World Press Photo 2019, il fotogiornalismo giunge a Napoli

World Press Photo 2019, la mostra di fotogiornalismo più importante al mondo, torna a Napoli all’interno della cornice del Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

World Press Photo, conferenza stampa

Dal 14 ottobre all’11 novembre il MANN (Museo Archeologico Nazionale di Napoli) sarà la tappa napoletana del World Press Photo 2019, la più importante mostra di fotogiornalismo che è stata già ospitata in altre città del mondo tra cui Washington, Vienna, Budapest e Toronto

La conferenza stampa, tenutasi proprio il 14 ottobre, ha visto protagonisti la curatrice della mostra Babette Warendrof e il presidente dell’associazione CIME Vito Cramarossa. È stato letto anche un intervento di Paolo Giulierini, presidente del museo archeologico assente per un impegno improvviso, nel quale è stata rimarcata l’importanza del legame tra il World Press Photo e il MANN. «Il grande fotogiornalismo mondiale, testimone coraggioso della libertà d’espressione anche nei contesti più difficili, si confronta con i capolavori dell’arte classica custoditi al MANN. Guerre, violenza, migrazioni ma anche bellezza e solidarietà, sfide con la natura, popoli in cammino dimostrano come la storia umana si ripeta, letta oggi attraverso la potente fotografia di cronaca così come ieri raffigurata in dipinti, mosaici, affreschi». A rimarcare questo punto è Vito Cramarossa, che tramite il progetto di promozione culturale portato avanti dall’associazione CIME ha portato la mostra a Napoli dopo le tappe di Bari, Palermo e Torino. «La storia del museo racconta la storia dell’umanità, dagli affreschi fino al linguaggio della fotografia che è un nuovo codice di espressione». Non ha mancato poi di esprimere la propria felicità nell’ospitare l’edizione 2019 del World Press Photo «nelle sale di uno dei musei più importanti d’Italia dove i napoletani e i tanti turisti potranno ammirare immagini che raccontano uno spaccato della nostra storia contemporanea».

World Press Photo 2019, esposizione della mostra

La mostra vera e propria è stata illustrata in conferenza dalla giovane curatrice Babette Warendrof, la quale ha anche spiegato i criteri con cui le foto possono partecipare al World Press Photo.

Le 144 foto esposte nell’Atrio sono gli scatti finalisti scelti tra ben 78.001 da una giuria presieduta da Withney C. Johnson, presidente di National Geographic, il fotografo Niel Aldridge, la curatrice Yumi Goto, il fotografo di Getty Images Nana Kofi Acquah, il responsabile di progetti speciali di TIME Paul Moakley e le fotogiornaliste Alice Martins e Maye-e-Wong.

Le foto premiate sono suddivise in otto categorie: Contemporary Issues, Environment, General News, Long-Term Project, Nature, Portraits, Sports e Spot News. A queste categorie va ad aggiungersi il World Press Photo Story of the Year, premio assegnato al fotografo “la cui creatività visiva e abilità hanno prodotto storie fotografiche con eccellenti editing, riguardanti un grande evento o una questione di rilevanza giornalistica del 2018”. Quest’anno è andato all’olandese Pieter Ten Hoopen con il progetto The Migrant Caravan, un foto-racconto realizzato tra ottobre e novembre 2018 dedicato alla più grande carovana di migranti partita dall’Honduras e diretta negli Stati Uniti. Ad aprire invece la mostra, appena si entra nell’Atrio popolato di statue greco-romane e con la monumentale Testa di Cavallo di Donatello, è lo scatto vincitore del World Press Photo of the Year 2019: Crying girl on the Border di John Moore, un immagine di forte impatto e di evidente drammaticità in cui viene ritratta una bambina honduregna di due anni che piange mentre sua madre, Sancha Sanchez, che fino a qualche momento prima la teneva in braccio, viene costretta a metterla a terra per farsi perquisire da un poliziotto di frontiera americana al confine con il Messico. La foto è ovviamente riconducibile agli emendamenti anti-migranti voluti dal presidente americano Donald Trump fin dal suo insediamento alla Casa Bianca nel 2016. Inoltre lo stesso John Moore è intervenuto, tramite un video preregistrato, in conferenza stampa ringraziando il MANN per aver ospitato la mostra.

La mostra fotografica di World Press Photo è costellata di momenti drammatici, strappati alla storia ed esposti nudi e crudi. Ecco allora che ci ritroviamo davanti agli scatti dei bombardamenti in Siria con le evidenti conseguenze sui civili, la crisi del lago Ciad i cui scatti appartengono all’italiano Marco Gualazzini e la crisi in Yemen testimoniata da Lorenzo Tugnoli tramite un reportage compiuto tra ospedali, campi di rifugiati e la linea del fronte, fino ad arrivare allo scatto di Chris McGrath che testimonia l’enorme risonanza che ebbe la notizia della morte del giornalista Jamal Kashoggi il 15 novembre dell’anno scorso. Non sono tralasciati nemmeno gli eventi naturali come in Still Life Volcano, opera di Daniele Volpe che testimonia gli effetti devastanti dell’eruzione del Volcàn de Fuego in Guatemala su di una casa nei pressi di San Miguel los Lotes. La natura viene mostrata nel suo splendore come nel bellissimo scatto dello spagnolo Angel Fitor ritraente un raro esemplare di ctenoforo nelle acque del porto di Alicante, ma anche nelle crudeli leggi che la regolano attraverso gli scatti di Ingo Arndt che mostrano alcuni puma in Patagonia mentre danno la caccia ad alcune gazzelle.

All’interno della mostra World Press Photo non mancano tuttavia momenti legati all’identità e alla cultura. Sono un esempio gli scatti di Elif Ozturk, una delle tante fotografe protagoniste della mostra, che ritraggono gli uomini impegnati nella tradizionale disciplina del kirkpinar (la lotta libera turca nella quale gli atleti si cospargono il corpo di olio) e The Cubanitas di Diana Markosian, che ritrae lo sfarzoso quindicesimo compleanno di una ragazza, Pura, alla quale i medici avevano detto che non avrebbe superato i tredici anni per via di un tumore al cervello. Inoltre troviamo foto che sono testimonianza dell’emancipazione femminile come quella di Brent Stirton che ritrae una volontaria dell’Akashinga, un’unità africana antibracconaggio tutta al femminile, o anche la realtà transgender e omosessuale, testimoniata rispettivamente da Jessica Dimmock e da Heba Kamis. Tutte foto che hanno alle spalle una storia.

La realtà, quella vera (e anche dura)

In fin dei conti tutte le foto vincitrici del World Press Photo non esisterebbero se gli eventi che le hanno scaturite, sia politici/sociali che personali, non fossero mai accaduti. Si tratta di fatti, beninteso, ritratti in tutta la loro interezza e quindi anche nei loro lati più impressionanti e duri da digerire. Babette Warendrof ha voluto sottolineare questo punto, affermando che nelle città in cui la mostra è stata ospitata non è stata applicata alcuna censura a discapito delle leggi o delle tradizioni religiose del paese ospitante, con il solo obiettivo di legittimare la libertà di espressione che, ancora oggi, è un inspiegabile tabù anche per i paesi più civilizzati e illuminati.

Ma questa mostra è anche un omaggio a tutti quei giornalisti, diversi per testate, ambiti, idee politiche e religiose, che rischiano la vita per lasciare una testimonianza storica di questi tempi odierni.

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A proposito di Ciro Gianluigi Barbato

Classe 1991, diploma di liceo classico, laurea triennale in lettere moderne e magistrale in filologia moderna. Ha scritto per "Il Ritaglio" e "La Cooltura" e da cinque anni scrive per "Eroica". Ama la letteratura, il cinema, l'arte, la musica, il teatro, i fumetti e le serie tv in ogni loro forma, accademica e nerd/pop. Si dice che preferisca dire ciò che pensa con la scrittura in luogo della voce, ma non si hanno prove a riguardo.

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