Cinema giapponese: 5 film memorabili

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5 film memorabili che hanno segnato la storia del cinema giapponese

In Giappone, il cinema tra il 1950 e il 1960, ha conosciuto una prosperità senza precedenti, che ebbe riscontro anche all’estero: Rashomon del 1950 di Akira Kurosawa, film atipico, molto moderno, poco compreso dalle case di produzione, riuscì infatti a vincere il Leone d’Oro alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e il Premio Oscar per il miglior film straniero nel 1953. L’eccezionale successo del film stimolò una politica di esportazione che in precedenza era stata del tutto assente a causa della mancanza di coordinamento tra le ‘’major’’ (case di produzione) e dell’assenza di un’organizzazione centrale ad essa dedicata. Ancora, ‘’ I racconti della pallida luna di agosto’’ del 1953 di Kenji Mizoguchi, fu un’altra opera che riscosse successo e permise l’arrivo e distribuzione di un cinema che in quegli anni del ‘900 era alquanto sconosciuto. Quali sono stati quindi i film più significativi che hanno segnato la storia del cinema giapponese? In questo articolo Eroica propone i migliori 5!

  1. Rashomon – Akira Kurosawa (1950)
    L’importanza di questo film va ribadita più volte, in quanto è stato proprio grazie a Kurosawa che il cinema giapponese comincia ad essere apprezzato ed importato anche in altri paesi. Una domanda che spesso ci si pone sul cinema giapponese è il perché sia arrivato “tardi”. In risposta, molti critici hanno descritto i film giapponesi come incomprensibili e difficili, lasciando spesso lo spettatore nel dubbio e con misteri irrisolti. L’ammirazione di Kurosawa per il cinema dell’epoca del muto e per l’arte contemporanea è evidente nel design minimalista dei vari set del film. Quella di Kurosawa è una pellicola che non sembra invecchiare mai e racconta una storia tratta da racconto (Nel bosco) ed altri estratti (tratti dall’opera Rashomon) dello scrittore Akutagawa Ryunosuke. La trama ruota attorno la storia di un taglialegna, un monaco e un vagabondo che si interrogano su un incidente che coinvolge tre testimoni: l’omicidio di un samurai e lo stupro di sua moglie da parte di un bandito di nome Tajomaru. Il film non solo ha infiammato il cinema d’autore, ma ha anche fatto conoscere al mondo il talento di Toshiro Mifune, un attore versatile con una presenza e un carisma paragonabili a quelli di John Wayne e un’eccezionale capacità di recitazione. Nel corso della sua lunga carriera, Mifune ha interpretato ruoli psicologicamente ed emotivamente complessi e le sue performance in diversi film lo hanno reso, secondo la critica, uno dei più grandi attori della storia del cinema giapponese.

  2. I racconti della pallida luna di agosto – Kenji Mizoguchi (1953 )
    Ispirato a due racconti di Akinari Ueda tratti da ‘’ Racconti di pioggia e di luna (Ugetsu monogatari 雨月物語)’’ e anche ai racconti del soprannaturale di Maupassant, il film è stato girato nel Giappone del dopoguerra del XVI secolo e la trama intreccia molte storie di guerra, famiglia, ambizione e amore, con il successo, la sconfitta, il ritorno e il destino in gioco”. Quando l’equilibrio che si era creato nel villaggio chiamato “Omi” comincia a rompersi e i saccheggi e le violenze finiscono, la vita torna ad essere quella di una volta, ma a quale prezzo?
    Nel Giappone del 1953, non pochi accusarono Kenji Mizoguchi di aver diretto un film su misura per lo sguardo occidentale, cogliendo nell’estatica bellezza delle immagini un retrogusto “esotico” lontano dalla vita quotidiana. In termini cinematografici, il Giappone si è aperto al mondo dopo il grande successo di Rashomon di Akira Kurosawa a Venezia. A quel punto, la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia era diventata una sorta di seconda casa per i registi giapponesi. I racconti della pallida luna di agosto rimane uno dei film imperdibili per ogni appassionato di cinema, avvolto in una produzione di eccezionale calma ed eleganza formale, dove il senso di vera sorpresa è restituito da limpide inquadrature laterali e piani sequenza senza essere distratti da oggetti superflui, l’avidità e la possessività diventano la forza motrice dell’esistenza stessa e allo stesso tempo c’è una narrazione morale molto dolorosa che è responsabile della sua distruzione. Mizoguchi non abbandona alcuni aspetti essenziali della sua poetica espressiva, come il fatto che, sia che il personaggio femminile sia un diavolo seduttore o una moglie abbandonata a un destino instabile, il metodo espressivo è lo stesso.

  3. Viaggio a Tokyo – Yasujirō Ozu (1953)
    Nel 2012, ‘’Viaggio a Tokyo’’ di Yasujirō Ozu è stato votato come “Miglior film di tutti i tempi” in un sondaggio condotto dalla rivista Sight & Sound. Considerato da molti il capolavoro di Ozu e inserito in tutti o quasi gli elenchi dei cento film più importanti della storia del cinema, Viaggio a Tokyo è un film in cui il regista si è rivolto a tutti i grandi temi della sua filmografia riuscendo ad armonizzarli, un film che, a distanza di mezzo secolo, rimane irraggiungibile e ineguagliabile nella sua fedeltà ai ritmi, ai gesti e ai comportamenti della più semplice vita quotidiana. Da una trama semplice ed esemplare come un’apologia morale, quella di Ozu è una narrazione potenzialmente infinita, come un ciclo di stagioni che si ripete o una pergamena che si rinnova in eterno. Shukichi e Tomi, ormai prossimi ai 70 anni, decidono di andare a Tokyo a trovare i figli prima che sia troppo tardi. Il figlio maggiore Koichi e la sorella minore Shige, sono entrambi impegnati nel lavoro e trovano la presenza degli anziani genitori più un fastidio che una gioia. Solo Noriko, che è stata preceduta dal secondogenito Shoji per otto anni, ama veramente i suoi ex suoceri, nonostante il fatto che non siano legati da vincoli di sangue. Nel suo stile astratto ed essenziale, Ozu registra il passare del tempo, la morte e la vita, rifiutando i valori tradizionali e offrendoci un ritratto amaro di un paese in transizione.

  4. Sonatine – Takeshi Kitano (1993)
    Sonatine è un film considerato capolavoro della storia del cinema giapponese contemporaneo ma anche del regista Takeshi Kitano in cui egli stesso si cimenterà come attore, direttore e sceneggiatore. Dopo una vita di avventure e pericoli, Murakawa (Takeshi Kitano) è diventato economicamente sicuro e non è più interessato al business della yakuza. Murakawa, un vecchio mafioso stanco, è alla mercé di un clan rivale che vuole eliminare lui e i suoi uomini. Per sfuggire alla feroce guerra tra bande, Murakawa e il suo gruppo si rifugiano in una casa sul mare. È chiaro fin dalla prima sequenza che la meta del viaggio psicologico della yakuza è la morte, dove si sperimenta un vago senso di solitudine che si avverte sempre più forte nel resto del film. Quella stessa morte viene mostrata tre volte nel film (il film può essere suddiviso quindi in tre atti): la prima volta nella roulette russa, dove Kitano gioca con la realtà e l’irrealtà e mostra una soluzione surreale, che porta alla seconda morte, quella nel sogno; nella seconda morte, Kitano ci mostra le emozioni più profonde del suo personaggio, un nichilismo passivo che vuole morire per porre fine alla sua enorme solitudine, mostrandoci le emozioni più profonde del suo carattere. I film di Takeshi Kitano sono stilisticamente pieni di profondo realismo, con riferimenti quasi inconsci a molti maestri del cinema come Fellini, Godard, Kubrick e Hitchcock. I gesti violenti, le percosse, le sparatorie e i combattimenti corpo a corpo tra yakuza sono estremamente realistici e tipiche del suo stile grazie alla loro costante e meccanica ripetizione.

  5. Departures – Yojiro Takita (2008)
    Yojiro Takita con il suo film Departures, uscito nel 2008 vince l’Oscar nel 2009 come miglior film straniero. Departures, colpisce per la sua capacità di parlare un linguaggio universale, nonostante la specificità e difficoltà del suo argomento. Il violoncellista Daigo (Motoki Masahiro), che ha perso il lavoro dopo lo scioglimento della sua orchestra, decide di tornare nella sua città natale. Si trasferisce in una vecchia casa nella campagna fuori Yamagata con la mite moglie Mika (Ryoko Hirosue). Lì inizia a cercare lavoro e, quando trova un annuncio interessante, si informa presso l’agenzia e scopre che il viaggio pubblicizzato non è una vacanza alle Maldive, ma un viaggio nell’aldilà. Il film affronta il tema della morte da una prospettiva insolita. I “nokanshi” (in giapponese) sono professionisti che si occupano di preparare il defunto al suo ultimo viaggio e svolgono rituali complessi ed elaborati. Takita tratta di un argomento generalmente “escluso” dal cinema e che in Giappone tratta temi più toccanti, ma non è facile da trattare, soprattutto quando, come in questo caso, il film sfiora il tema della morte e vuole parlare di vita, di sogni e di riconciliazione con il passato.

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    Fonte immagine in evidenza: Tratto dal film di Kenji Mizoguchi ” I racconti della pallida luna di agosto ” WikiPedia

A proposito di Martina Barone

Laureata in Lingue e Culture Comparate presso l'Università degli Studi di Napoli L'Orientale. Appassionata di cultura giapponese, letteratura, arte, teatro e cinematografia.

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