Bridgerton, la seconda stagione ora su Netflix | Recensione

Bridgerton, la seconda stagione ora su Netflix | Recensione

La nuova stagione è un vero e proprio “diamante”, usando il termine con cui l’alta società inglese della Regency Era designa la più promettente delle debuttanti: ricca di potenzialità!

Dal 25 marzo è disponibile su Netflix la seconda stagione di Bridgerton, la serie tv statunitense creata da Chris Van Dusen e prodotta da Shonda Rimes (la famosa sceneggiatrice di serie di spicco come Grey’s Anatomy e dirigente della casa di produzione ShondaLand). La serie, che racconta le vicende della famiglia Bridgerton, è tratta dai romanzi di Julia Quinn e ha debuttato sugli schermi televisivi alla fine del 2020, raggiungendo numeri di visualizzazione record.

La sola prima stagione, infatti, ha ottenuto 82 milioni di visualizzazioni dopo soli ventotto giorni dal suo esordio ed è stata la serie più vista sulla piattaforma Netflix in molti paesi per lungo tempo, prima che il titolo le fosse strappato dalla serie coreana Squid Game. Anche i nuovi episodi, tratti dal secondo libro della saga della Quinn (Il visconte che mi amava), stanno raggiungendo risultati importati in questo senso. Eppure, bisogna ammetterlo, la seconda stagione di Bridgerton si è dimostrata di gran lunga superiore alla prima, rivelandosi una vera e propria sorpresa anche per i fan già amanti della saga.

Bridgerton, la seconda stagione: recensione.

“Cari, Gentili lettori… vi sono mancata?” La voce di Lady Whistledown inaugura così la seconda stagione di Bridgerton e la stagione mondana londinese. Siamo infatti nell’Inghilterra della Regency Era (il decennio che va dal 1811 al 1820 nella storia inglese): è in quest’epoca che la Quinn ha ambientato la storia dei Bridgerton, una delle famiglie più in vista dell’alta società inglese che trascorre la vita tra passeggiate al parco, il tè delle cinque e le soirée danzanti. Siamo nell’età in cui le giovani donne ancora mancano di ogni diritto di indipendenza, in cui esistono solo per diventare mogli e madri e che, dopo il loro debutto in società, durante la stagione mondana devono fare qualsiasi cosa pur di trovare un buon partito e di non essere etichettate come zitelle, finendo quindi ai margini della società. La famiglia Bridgerton è una famiglia molto numerosa: dall’unione tra il Visconte Bridgerton e la Viscontessa sono nati ben otto figli, quattro maschi e quattro femmine. L’autrice, che ha voluto riproporre un po’ le atmosfere dei romanzi di Jane Austen, colloca in ogni libro la storia di ognuno dei fratelli Bridgerton, di come ognuno di loro trovi l’amore, servendosi dell’aiuto della voce di Lady Whistledown, una misteriosa scrittrice che, senza peli sulla lingua, diffonde con le sue cronache scandalistiche i pettegolezzi e gli intrighi tra i membri dell’alta società.

L’intento della serie è quello di seguire i libri della Quinn e dedicare ogni stagione al racconto delle vicende di uno dei fratelli Bridgerton. Nella prima stagione, infatti, abbiamo assistito alla storia di Daphne (interpretata da Phoebe Dynevor), quartogenita dei Bridgerton e la sua tormentata  storia d’amore con Simon Basset, Duca di Hastings (Regé-Jean Page). Nella seconda stagione, invece, il protagonista è il primogenito Anthony Bridgerton (Jonathan Bailey), pronto alla ricerca di una moglie.

È dai romanzi che Van Dusen parte per la trasposizione televisiva, pur interpretandoli molto liberamente e mettendo molta creatività e fantasia negli intrecci narrativi, come se i libri della Quinn fossero un canovaccio di partenza a cui dare sviluppi adatti ai tempi televisivi e ai gusti del pubblico, cosa che accade quasi sempre quando si deve realizzare un adattamento cinematografico o televisivo di un romanzo. Sfida ancora più ardua è quella di raggiungere l’obiettivo di avvicinare una serie in costume ad un pubblico più ampio come quello di Netflix. E Van Dusen con alcuni accorgimenti ci riesce, creando un period drama che strizza l’occhio alla modernità e reinterpreta la storia seguendo le dinamiche dell’attualità.

La colonna sonora, in cui le canzoni pop più famose degli ultimi anni, vengono suonate con gli strumenti orchestrali della musica classica, è solo uno di questi elementi di novità. Quello che più sorprende è la creazione, da parte del regista, di un’utopica Età della Reggenza in cui l’alta società diventa multiculturale, in cui le etnie si mescolano e convivono insieme senza alcuna traccia di razzismo, la differenza e il conflitto tra le classi sociali si percepiscono appena e le donne, pur ancora imprigionate nelle restrizioni della famiglia e della società patriarcale, cercano il loro spazio di affermazione. Infatti, c’è tanto spirito femminista tra le protagoniste femminili. Un Ottocento progressista che mira a riprodurre la globalizzazione dell’età a noi contemporanea e ad alimentare sempre di più l’integrazione e l’inclusività.

Ma entriamo ora nel vivo della seconda stagione. È impossibile non attribuire alla fama della prima stagione la grande attesa che ha preceduto ed accolto l’arrivo dei nuovi episodi che hanno rispettato le linee di fondo tracciate in precedenza da Van Dusen: un racconto romantico a tinte rosa, in cui i colori sgargianti degli abiti delle signore e il luccichio delle sale da ballo fanno da sfondo ad una trama non troppo impegnativa, dai toni leggeri e frivoli che accompagnano i pettegolezzi e gli scandali dell’alta società inglese, i quali si arricchiscono però di un alone di mistero per la sconosciuta identità che li alimenta dietro la firma di Lady Whistledown. Ma forse la prima stagione ha puntato troppo solo su questi elementi e sul far parlare di sé soprattutto grazie alle scene più piccanti tra i due protagonisti, Daphne e Simon. La loro storia d’amore fa sognare ma lascia un po’ con l’amaro in bocca lo spettatore che vorrebbe conoscere di più due personaggi bidimensionali e poco caratterizzati a livello psicologico.

La grande novità della nuova stagione sta proprio in questo: con Anthony e Kate (Simone Ashley), la donna di cui il Visconte Bridgerton si innamora perdutamente, Van Dusen indaga l’interiorità più profonda di questi due personaggi, ci mostra il loro passato. Un passato di cui portano il peso nel loro presente e che elaborano insieme, specialmente il dolore di Anthony per la morte prematura di suo padre. Un lutto da cui il Visconte non si è mai ripreso del tutto, che lo ha fatto precipitare nel senso del dovere e delle responsabilità verso la sua famiglia che lo spingono a pensare con la testa e mai con il proprio cuore. Una razionalità usata come scudo di difesa dalla sofferenza della perdita la sua. Il suo personaggio si scontra con quello di Kate, così simile a lui nella volontà di protezione verso la propria famiglia che la porta a rinunciare a sé stessa e ai propri desideri per favorire la sorella Edwina. Due spiriti affini, dunque, entrambi testardi e determinati, i quali piano piano cedono all’attrazione reciproca, ai giochi di sguardi e di mani sfiorate, fino al non poter stare l’uno lontano dall’altra e che ricordano molto la dinamica amorosa classica dei due enemies to lovers tipico della narrazione di Jane Austen in Orgoglio e Pregiudizio, impersonando una rivisitazione di Mr. Darcy e Elizabeth Bennett ben riuscita e che affascina ancora.

In realtà questa linea di maggiore attenzione all’approfondimento della psicologia e dell’interiorità è un qualcosa che riguarda tutti i personaggi della serie: in questa seconda stagione infatti tutte le sotto- trame dei fratelli Bridgerton e dell’altra grande famiglia protagonista, i Featherington, sono portate avanti a differenza dei romanzi che di volta in volta pongono il focus su uno solo di loro. Ogni personaggio ha una propria caratterizzazione, una propria personalità, vive i propri sogni, i propri amori e i propri segreti, si rapporta in modo diverso ai membri della propria famiglia e al resto della società: in particolare Eloise e Penelope, i due personaggi forse più interessanti della serie. Femminista convinta la prima e apparentemente invisibile al resto della società la seconda (cosa che in ogni caso la agevola visto che è lei Lady Whistledown, come ci è stato già svelato nella prima stagione). La loro amicizia sarà messa molto alla prova in questa nuova stagione, con risvolti veramente inaspettati. Una serie che quindi si avvia sempre più a diventare una saga familiare che approfondisce i legami tra i membri di una famiglia, un po’ alla Downton Abbey, in cui i problemi sociali sono più vicini a noi che all’età Regency, ma trattati con la leggerezza tipica di un romanzo rosa, fatto che non appassiona sicuramente gli amanti delle serie più impegnate.

Ma, citando le parole di Sabrina Ferilli al Festival di Sanremo “leggerezza non è superficialità” e questa serie, già fenomeno globale, ha tutte le potenzialità per brillare sempre di più ed esplorare nuovi modi di raccontare.

Fonte immagine: Netflix .

A proposito di Rosaria Cozzolino

Sono nata il 13 marzo 1998 a Pollena Trocchia (NA). Fin dall’infanzia ho sempre cercato nuovi modi per esprimere la mia creatività e il mondo delle arti mi ha sempre affascinata e attratta. Ho frequentato per quattordici anni la scuola di danza classica e contemporanea “Percorsi di Danza” di Angelo Parisi, per poi abbracciare un’altra mia grande passione, il teatro, entrando nell’ “Accademia Vesuviana del Teatro e del Cinema” di Gianni Sallustro. La letteratura e la cultura umanistica in tutte le sue sfaccettature sono da sempre il faro costante della mia vita e ho deciso di assecondare questa mia vocazione frequentando il liceo classico Vittorio Imbriani di Pomigliano D’Arco (NA). Nel 2017 mi sono iscritta alla facoltà di Lettere Moderne presso l’università Federico II (NA) e ho conseguito la laurea nel luglio 2021 con una tesi in Letterature Moderne Comparate. Al momento sono specializzanda in Filologia Moderna sempre presso la Federico II e continuo a coltivare tanti interessi: la lettura, il cinema, le serie tv, il teatro, l’arte ma anche i viaggi e la scoperta di posti nuovi. Credo fermamente che la cultura sia il nutrimento migliore per l’anima ed è quello che vorrei trasmettere con la scrittura.

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