Streaming Community e pezzotto: tra multe, pirateria e dubbi

Ti hanno beccato l’IP su Streaming Community e boom, sotto casa ti trovi uno stuolo di finanziari pronti a portarti al gabbio, manco fossi Al Capone. E mentre ancora in pigiama ti stanno portando in cella, dove butteranno per sempre la chiave pensi: “volevo solo guardare un film degli Avengers” Una vignetta surreale, d’accordo. Ma quanti, in fondo, non si sono sentiti almeno un po’ così, persi nella giungla delle piattaforme e tentati dalla scorciatoia? È il momento di addentrarci nelle trincee di queste ‘streaming wars’ e capire perché il ‘pezzotto’ è ancora una realtà così ingombrante.

Il problema della pirateria e la frustrazione degli utenti

Comunque chiariamo subito una cosa: la pirateria è un problema serio, fa danni enormi, soprattutto a chi i contenuti li crea, li produce e li finanzia. Parliamo di un buco stimato nel 2024 di circa 2,2 miliardi di euro solo per l’Italia, mica spiccioli. Non siamo qui a fare l’elogio del crimine digitale. Il caso Streaming Community, e la sua popolarità, ci raccontano qualcosa di più profondo. Perché sì, scaricare e vedere contenuti illegalmente è sbagliato. Ma allora perché così tante persone – si stima che nel 2024 il 38% della popolazione adulta italiana ci sia cascata almeno una volta – continuano a farlo?

La frammentazione ingestibile dell’offerta legale di streaming

La risposta, per molti, è fin troppo semplice: il sistema legale si è trasformato in un labirinto ingestibile. Oggi per vedere un solo film o una serie bisogna orientarsi in un puzzle di piattaforme: Netflix, Prime Video, NOW TV, Infinity, Crunchyroll, MUBI, Disney Plus, Apple TV Plus, Discovery+* Paramount+, e chi più ne ha più ne metta. Ognuna con il suo catalogo, il suo abbonamento e i suoi “imperdibili” contenuti esclusivi. E i prezzi? Stanno lievitando sensibilmente.  Consideriamo una famiglia italiana media con quattro abbonamenti: gli aumenti recenti possono tradursi facilmente in una spesa aggiuntiva che oscilla tra i 60 e i 180€ all’anno. E il paradosso è che, nonostante i quattro servizi attivi, quel film specifico tanto cercato potrebbe comunque risultare introvabile. Certo, ci si può destreggiare con la gimcana delle prove gratuite – un mese qui, disdetta, un altro mese là – ma è un balletto che non può durare all’infinito. La gestione diventa un vero e proprio labirinto burocratico, con una mole di moduli e procedure da far impallidire l’INPS. Di fronte a un simile scenario, per alcuni la scorciatoia è a portata di clic o di tap: una rapida ricerca sul proprio motore preferito, l’accesso a siti di dubbia legalità, VPN, streaming pirata, e il gioco è fatto!

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Un déjà vu costoso: dalla pay tv degli anni 2000 alle piattaforme odierne

Siamo nel pieno delle “streaming wars“, e a rimetterci non sono solo le aziende in perenne lotta tra loro, ma soprattutto gli utenti. Paradossalmente, sembra quasi di essere tornati indietro nel tempo, ma con un carico di complicazioni in più. Ricordate la pay TV degli anni 2000? C’era il decoder, l’abbonamento principale, magari con i suoi pacchetti tematici – il pacchetto cinema, quello sport, i documentari. Si pagava una cifra mensile, spesso non indifferente, ma si aveva un punto di riferimento, un’offerta consolidata, per quanto chiusa nel suo ecosistema. Oggi, la sensazione è quella di essere passati da una TV a pagamento con pacchetti e canali a una TV a pagamento con pacchetti e canali, solo che adesso si chiamano piattaforme. Ognuna con la sua interfaccia, i suoi contenuti esclusivi e la sua fattura a fine mese. Stesso modello di business, in fondo, ma frammentato all’ennesima potenza, più costoso nel complesso se si desidera un accesso ampio, decisamente più dispersivo e, ironia della sorte, più incentivante alla pirateria. Allora bastava un telecomando e un menù; oggi ci si destreggia in una home screen affollata di app diverse, ognuna con la sua logica  e il suo costo. In questo contesto, piattaforme illegali come Streaming Community, Altadefinizione e CB01. continuano a prosperare perché, nel loro essere illecite, fanno quello che le piattaforme legali non riescono a fare: offrire un’unica e semplicissima interfaccia, con tutto a portata di mano. Sono, a tutti gli effetti, dei sosia di Netflix, completi di abbonamento e tutto il resto, solo che sono, appunto, pirati. Questa non è un’apologia, sia chiaro, ma un’amara constatazione: funzionano perché risolvono un problema quanto mai reale per l’utenza.  

 

Le piattaforme legali in affanno tra bilanci e strategie

Lo streaming, un tempo, prometteva un futuro luminoso e senza ostacoli per l’intrattenimento. La realtà odierna, però, dipinge un quadro diverso: i colossi del settore sono costretti a veri e propri funambolismi contabili per tenere a galla i bilanci. Si registra una frenata nell’acquisizione di nuovi utenti, assistiamo alla rimozione di titoli dai cataloghi e a un costante ritocco verso l’alto delle tariffe.

Il caso Netflix tra ricavi e trasparenza sugli abbonati

Netflix, la pioniera del settore, dopo anni di crescita esponenziale e un primo, storico calo di abbonati nel 2022, nel Q1 2025 ha dichiarato ricavi per oltre 10 miliardi di dollari, superando le aspettative degli analisti. Un risultato notevole, se non fosse che l’azienda ha contestualmente deciso di non comunicare più il numero esatto di abbonati trimestralmente (l’ultimo dato ufficiale, a gennaio 2025, parlava di 300 milioni globali). Una mossa che alcuni interpretano come un modo per non far fare troppi conti in tasca agli utenti dopo gli aumenti, l’introduzione della pubblicità (il piano Standard con spot in Italia a giugno 2025 costa 6,99€/mese) e il famoso, e discusso, blocco della condivisione delle password. Nonostante ciò, Netflix prevede di raddoppiare i ricavi pubblicitari nel 2025.

Disney Plus e la sfida della crescita globale

Dal canto suo, Disney Plus, pur inserita in un gruppo Disney che nel Q1 2025 ha superato le previsioni di profitto grazie soprattutto ai parchi a tema, ha visto un calo di circa 700.000 abbonati globali per la sua piattaforma streaming, attestandosi a circa 124,6 milioni. Anche qui, tra le cause, gli aumenti dei prezzi e le nuove politiche sulla condivisione degli account. Curiosamente, in Italia, nonostante la tendenza globale, Disney+ sembra aver invece guadagnato utenti nel corso del 2024.

La lotta per la profittabilità degli altri big dello streaming

La lotta per la sopravvivenza e la profittabilità coinvolge tutti gli altri grandi nomi: Paramount+, Peacock, HBO Max (ora semplicemente Max), Apple TV Plus. Producono contenuti a getto continuo, spendono miliardi, eppure per molte la redditività resta un miraggio, tanto che si intensificano le voci su possibili fusioni o addirittura ritiri strategici dal mercato.

Amazon Prime Video: l’eccezione che conferma la regola?

L’unica piattaforma che sembra navigare con maggiore tranquillità apparente è Amazon Prime Video. Il motivo, però, è preciso e noto: lo streaming per Amazon non è il core business, ma un prezioso servizio accessorio per trattenere i clienti all’interno dell’ecosistema Prime, dove poi effettuano acquisti di altro genere. Lo streaming è un extra, non la principale fonte di guadagno. Infatti, Amazon continua a investirci pesantemente, soprattutto in contenuti sportivi live (circa 3 miliardi l’anno per diritti come NBA e NFL), con l’ambizioso obiettivo di rendere la piattaforma streaming redditizia entro la fine del 2025, magari operando qualche taglio sul fronte dei film e delle serie TV originali. Anche l’azienda di Bezos ha introdotto la pubblicità nei suoi piani, e in Italia può contare su un bacino di circa 7 milioni di visitatori unici mensili nel 2024.

L’incubo dell’utente: districarsi tra diritti e cataloghi frammentati

Per l’utente medio, districarsi nella giungla di piattaforme, esclusive e cataloghi in perenne mutamento è diventata un’autentica odissea. Cerchi la sitcom cult Friends? Potrebbe essere su Max negli USA, su Netflix in certi paesi europei, e magari su Prime Video in altri ancora, un balletto dettato dalle licenze territoriali. Sei fan della saga di Star Wars? Il quartier generale è Disney Plus, ma non sorprenderti se qualche pellicola più datata o uno spin-off fa capolino temporaneamente altrove. E Spider-Man? Nonostante sia un beniamino Marvel, i suoi film più recenti da protagonista latitano su Disney Plus. Il motivo? I diritti cinematografici principali sono in mano a Sony. Risultato: l’utente, oltre a giostrarsi tra più abbonamenti, si ritrova a dover decifrare intricati accordi di licenza e distribuzione tra major. Una complessità, diciamocelo, semplicemente folle.

L’era pre-streaming: un ricordo lontano di ordine e attesa

Viene quasi un sorriso amaro a ripensare a com’era scandita la fruizione prima dell’era dello streaming selvaggio. C’era un ordine, un ritmo ben definito: i film debuttavano al cinema, per poi, dopo circa 4-6 mesi, approdare all’home video dalle VHS ai DVD e Blu-ray – e infine, a distanza di un anno o due, sbarcare in televisione. Chi non serba il ricordo della gioia nello scoprire che un titolo attesissimo come Matrix sarebbe finalmente andato in onda su Italia Uno? O l’emozione di scartare per Natale il cofanetto DVD di Harry Potter? C’era un’attesa, un percorso che intesseva valore attorno al contenuto. La pirateria esisteva, indubbiamente, ma il deterrente più memorabile, più delle minacce legali, era forse quel celebre spot contro la duplicazione, divenuto virale sui DVD. Negli anni Duemila, semplicemente, mancavano gli strumenti tecnologici sofisticati di oggi per un contrasto su vasta scala, ma, va ammesso, non si avvertiva nemmeno la stessa urgenza sistemica. I ricavi da sala, home video e diritti televisivi apparivano solidi, quasi una fortezza inespugnabile. Un’illusione, ahimè, destinata a svanire.

La pirateria e l’eredità di Streaming community: un’industria parallela

Da una decina d’anni a questa parte la situazione è radicalmente cambiata. La pirateria non è più relegata al ragazzetto che scarica in cameretta l’ultima serie di Naruto usando Piratebay o l’amatissimo mulo. Si è trasformata in una macchina industriale, spesso in mano alla criminalità organizzata, una sorta di Netflix parallela dove tutto è apparentemente disponibile, spesso gratuitamente (o quasi), ma sempre e comunque illegale. E, cosa più preoccupante per il sistema legale, tutto funziona con una facilità disarmante, come dimostrato dalla popolarità di servizi come Streaming Community.

E non pensiate che sia un problema solo nostro, ma così non è. La pirateria è una gatta da pelare a livello mondiale, con stime che parlano di centinaia di miliardi di dollari di danni ogni anno all’industria creativa globale. Anche all’estero si danno da fare: ci sono task force internazionali, leggi sempre più stringenti e accordi tra paesi per provare a mettere un freno a questo fiume in piena di contenuti illegali. Però, come da noi, spesso sembra una lotta contro i mulini a vento, perché la domanda di accesso facile e aggregato rimane forte ovunque.

Il “pezzotto” all’attacco: la pirateria sportiva dilaga

Stando a un’analisi di Enders Analysis, il bersaglio grosso di questa evoluzione sono gli eventi sportivi live. Parliamo di partite di calcio, campionati a gogo, persino incontri di boxe o gare di Formula 1 in pay-per-view. Il loro report parla chiaro: la pirateria sportiva è un “furto su scala industriale“, con una marea di utenti che si conta ormai in milioni, non più in migliaia. E la cosa più assurda? Molti di questi spettatori, di fatto, pagano per vedere questi contenuti rubati. Non è un paradosso, è la cruda realtà del “pezzotto“. Ormai è un fenomeno culturale, prima ancora che tecnologico. Non è più roba da smanettoni o da nerd incalliti: basta un android box, un abbonamentino da una decina di euro al mese rimediato su qualche oscuro gruppo Telegram, e via, si ha accesso a tutto: serie TV, film, partite di calcio (con DAZN che ha i diritti della Serie A fino al 2029 e ha appena alzato i prezzi, con piani base che viaggiano sui 30€ al mese, anche se poi si sente dire che gli spettatori calano e i contenuti di approfondimento pure), basket, e persino roba vietata ai minori. Ti logghi, scegli e guardi. E per chi ancora ci casca: no, non diventa legale solo perché si sgancia una quota a questi signori. Questo sistema si è ormai insinuato in intere famiglie, facendo breccia soprattutto tra i più giovani e chi mastica meno di digitale. È la diretta conseguenza di un mix esplosivo: un Netflix che sembra costare un occhio della testa, un DAZN che a volte fa i capricci (nonostante le loro ambizioni di fatturato), e una Sky che per molti è un salasso.

La risposta delle autorità: repressione e l’esperimento Piracy Shield

Il problema, a voler essere sinceri fino in fondo, non è tanto che la gente non voglia pagare per i contenuti, quanto il fatto che pagare, oggi, non garantisce più un’esperienza utente qualitativamente impeccabile e priva di frustrazioni. La pirateria, paradossalmente, offre spesso un percorso con meno attriti. Certo, la repressione da parte delle autorità è doverosa e necessaria. E infatti si sta intensificando. Molti avranno sentito parlare del Piracy Shield, la piattaforma implementata da AGCOM e attiva in Italia da febbraio 2024. Il suo scopo è quello di bloccare la trasmissione illegale di eventi sportivi live entro 30 minuti dalla segnalazione. A giugno 2025, questa piattaforma aveva già generato circa 55.504 blocchi, e si sta lavorando per estenderne l’applicazione anche a film e serie TV di prima visione. AGCOM ha persino avviato una collaborazione con Google per testare nuove tecniche automatizzate per la rimozione tempestiva dei contenuti illeciti attraverso i DNS pubblici di Google, con risultati giudicati positivamente. E le multe per gli utenti finali? Esistono eccome. A maggio 2025, la Guardia di Finanza ha comunicato di aver sanzionato 2.282 utenti per l’utilizzo di servizi di streaming illegale, con sanzioni pecuniarie che possono arrivare fino a 5.000 euro in caso di recidiva. Nessuno sano di mente sosterrebbe che i contenuti debbano essere distribuiti gratuitamente come il pane a fine giornata. Credere di risolvere una questione così intricata e radicata unicamente attraverso la chiusura di piattaforme come Streaming Community, l’adozione di misure come Piracy Shield, i blocchi DNS e le multe sporadiche agli utenti è, francamente, un’illusione. Diversi report, infatti, suggeriscono come nel 2024 l’introduzione di Piracy Shield non abbia prodotto un aumento così rilevante degli abbonamenti legali. Sebbene sia incoraggiante notare che il 47% dei ‘pirati’, messo di fronte a un sito bloccato, affermi di preferire una soluzione legale, la vera sfida è altrove. La pirateria si contrasta efficacemente solo proponendo alternative legali che siano non solo eticamente ineccepibili, ma concretamente più vantaggiose e appaganti dal punto di vista dell’esperienza d’uso.

Antipirateria digitale: prima sperimentazione operativa tra Agcom e Google sul blocco dei DNS pubblici

 

Cercasi alternativa reale alla pirateria e a Streaming Community: e se esistesse un “pass unico” per lo streaming?

E qui, inevitabilmente, sorge una domanda: ma non ci sarebbe un modo diverso per affrontare la giungla degli abbonamenti? Immaginiamo per un attimo una soluzione diversa, una sorta di “Pass Culturale Digitale Unico“. Pensate a un sistema, magari gestito da un consorzio di operatori o da un ente terzo neutrale, che permetta, con un unico abbonamento mensile a un prezzo calmierato, di accedere a una selezione curata di contenuti provenienti da diverse piattaforme. Non tutto il catalogo di ognuna, certo, ma magari i film più importanti del mese, le serie evento, una buona offerta di documentari e produzioni locali. L’utente pagherebbe una cifra ragionevole, mettiamo 20-25 euro al mese, e in cambio avrebbe un’unica interfaccia da cui scegliere cosa guardare, senza dover saltare da un’app all’altra e senza la sorpresa di costi nascosti o cataloghi che cambiano continuamente. Le piattaforme, a loro volta, riceverebbero una quota di questi introiti in base alla fruizione effettiva dei loro contenuti, incentivando così la qualità e la popolarità. Certo, servirebbero accordi complessi, una volontà di collaborare che oggi sembra mancare e una tecnologia capace di gestire il tutto in modo trasparente. Ma non sarebbe forse un modo per offrire agli utenti un’alternativa veramente semplice, conveniente e completa alla tentazione della pirateria, molto più efficace di mille blocchi e multe? Una soluzione che metta al centro l’esperienza dell’utente, invece che costringerlo a diventare un contabile degli abbonamenti. Fantascienza? Forse, ma a volte le idee più semplici sono quelle che funzionano meglio.

Un’esperienza utente migliore per debellare la pirateria

In definitiva, la pirateria, nella sua attuale capillare e strutturata incarnazione, è principalmente la febbre. Il vero morbo risiede nel meccanismo di accesso ai contenuti che abbiamo eretto (o lasciato che si erigesse): un panorama frastagliato da decine di sottoscrizioni onerose, titoli che evaporano dai cataloghi con la stessa rapidità con cui appaiono, e un’usabilità generale sovente farraginosa e deludente. Persistere nell’inseguire il singolo utente con sanzioni e reprimende, mentre le proposte legali rischiano il collasso sotto il peso dei loro stessi immensi archivi e delle loro aggressive politiche tariffarie, è come tentare di curare una sepsi con un blando analgesico mentre il paziente è in shock settico. Non servono tanto lezioncine etiche, quanto una riprogettazione radicale dell’interfaccia utente e della logistica dell’offerta. Occorre un ecosistema dove la fruizione legale di sport, serie, documentari e film non sia un’impresa titanica, ma un gesto intuitivo e appagante. E forse, chissà, in questo rinnovato scenario si potrebbe ritrovare lo spazio per attribuire il giusto peso a ciò che consumiamo, per riscoprire il gusto dell’attesa, per moderare quel binge-watching compulsivo che oggi ci ingozza per lasciarci poi subito affamati. Perché l’autentico, desiderabile esito di questa attualissima diatriba non dovrebbe essere la gogna per chi guarda un film Marvel su un portale illecito, o la notifica di una sanzione esorbitante recapitata a domicilio, bensì l’edificazione di un sistema d’intrattenimento legale talmente ben architettato e fruibile, che nessuno avverta più la necessità di imboccare scorciatoie illegittime.

Fonte immagine: AI

Fonti articolo: https://www.youtube.com/watch?time_continue=1&v=YjPXodrEgBc&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.eroicafenice.com%2F&source_ve_path=Mjg2NjY e https://www.youtube.com/watch?time_continue=2&v=cQeXm6FcKyw&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.eroicafenice.com%2F&source_ve_path=Mjg2NjY

 

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