Chiunque appartenga alla generazione dei millenials e sia cresciuto con la musica degli anni ’90 e primi anni 2000 ha assistito con i propri occhi all’esplodere, in quegli anni, del fenomeno mondiale delle boyband, le quali hanno rivoluzionato la storia della musica con la loro presenza scenica e le loro coreografie. Ma cosa – o meglio, chi – si nasconde dietro tutto questo successo? È proprio quello che ci rivelerà “Dirty Pop: la truffa delle boyband”, serie-documentario diretta da David Terry Fine e rilasciata da Netflix, incentrata sulla figura di Lou Pearlman, imprenditore statunitense il quale, influenzato dal successo dei New Kids on the Block, decise di fondare un’etichetta discografica e creare le proprie boyband. E non parliamo di band qualsiasi. A lui si deve, infatti, la creazione dei Backstreet Boys e degli *NSYNC, due delle boyband più famose della storia e che hanno indubbiamente lasciato un segno nella musica di quegli anni, così come degli O-Town, gli LFO e dell’artista solista Aaron Carter. Ma non è tutto oro quel che luccica e infatti Pearlman nascondeva un segreto: dietro la facciata di manager e amico generoso– Big Poppa era il soprannome che gli era stato dato – si nascondeva un truffatore, il quale aveva sfruttato i suoi artisti e il potere che derivava dal loro incredibile successo per mettere in atto una delle più grandi frodi che si siano mai viste.
Attraverso la lettura della biografia di Pearlman – Bands, Brands and Billions: My Top Ten Rules for Success in Any Business e le testimonianze di diverse delle persone coinvolte – tra cui possiamo menzionare AJ McLean e Howie Dorough dei Backstreet Boys, Chris Kirkpatrick degli *NSYNC e Michael Johnson dei Natural – Dirty Pop ricostruisce l’ascesa di Pearlman fin dai suoi primi passi nel mondo degli affari con la fondazione della Airship International nel 1980 e della sua etichetta Trans Continental Records nel 1993, attraverso la quale raggiunse l’apice della sua fama diventando una delle figure di spicco dell’industria musicale. Tutto ciò fino a quando i suoi artisti, una volta resesi conto delle iniquità tra i loro guadagni e quelli del manager, iniziarono gradualmente a rescindere i loro contratti e fargli causa. È in questo momento che Pearlman inizia a vacillare e il suo castello di carte pian piano a crollare, fino alla sua fuga in Indonesia nel 2007 e la condanna a più di 25 anni di carcere con l’accusa di cospirazione, false dichiarazioni nel corso di una procedura fallimentare e riciclaggio di denaro sporco. Ciò che viene fuori e Dirty Pop ci svela, infatti, è come per più di vent’anni, infatti, Lou Pearlman avesse convinto un elevatissimo numero di persone – anche amici e persone a lui care – ad investire nelle sue società, servendosi di documenti falsificati per assicurarsi la fiducia degli investitori. Si è calcolato che, nel corso di quasi 30 anni, siano state più di 2000 le persone ad aver investito nelle sue attività, per una frode di oltre un miliardo di dollari. È stato definito come lo Schema Ponzi più duraturo della storia degli Stati Uniti.
Dirty Pop è un documentario che racconta ciò che si nasconde dietro la patina di apparenza e sfarzo che contraddistingue il mondo dello spettacolo, riportando alla luce verità ambigue e permettendo di aprire gli occhi sui segreti oscuri che caratterizzano l’enorme successo che le boyband portano con sé. Ma, allo stesso tempo, Dirty Pop non tralascia l’aspetto emotivo, ponendo l’attenzione sugli effetti e i traumi che il piano orchestrato da Pearlman ha causato alle persone coinvolte, anche con conseguenze disastrose. Un mondo fatto di luci e ombre quello dello spettacolo, in cui spesso il costo per arrivare sul tetto del mondo è molto più alto di ciò che ci si aspetta e si è disposti a tutto pur di raggiungerlo, anche se questo significa rinunciare alla propria morale e andare oltre i confini della legalità.
Fonte immagine: Trailer ufficiale