stagione teatrale, è anche una scelta che sembra accogliere i gusti culturali di oggi. In uno stato di cose dove è evidente l’interesse crescente per il mondo della digitalizzazione -da intendersi in questo caso in senso molto ampio – Pieces of a Woman propone una possibile connessione tra il mondo del teatro, quello del cinema e, ci sembra, anche quello dei format sui piccoli schermi. Non è una questione relativa soltanto ai modi di creare un ambiente coerente da questo punto di vista, ma è legata anche e soprattutto ai modi di creare una struttura spettacolare coesa e sensata per gli interessi del pubblico odierno.

Se questa possa essere una proposta realmente vincente, o meglio, se si rivelerà l’affermazione della morte del teatro o se, al contrario, si rivelerà un’apertura fresca e rivivificante, solo il tempo potrà stabilirlo. Nel frattempo, Pieces of a Woman ha il coraggio e l’intelligenza di proporre interrogativi e visioni nuovi.

Fonte immagine: Teatro Bellini 

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A proposito di Francesca Hasson

Francesca Hasson è giornalista pubblicista, iscritta all’Albo dal 2023. Appassionata di cultura in tutte le sue declinazioni, unisce alla formazione umanistica una visione critica e sensibile della realtà artistica contemporanea. Dopo avere intrapreso gli studi in Letteratura Classica, avvia un percorso accademico presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II e consegue innanzitutto il titolo di laurea triennale in Lettere Moderne, con una tesi compilativa sull’Antigone in Letterature Comparate. Scelta simbolica di una disciplina con cui manifesta un’attenzione peculiare per l’arte, in particolare per il teatro, indagato nelle sue molteplici forme espressive. Prosegue gli studi con la laurea magistrale in Discipline della Musica e dello Spettacolo, discutendo una tesi di ricerca in Storia del Teatro dedicata a Salvatore De Muto, attore tra le ultime defunte testimonianze fondamentali della maschera di Pulcinella nel panorama teatrale partenopeo del Novecento. Durante questi anni di scrittura e di università, riscopre una passione viva per la ricerca e la critica, strumenti che considera non di giudizio definitivo ma di dialogo aperto. Collabora con il giornale online Eroica Fenice e con Quarta Parete, entrambi realtà che le servono da palestra e conoscenza. Inoltre, partecipa alla rivista Drammaturgia per l’Archivio Multimediale AMAtI dell’Università degli studi di Firenze, un progetto per il quale inserisce voci di testimonianze su attori storici e pubblica la propria tesi magistrale di ricerca. Carta e penna in mano, crede fortemente nel valore di questo tramite di smuovere confronti capaci di generare dubbi, stimolare riflessioni e innescare processi di consapevolezza. Un tipo di approccio che alimenta la sua scrittura e il suo sguardo sul mondo e che la orienta in una dimensione catartica di riconoscimento, di identità e di comprensione.

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