Donne avvelenatrici, le prime assassine della storia

Donne avvelenatrici

Donne avvelenatrici: storie di ribellione e veleno

Il veleno: l’arma delle donne in una società senza scelta

La figura delle donne avvelenatrici ha sempre esercitato un fascino oscuro nella storia. Spesso relegate a un ruolo subalterno, senza la possibilità di divorziare, di possedere beni o di denunciare abusi, alcune donne hanno trovato nel veleno l’unica, silenziosa via di fuga. Il veleno è diventato l'”arma dei deboli”, uno strumento di potere occulto utilizzato per sovvertire un ordine sociale che non lasciava loro scampo. Le loro storie, pur essendo cronache di crimini efferati, sono anche lo specchio di una disperazione estrema e di una società profondamente ingiusta, in cui l’omicidio poteva apparire come l’unica forma di liberazione possibile.

3 donne avvelenatrici che hanno segnato la storia

Nel corso dei secoli, alcune di queste figure sono emerse dall’ombra, diventando tristemente celebri per le loro azioni. Le loro storie sono diverse, ma unite da un comune filo rosso: l’uso letale di pozioni e intrugli.

Giulia Tofana e l’Acqua Tofana: l’impresa criminale al servizio delle donne

Giulia Tofana è forse la più nota tra le donne avvelenatrici del Seicento italiano. Cresciuta in un quartiere malfamato di Palermo, decise di creare e vendere una pozione letale per affrancarsi dalla miseria e, al tempo stesso, per aiutare altre donne. La sua “Acqua Tofana” era una miscela mortale di acqua, anidride arseniosa, piombo, antimonio e succo di bacche di belladonna. La pozione era inodore, insapore e incolore, perfetta per essere somministrata senza destare sospetti. Per non essere scoperta, Giulia la vendeva in boccette decorate, spacciandola per un cosmetico o un’acqua miracolosa per la pelle. Le sue clienti erano principalmente mogli intrappolate in matrimoni infelici e violenti. La sua attività finì quando una cliente, pentita, fece sopravvivere il marito e la denunciò alla Santa Inquisizione.

Locusta: l’avvelenatrice degli imperatori romani

Nell’antica Roma, il nome di Locusta era sinonimo di veleno. Giovane donna di origine gallica giunta a Roma come schiava, divenne la più richiesta e temuta esperta di tossicologia della città. Gestiva un emporio dove preparava veleni su commissione per l’élite romana. La sua cliente più famosa fu Agrippina minore, che si rivolse a lei per eliminare l’imperatore Claudio con dei funghi avvelenati. Successivamente, fu il figlio di Agrippina, Nerone, a ricorrere ai suoi servizi per uccidere il fratellastro Britannico. Per i suoi servigi, Nerone la protesse e le concesse l’impunità. Tuttavia, alla morte dell’imperatore, il suo successore Galba la fece arrestare, trascinare in catene per le strade di Roma e giustiziare brutalmente. Locusta è passata alla storia come una delle prime assassine seriali ufficialmente riconosciute.

Madame Alexe Popova: giustiziera delle mogli maltrattate

La storia di Madame Alexe Popova, vissuta nella Russia zarista tra l’Ottocento e il Novecento, è particolarmente complessa. Si stima che abbia ucciso circa 300 uomini, ma non per profitto. In un’epoca in cui i diritti delle donne erano inesistenti e i maltrattamenti domestici considerati normali, Madame Popova divenne un punto di riferimento per le mogli disperate. Le donne si rivolgevano a lei per sfuggire a mariti violenti, sapendo che la polizia non le avrebbe ascoltate. La sua tecnica era subdola: si presentava come amica di famiglia, conquistava la fiducia del marito e poi lo avvelenava con l’arsenico, un veleno insapore e facilmente reperibile come topicida. Fu scoperta quando una delle sue “clienti” si pentì e la denunciò. Durante il processo, Madame Popova ammise le sue colpe, ma si dichiarò in buona fede, affermando che il suo unico scopo era liberare quelle donne da un’esistenza di abusi.

Oltre il crimine: le donne avvelenatrici come fenomeno sociale

Le storie di queste donne avvelenatrici, pur narrando atti criminali, offrono uno spaccato crudo sulla condizione femminile in epoche passate. L’uso del veleno emerge non solo come un metodo di omicidio, ma come un tragico atto di ribellione contro un sistema che negava alle donne ogni forma di autonomia e protezione. Figure come Giulia Tofana o Madame Popova, al di là del loro ruolo di assassine, si configurano quasi come operatrici di un’oscura “giustizia sociale”, rispondendo a una domanda generata dalla disperazione. Analizzare questo fenomeno significa quindi non solo studiare la storia della criminologia, ma anche comprendere le dinamiche di potere, oppressione e resistenza che hanno attraversato i secoli.

Fonte immagine: Pixabay

 

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