È stata la mano di Dio: un viaggio nell’intimità di Sorrentino

È stata la mano di Dio

Il 16 novembre il Cinema Filangieri di Napoli ha accolto in anteprima l’ultimo film di Paolo Sorrentino: È stata la mano di Dio, in uscita la prossima settimana in oltre 250 sale. L’impressione ricalca l’euforia mostrata dal pubblico del Festival del Cinema di Venezia, che ha riservato al film ben 9 minuti di applausi lo scorso settembre. 

La recensione 

Tutto inizia con una citazione, in pieno stile sorrentiniano e in ricordo di Diego Armando Maradona: “Ho fatto quello che ho potuto, non credo di essere andato così male”. Così inizia il ritorno di Paolo Sorrentino nella città partenopea vent’anni dopo L’uomo in più, film sì ambientato a Napoli ma che, a detta dello stesso regista, ha toccato la città in modo tangente. Adesso, invece, Napoli diventa protagonista, facendo da cornice a una storia che sa “far ridere e, allo stesso tempo, piangere“. 

Fabio Schisa, alter ego di Paolo Sorrentino interpretato da Filippo Scotti, è un adolescente quando a Napoli arriva dal Barcellona Diego Armando Maradona. Fabietto è un ragazzo timido e profondo, che frequenta il liceo classico e si diverte nei pranzi di famiglia, dove le risate abbondano e il futuro dell’età adulta sembra lontano. Poi all’improvviso l’incidente che gli stravolge la vita: il dolore arriva come un fulmine a ciel sereno, rompendo il precario equilibrio dell’esistenza. Per ritrovare un senso e superare la tragedia Fabio si rifugia nel cinema, e fondamentale risulta l’incontro con Antonio Capuano, iconico regista napoletano. 

Non a caso il dialogo fra Capuano e l’alter ego di Sorrentino è uno dei più significativi di tutto il film, capace di evocare in pochi minuti tutta una serie di emozioni che accompagnano lo spettatore durante la visione della pellicola. 

Il corpo femminile è, come di consueto nei film di Sorrentino, fra i protagonisti della pellicola. Anzi, in È stata la mano di Dio si viene forse a capo della nascita di questo leitmotiv. Il regista napoletano sviscera, attraverso il personaggio di Fabio Schisa, la propria adolescenza, fra le difficoltà nel trovare l’amore (nonché l’amicizia) e i momenti di complicità con la zia (Luisa Ranieri), personificazione della “creatività e diversità”, a detta della stessa attrice. 

Secondo me quello che Fabietto vede in lei è il suo anticonformismo, oltre a provare un sentimento di attrazione. Lei lo fa sorridere e lo sorprende. D’altro canto, Patrizia è attratta dal nipote perché sente che lui può comprendere chi lei è veramente. Il loro è un rapporto che si fonda su cose lasciate inespresse. Patrizia desidera davvero avere dei figli e penso che sia anche il desiderio di maternità a spingerla verso Fabietto” afferma Luisa Ranieri sul rapporto fra il suo personaggio e quello interpretato da Filippo Scotti. 

Il resto della famiglia, però, non è da meno. A loro Sorrentino affida il compito di far emergere l’essenza della napoletanità: modi di dire e di fare, folklore, credenze e… filosofia. Quest’ultima trasuda dalle labbra di Alfredo (Renato Carpentieri), zio di Fabio conosciuto ai più come avvocato Cacace, nonché dalla sobrietà e profondità delle scene stesse. 

In tal senso risulta vincente la scelta di rivolgersi a Daria d’Antonio, capace di firmare una fotografia intima, commovente e, al momento opportuno, divertente.

A proposito: intimità, commozione e, allo stesso tempo, divertimento cosa vi fa venire in mente? Il Pulcinella senza maschera, ovviamente. Non a caso Sorrentino dichiara durante la conferenza stampa che l’unico riferimento cinematografico all’interno del film sia a Massimo Troisi, da cui “prende in prestito” il tipo di finale.

Va segnalato un ulteriore elemento in comune fra Troisi e Sorrentino: l’accudimento di una persona rimasta sola, pratica assai diffusa nella Napoli Novecentesca e segno di una certa accuratezza storica all’interno del film. Se da un lato c’era un professore di matematica (Scusate il ritardo), dall’altro c’è una baronessa (Betti Pedrazzi), ma il significato di fondo resta lo stesso. 

Come non citare, poi, la performance di Toni Servillo? Ormai una sicurezza nel panorama cinematografico italiano e internazionale. Ad un certo punto il suo personaggio recita una poesia di Eduardo e la mente non può che ritornare a uno dei suoi ultimi film: Qui rido io

Il vortice di emozioni vissute da Sorrentino e raccontate durante le due ore di film colpisce lo spettatore, con cui il regista condivide l’intimità e il proprio lato più sensibile. Durante la visione è inevitabile provare empatia per Fabio, perché ognuno di noi ha vissuto un dolore così forte da far mancare il fiato. I dialoghi risultano così taglienti e hanno la forza di avviare il pensiero di chi ascolta verso un’unica domanda: “Ho davvero indirizzato la mia vita verso quell’unico futuro che può salvarmi dall’apatia?“.

Candidato agli Oscar 2022, in rappresentanza dell’Italia, È stata la mano di Dio è un film che va visto. Ovviamente va fatto nelle sale, nonostante l’uscita su Netflix il prossimo 15 dicembre. 

La conferenza stampa

Dopo la visione del film, dal Cinema Filangieri ci si sposta verso il lungomare, al Grand Hotel Vesuvio, per la conferenza stampa. 
Per l’occasione è presente il cast di È stata la mano di Dio, il regista Paolo Sorrentino e il co-produttore Lorenzo Mieli

Tra i temi affrontati, al rapporto padre-figlio l’onere di rompere il ghiaccio. Sorrentino parla di “padri cinematografici”, tra cui il suo primo produttore Angelo Curti e Antonio Capuano, presente in sala, di cui evoca il ricordo del confronto/contrasto perenne, in special modo durante le riprese de L’uomo in più. Si tratta di un rapporto estremamente importante, perché solo dal confronto può nascere qualcosa di vero. Non a caso è un discorso che lo stesso Capuano riprende con Fabio Schisa durante il film.  

È stata la mano di Dio è un film che vive nella mente del regista da tanti anni e che ha visto la luce non per un motivo particolare, “ma per tante piccole ragioni differenti”. 

Durante la conferenza stampa è stato poi citato l’articolo di Le Figaro, che ha etichettato Napoli come “terzo mondo d’Europa”. Sorrentino e Toni Servillo (Saverio Schisa) hanno difeso la città sia con dichiarazioni d’amore verso la stessa sia con degli aneddoti, risalenti a vent’anni fa, in occasione delle riprese, a Napoli, de L’uomo in più

“Stavamo girando una delle scene quando vedo avvicinarsi un gruppo di ragazzini, scugnizzielli, che ci chiedono il nome del film. “L’uomo in più“, rispondiamo noi. Prontamente uno di loro replica: “Ah, già l’aggio visto” racconta divertito Servillo. 

A questo punto prende la parola il regista napoletano: “Io ricordo, invece, di una scena in macchina. Facciamo salire cinque attori in una di quelle macchine d’epoca quando si avvicina un ragazzo chiedendomi il titolo del film. Io rispondo e lui fa: “Nel senso che state stretti ind’ ‘a machina?”. 

In chiusura è d’obbligo usare l’augurio più bello che Sorrentino, condiviso da tutto il cast, ha rivolto alla sala: “Cosa direi a un giovane dell’età di Fabietto? Di non abdicare mai a un’idea di futuro, perché il futuro c’è, anche se invisibile”. 

Foto e immagine di copertina: Ilaria Finizio e ufficio stampa Netflix

 

 

 

 

 

A proposito di Salvatore Toscano

Salvatore Toscano nasce ad Aversa nel 2001. Diplomatosi al Liceo Scientifico e delle Scienze Umane “S. Cantone” intraprende gli studi presso la facoltà di scienze politiche, coltivando sempre la sua passione per la scrittura. All’amore per quest’ultima affianca quello per l’arte e la storia.

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