La zona d’interesse: l’horror della Shoah | Recensione

La zona d'interesse: l'horror della Shoah

La zona d’interesse è il nuovo film di Jonathan Glazer, uscito il 22 febbraio e vincitore dei premi Oscar 2024 per Miglior sonoro e Miglior film internazionale.

La trama del film vincitore La zona d’interesse

Una trama semplice, bilanciata da un’estetica e un modo di raccontare complessi: nella Polonia degli anni ’40 il comandante nazista del campo di concentramento di Aushwitz, Rudolph Hoss, vive con la sua famiglia nella cosiddetta “zona d’interesse“, una grande e lussuosa villa adiacente al campo. I desideri di successo del comandante vengono ostacolati dalla mania di grandezza della moglie, che a costo di danneggiare il matrimonio vuole restare padrona della villa come regina di Aushwitz.

Personaggi e interpreti, dalle sottotrame incomplete alla grandezza di Sandra Huller

I personaggi appaiono surreali, in quanto sono posti in un contesto non solo diverso storicamente, ma anche ideologicamente: i protagonisti sono nazisti e il mancato contrasto con personaggi ebrei, presente invece nella maggior parte dei film basati sulla Seconda Guerra Mondiale e incentrati sulla Shoah, fa prevalere l’ideale razzista e conservatore, attribuendolo all’intera società tedesca. L’effetto è lo straniamento dello spettatore, causato anche dal racconto ellittico delle sottotrame, che però sul finale diventa un limite lasciando in sospeso alcuni personaggi e temi, come nel caso della domestica. Sandra Huller è clamorosa nei panni di Hedwig: è lei il vero nemico, la banalità del male al posto dell’esplicito male, il marito comandante nazista. Altrettanto riusciti i personaggi della madre di Hedwig e dei figli: la prima è probabilmente quella più verosimile, poiché, pur essendo nazista e appoggiando la vita della figlia e del genero, non riesce a far finta di nulla dinanzi al genocidio adiacente alla zona d’interesse. È interessante perché rappresenta la crudeltà ugualmente, ma meno surreale e più umana, per via dell’omertà e della codardia. Per quanto riguarda i figli il discorso è opposto, in quanto i più grandi, come i più piccoli, non sono semplicemente all’oscuro di ciò che sta succedendo, anzi ne sono al corrente e vengono istruiti secondo la morale nazista, senza viverlo come un trauma.

Come ottenere la tensione perfetta

Due sono i principali fattori di successo e di originalità di La zona d’interesse: la gestione della tensione e il sonoro. Per quanto riguarda il primo aspetto fondamentale è il montaggio, che non definirei alternato quanto frammentato in molte sequenze: costantemente seguiamo i vari personaggi vivere la propria quotidianità, ognuno nel suo modo e in diversi spazi spesso, come se il regista stesse costruendo un puzzle che solo in tal modo arriva ad avere un senso, in ogni sequenza. Sono pochi i dialoghi narranti, perché bastano le successioni di inquadrature a far comprendere le emozioni provate e l’evoluzione dei rapporti. Ne deriva che il montaggio è aiutato dalla regia, in cui la profondità di campo e i campi lunghi sono essenziali, come i carrelli, poiché lasciano intravedere alle spalle, in alto o in un angolo dettagli macabri, rispetto ai belli e grandi spazi zona d’interesse, resi con una messa in scena meticolosa. Ciò viene trasposto anche nella colonna sonora, che sotto i dialoghi amichevoli e leggeri, sotto le risate, nasconde grida e lamenti provenienti dal campo: memorabile la sequenza della passeggiata nell’orto di Hedwig con la madre, nonché quella del bambino che usa i giocattoli per imitare i nazisti. La musica è l’ultimo tassello, che con i suoi profondi bassi mette in allerta lo spettatore non dai nazisti, ma dall’ipocrisia.

La zona d’interesse: l’horror come forma e contenuto 

L’effetto ottenuto non è solo lo straniamento, ma l’ansia, da horror. Si ha sempre la sensazione che stia per succedere qualcosa, ma è troppo tardi, perché già sta accadendo. Lo spettatore è messo nei panni di chi è costretto a guardare il grande spettacolo, sapendo anche che sia sbagliato, ma non potendo fare nulla per fermarlo, sia perché è passato sia perché l’essere umano resta ipocrita. Su La zona d’interesse aleggia una visione pessimista di Glazer che nel finale sembra avere uno spiraglio di luce, ma si tratta comunque di un doppio significato: oggi sappiamo che tutto quello è ingiusto e quindi lo commemoriamo, come nel frattempo accettiamo senza fare nulla che altre tragedie simili accadano, parlando della Shoah quasi come se fosse un’abitudine o peggio, una tradizione.

Fonte dell’immagine per “La zona d’interesse: l’horror della Shoah”: Wikipedia

A proposito di Giuseppe Arena

Ciao, mi chiamo Giuseppe Arena e sono di Napoli. Fin da bambino amo il cinema, infatti ora lo studio alla facoltà di Scienze della comunicazione, presso l'Università Suor Orsola Benincasa; inoltre nel tempo libero, oltre a guardare film, ne parlo pure su "Eroica Fenice" e sulla mia pagina Instagram "cinemasand_". Oltre al cinema, sono appassionato anche di altre arti, comunemente incluse nella "cultura-pop", come le serie-tv e i fumetti: insomma penso che il modo migliore per descrivere il mondo sia raccontare una storia!

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