Roma di Alfonso Cuaròn all’Astra: è stato proiettato per tre giorni il capolavoro del regista messicano premiato con il Leone d’Oro
Un film sulla memoria, sul valore personale e relativo che ognuno di noi attribuisce al tempo, un affresco del Messico degli anni settanta. Anni cruciali per il paese centroamericano. Roma è tutto questo e molto di più. Alfonso Cuaròn torna cinque anni dopo Gravity con quello che è il suo lavoro più intimo e riflessivo. Il regista messicano ha sapientemente sfruttato la forza contrattuale derivatagli dai due Oscar per realizzare un film peculiare nel panorama cinematografico odierno.
Unico per il formato (uno splendido bianco e nero girato in 65 mm) ma soprattutto per la sua distribuzione, prevalentemente casalinga. Prima del suo approdo su Netflix, il 14 dicembre, Roma di Alfonso Cuaròn è stato proiettato, dal 3 al 5 Dicembre, al Cinema Astra e in una cinquantina di sale italiane, distribuito dalla Cineteca di Bologna in lingua originale. Un’occasione imperdibile per vedere nel suo habitat naturale uno dei migliori film dell’anno, premiato con il Leone d’Oro al recente Festival di Venezia.
Siamo nel 1970-1971, un biennio di fuoco per Città del Messico, segnata dalle numerose rivolte studentesche represse nel sangue. Roma è il nome di un quartiere borghese dove risiede la famiglia di Cleo (Yalitza Aparicio), la giovane tata al centro della vicenda. Il contesto prende vita poco alla volta, e proprio questa studiata lentezza, costruita in ogni piccolo particolare, è uno degli elementi maggiormente singolari dell’opera. In un’epoca il cui il linguaggio cinematografico perde sempre più autorità per lasciare spazio alla serialità, rea di raccontare meglio i nostri giorni. Esce fuori il ritratto di un paese rigidamente strutturato in caste sociali. Dove, come la storia insegna, le classi dominanti lasciano a quelle meno abbienti il lavoro sporco.
Le vicende di Cleo e della sua collaboratrice Adela (Nancy García García), ambedue di discendenza mixteca, segnano così il passo della vicenda. Centrale è l’intreccio tra Cleo e e Sofia (Marina de Tavira), madre di quattro bambini, amati da Cleo come se fossero propri. Donne provenienti da condizioni economiche e sociali praticamente opposte, ma entrambe segnate da una forte delusione. Un amante spaventato da una futura gravidanza e un marito stanco della vita familiare, in viaggio verso la vacanziera Acapulco.
Roma di Alfonso Cuaròn, l’equilibrio personale ed intimo di una famiglia in preda a conflitti interni
Parzialmente autobiografico, Roma è un mosaico di corpi, storie ed emozioni che può aiutare a superare i pregiudizi sulle nuove piattaforme digitali. Il film colpisce oltre che per l’intensità e il pathos della vicenda anche per la sapiente arte cinematografica di Cuaròn. Il regista messicano esalta le numerose scene di vita quotidiana con l’utilizzo del bianco e nero. Nel film è addirittura presente una citazione alle sue opere precedenti, non autoreferenziale o fine a sé stessa, ma perfettamente coerente con lo sviluppo dell’intreccio.
Roma diviene così argomento di dibattito, oltre che per la sua innegabile bellezza, per la la sua discussa diffusione esclusivamente casalinga. Come succede ormai ai film “evento”, Roma di Alfonso Cuaròn sarà nei cinema solo per pochi giorni, per poi essere distribuito su Netflix dal 14 dicembre. Difficile immaginare un film meno televisivo di Roma. A prescindere dalla trama, il bianco e nero di Cuaròn, girato in 65 mm, sembra nato per essere proiettato al buio del grande schermo.
Netflix investe decine di miliardi di dollari nella produzione, ormai anche i più grandi artisti, da Scorsese ai fratelli Coen, si affidano al colosso di Reed Hastings. Privare però un lavoro così unico, nel panorama attuale in cui il cinema d’autore a poco a poco scompare, del fascino del grande schermo appare alla strenua di un delitto. Se avessimo visto “Otto e mezzo” o “Taxi Driver” solo su tablet o pc, probabilmente non avremo mai compreso di trovarci di fronte ad un capolavoro.