Fascisti sul mare: il sogno della Marina raccontato da Fabio De Ninno

Fabio De Ninno

Talento e competenza. Passione e determinazione. Quattro parole per descrivere Fabio De Ninno, giovane ricercatore del Dipartimento di scienze storiche e dei beni culturali presso l’Università degli studi di Siena, che ha appena pubblicato Fascisti sul mare, La Marina e gli ammiragli di Mussolini (Laterza), un brillante volume minuzioso e provocatorio per la storiografia ufficiale. Minuzioso perché con obiettività e preparazione De Ninno compie un’indagine precisa sulle ragioni dell’inadeguatezza della Regia Marina, che impedì all’Italia di munirsi adeguatamente di armamenti necessari per un conflitto mondiale; provocatorio perché l’autore confuta la leggenda storiografica che ha da sempre rivendicato l’autonomia della Marina dalle influenze e dalle disposizioni fasciste durante il Ventennio.

Nonostante la giovane età, De Ninno può già contare su due pubblicazioni all’attivo (l’opera sopracitata e I sommergibili del fascismo, Politica navale, strategia e uomini fra le due guerre mondiali, Unicopli, 2014 ), illustri collaborazioni letterarie ed atti di convegni internazionali.

Abbiamo avuto il piacere di incontrarlo in occasione della presentazione della sua ultima monografia.

Intervista a Fabio De Ninno

Dottor De Ninno, chi è in realtà Fabio? 

Un giovane studioso di 30 anni, che ha studiato a Napoli, Torino e ora lavora a Siena. Precario come gran parte dei giovani ricercatori italiani, che ha scelto di dedicarsi all’ indagine storica in un Paese che ha sempre avuto poca considerazione per gli scienziati e ancor meno per quelli sociali, come gli storici. Ma anche una persona con una grande passione e dedizione. Tra i miei campi di ricerca ci sono storia del fascismo, delle guerre mondiali, delle vittime civili dei conflitti e storia militare, in particolare marittima e navale, la mia maggiore passione.

Come è nata la sua passione per la storia e perché ha scelto questo percorso ad ostacoli per la sua carriera?

Un profondo interesse per la storia l’ho maturato sin da bambino, grazie anche all’educazione ricevuta, ricca di stimoli culturali, e al precoce amore per la lettura. Non nego che probabilmente i videogiochi a sfondo storico hanno avuto il loro peso! Tuttavia, solo negli anni dell’adolescenza ho cominciato a coltivare seriamente questo interesse. Da lì la scelta universitaria.

Cosa in particolare ha ispirato l’argomento del suo libro?

Innanzitutto la volontà di comprendere i motivi della disfatta italiana durante la Seconda guerra mondiale e i suoi effetti: una vera e propria “morte della patria” per alcuni e  una società profondamente divisa, tuttora incapace di accettare la pesante eredità del ventennio fascista.

Molti italiani continuano a pensare che il regime abbia rappresentato un momento di progresso sociale, paragonando l’assistenzialismo fascista a quello contemporaneo, oppure banalizzando le leggi razziali come un “favore” alla Germania nazista, quando riflettevano un più profondo antisemitismo radicato nel cattolicesimo italiano.

Le cose furono naturalmente molto diverse: il regime aveva un progetto egemonico sulla società italiana, il cui scopo ultimo era condurre il paese alla guerra per costruire uno spazio vitale nel Mediterraneo, nuovo “mare nostrum” per un nuovo impero romano, l’Italia. Per realizzare questo progetto, il regime provò a mobilitare la società italiana, ad attuare una politica di contrizioni per permettere al duce di portare avanti le sue guerre in Etiopia e in Spagna e infine a condurre il paese nel disastro della Seconda guerra mondiale. Al centro di tutto c’era il Mediterraneo.

Studiare la storia della marina tra le due guerre per me ha significato capire le origini del fallimento di quel progetto.

In sostanza lei ci dice che attraverso il rapporto tra marina e regime si può capire meglio il primo?

Certamente sì. Attraverso lo studio in particolare della marina da un lato si possono osservare i progetti militari del fascismo e i suoi fallimenti, dall’altro è possibile comprendere come il regime penetrò in una istituzione rappresentativa di un pezzo della società italiana, la marina appunto, mettendo da parte le voci critiche e piegandola ai suoi bisogni. È un pezzetto imprescindibile della storia italiana di quegli anni, perché fu innanzitutto sul mare che si consumò la sconfitta italiana del 1940-43, portando poi all’invasione del Paese da parte delle armate anglo-americane e all’8 settembre.

Progetti futuri per Fabio De Ninno?

Attualmente sto lavorando ad un nuovo volume, sviluppato grazie ad una ricerca finanziata dall’Associazione nazionale delle vittime civili di guerra (ANCVG). La ricerca mira a tracciare per la prima volta un profilo generale delle vittime civili italiane della Seconda guerra mondiale, considerando non solo i civili morti (circa 150.000 secondo le stime ufficiali ma realmente molti di più), ma anche le vittime che continuarono a subire le conseguenze del conflitto: mutilati permanenti in seguito ai bombardamenti o al fuoco incrociato tra alleati e tedeschi, e donne che persero compagni e figli. Gli oltre 430.000 morti nel conflitto (cifra anche questa sottostimata) e il numero dei sopravvissuti (forse 750.000) rappresentano una delle più gravose eredità di quegli anni. Se non analizziamo e comprendiamo la loro esperienza, non riusciremo mai capire l’entità del disastro che si è abbattuto sul Paese come conseguenza delle scelte imperiali e razziste del fascismo.

Ringraziamo di cuore Fabio De Ninno per la disponibilità  concessa.

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