Inaugurazione della mostra Naturalis historia | Studio Trisorio

Naturalis historia

Inaugurata, sabato 3 dicembre, presso la vetrina dello Studio Trisorio (via Carlo Poerio, 116), Naturalis historia la mostra d’arte contemporanea  con le opere di Francesco Arena, Marisa Albanese, Gregorio Botta, Elisabetta Di Maggio, Jan Fabre, Rebecca Horn, Alessandro Piangiamore, aventi come comun denominatore, il tema del leggendario “oro rosso”, il corallo.

Il mito del corallo 

Oltre alla leggendaria genesi di questo fantastico organismo marino, creato dal contatto del sangue della Gorgone Medusa e le alghe marine, così come si racconta nelle Metamorfosi di Ovidio e  nella Naturalis historia di Plinio il Vecchio,  “l’oro rosso” era noto presso gli antichi romani per il suo valore terapeutico e apotropaico. Ciò spiegherebbe anche a quei tempi il suo diffuso utilizzo per la produzione di gioielli e oggetti scaramantici: molte erano le madri che adornavano infatti il collo dei loro figli per allontanare da loro ogni influsso negativo.

Il percorso espositivo di Naturalis historia

Il percorso espositivo di Naturalis historia mostra la creatività, lo stile, il modo personale ed originalissimo con cui tutti gli artisti, tra le figure più significative dell’arte contemporanea nazionale e internazionale, hanno realizzato le loro opere lasciandosi ispirare da questo affascinante materiale. 

Nelle opere della serie Storia Naturale di Francesco Arena,  si osserva la perfetta geometria di una cornice di metallo di un metro quadrato  interrotta da  un ramo di corallo grezzo, a voler simboleggiare l’irruzione del tempo della natura in quello della cultura.

In Paesaggio, Marisa Albanese, inserendo il corallo  in un ramo di bronzo,  mette in rilievo la capacità di metamorfosi e di coesistenza degli organismi viventi.

Nelle opere della serie Breath, di Gregorio Botta, piccoli pezzi di corallo sono incastonati in lastre di alabastro facendo emergere  nuove forme. 

Nei lavori dal titolo “Vuoti d’aria”, Elisabetta Di Maggio invece utilizza  dei coralli bianchi del Madagascar; lavorando con il suo strumento di lavoro preferito, il bisturi, su materiali fragili come le foglie, mette in luce non solo la loro  trama nascosta, ma anche allo stesso tempo la precarietà delle relazioni e della condizione umana.

Nel lavoro di Jan Fabre The Dagger of an Angel  con il corallo, proveniente da Torre del Greco (Na), un vero gioiello: un pugnale rivestito con piccoli corni, petali e rosette di corallo, che si trasforma da simbolo atavico di potenza e violenza a una seducente arma al servizio della bellezza, come auspicio di vita e rigenerazione.

Rebecca Horn in Die Rosenheit in der Schwebe ci seduce con una danza amorosa  messa in atto da un congegno meccanico, che permette a due rami di corallo di avvicinarsi e allontanarsi lentamente sfiorandosi.

I paradossi poetici creati da Alessandro Piangiamore rimandano invece ad associazioni visive fra il corallo e la lava del vulcano, spingendo lo spettatore a riflettere tra il lungo tempo necessario alla formazione di un corallo e la repentina potenza distruttiva di un’eruzione.

All’inaugurazione di Naturalis historia hanno partecipato davvero in tanti: collezionisti, assidui e affezionati visitatori dello studio Trisorio.  Nella sala perfettamente allestita presso la vetrina dello studio, la titolare della galleria, Laura Trisorio, ha presentato gli artisti  e le loro opere a tutti gli invitati presenti.

Anche noi abbiamo avuto questa grande opportunità di dialogare con alcuni di loro e di porre loro qualche domanda, per far conoscere in questo modo qualcosa di più delle loro opere ai nostri lettori.

Intervista a:

Francesco Arena

Mi sembra di capire che un elemento ricorrente nelle sue opere sia il tempo.

Esattamente, sono sempre stato interessato al rapporto che lega l’uomo, il tempo e le cose. Sai, il tempo dell’uomo è differente dal tempo delle cose: il tempo dell’uomo ha una scadenza prestabilita e in ogni modo rapida, le cose invece hanno un tempo più duraturo, e ciò ha a che fare evidentemente con la forza della natura, con la resistenza della pietra e con il ripetersi costante dei fenomeni.

Come ha utilizzato il corallo nelle opere di questa serie “Storia naturale”?

Ho utilizzato il corallo come un momento di interruzione naturale in uno schema geometrico inventato dall’uomo, legato alle misure degli oggetti, al metro quadrato, al metro cubo. Questa interruzione naturale è in qualche modo un’ interruzione temporale, perché un corallo di 10 cm, un oggetto apparentemente così piccolo, in realtà per crearsi impiega dagli ottanta ai novant’anni di vita.

Alessandro Pingiamore

Noto che nelle sue opere accosta il corallo a delle cartoline, come mai questa scelta?

Le opere di questa serie nascono per una questione di simbiosi fra due elementi: uno, quello della cartolina, figlio della riproducibilità e l’altro, quello del corallo, totalmente unico nel suo genere, perché non esiste un esemplare identico ad un altro.

Eppure sembrano in quest’opera in perfetta sintonia tra loro.

Sì, effettivamente lo sono,  perché nell’ immagine di questa cartolina l’eruzione del vulcano sembra continuare all’esterno nella forma di queste Madrepore e viceversa.

Gregorio Botta

Nelle sue opere usa molto l’alabastro inserendo degli elementi all’interno, come in questo caso fa con il corallo. Da dove nasce quest’idea?

L’alabastro è una pietra particolare, che ha una sua luce interna, una semitrasparenza. Inserisco spesso degli elementi al suo interno per rendere l’impressione che questi possano affiorare in superficie o al contrario scomparire del tutto in esso. 

Nel caso di quest’opera “Red Breath II” in questo punto preciso sembra che il corallo stia affiorando in superficie, giusto?

In questo caso sì, il corallo sembra forare la pietra e sbucare in superficie, ma se osserva, nell’altro punto sembra immergersi: è un modo per indicare un movimento, un momento di passaggio, che ciascun spettatore può liberamente interpretare a suo modo. Mentre in quest’altro punto il corallo è ancora all’interno, ma ne avvertiamo la presenza, come se ci fosse una velatura che ci impedisce di vederlo totalmente. In realtà questo ha a che fare con il nostro rapporto con il visibile: pensiamo di vedere tutto, quando in fondo non vediamo niente.

Elisabetta Di Maggio

A quanto pare il suo strumento di lavoro preferito è il bisturi. Ci racconta quando è nata questa passione?

Certo, lo uso da sempre, perché mi piace disegnare con una lama: il segno che lascia il bisturi sui vari materiali è un segno definitivo; l’azione, il gesto che si compie è difficile da cancellare o da correggere.

Nelle sue opere abbina il corallo a delle foglie “ricamate” dal suo bisturi, può chiarirci questo accostamento?

Ho voluto mettere in relazione il lavoro svolto sul corallo dal vento, dall’acqua e dalla sabbia con quello dell’uomo, dell’artista, con queste foglie intagliate che seguono le venature delle foglie stesse: una perfetta simbiosi tra il ricamo della natura e quello dell’uomo.

È stato molto interessante parlare dal vivo con questi grandi artisti, poter confrontare la percezione delle loro opere, da  semplice fruitore, con le idee che  le hanno ispirate all’origine  o nell’atto del compiersi; ma è stato ancora più emozionante, nell’osservare l’opera “Paesaggio”, percepire l’assenza della sua creatrice, Marisa Albanese, l’unica artista di questa grande collettiva, a non essere più tra noi. 

Fonte immagine in evidenza per Naturalis historia: ufficio stampa 

 

A proposito di Martina Coppola

Appassionata fin da piccola di arte e cultura; le ritiene tuttora essenziali per la sua formazione personale e professionale, oltre che l'unica strada percorribile per salvare la società dall'individualismo e dall'omologazione.

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