Fiori d’estate di Hara Tamiki | Recensione

Fiori d’estate di Hara Tamiki | Recensione

L’opera più celebre di Hara Tamiki (原民喜, 1905-1951), il più grande esponente della genbaku bungaku (原爆文学, “letteratura della bomba atomica”) è Fiori d’estate (夏の花, Natsu no hana), un trittico che iniziò a scrivere poco dopo il 6 agosto e che pubblicò integralmente nel 1949. Le prime due sezioni apparvero a distanza di pochi mesi sul Mita bungaku: Fiori d’estate a giugno e Dalle rovine (廃墟から, Haikyo kara) a novembre del 1947. Preludio all’annientamento (壊滅の序曲, Kaimetsu no jokyoku), invece, venne pubblicato su un’altra rivista, Kindai bungaku, nel gennaio 1949. Tuttavia, tra l’inizio della sua stesura nel 1945 e l’uscita definitiva, la sua visione del mondo circostante e dell’umanità subì un’importante trasformazione.
«È vero che, tra le urla e il caos della morte, ardevo d’una preghiera per un nuovo essere umano. Che io, un debole, sia riuscito a resistere alla fame atroce e alla miseria — anche questo, probabilmente, fu in parte dovuto a quella preghiera. Ma i mari tempestosi del dopoguerra infuriarono fragorosamente contro di me e ancora oggi minacciano di frantumarmi».

Il ritratto dell’alienazione in Fiori d’estate

Natsu no hana è, per Hara, la dimostrazione della parziale perdita della capacità essenziale di relazionarsi con gli altri e di confrontare le proprie impressioni. I suoi personaggi, riflesso della sua condizione fisica e psicologica, sono attori non convenzionali, abitanti passivi di un mondo ormai inabitabile. L’autore è incapace di focalizzarsi su un unico protagonista, e finisce col frammentare la narrazione attraverso una moltitudine di alter ego. Questa scelta riflette la difficoltà, condivisa dagli stessi sopravvissuti, di elaborare un’identità individuale all’interno di una catastrofe collettiva, in cui il tempo per la riflessione risultava inesistente. La narrazione procede con bruschi passaggi tra eventi di estrema gravità, come il ritrovamento del nipotino Fumihiko morto per strada, e situazioni descritte, invece, con apparente distacco. La portata titanica della strage impedisce persino all’autore di dedicare più di una manciata di parole alla descrizione del momento del commiato da una persona a lui cara. Un senso di apatia permea il trittico, distinguendolo dallo stile più lirico ed emotivamente carico delle altre opere scritte dopo il 6 agosto.
Tra l’apatia e la desolazione di Fiori d’estate, però, emergono anche esempi di resilienza umana che evidenziano la persistenza del legame affettivo, nonostante la devastazione. Il signor Maki, quattro mesi dopo l’esplosione, continua instancabilmente a percorrere lo stesso tragitto alla ricerca della moglie. Un altro uomo solleva oltre cento cadaveri nel disperato tentativo di ritrovare la compagna, riconoscibile solo dall’orologio che indossava.
Questi episodi non solo rafforzano il senso di disorientamento e perdita che permea l’intera narrazione, ma testimoniano anche la forza emotiva dei sopravvissuti nel tentativo di aggrapparsi a un passato ormai dissolto.
La già flebile fiamma della speranza che nutriva nei confronti del genere umano andava spegnendosi lentamente. La terribile esperienza dei giorni successivi alla distruzione di Hiroshima rimaneva impressa a fuoco nelle sue retine: corpi senza vita, gonfi e deformi, ai quali era stato strappato anche il genere; individui sopravvissuti solo per assistere alla morte dei propri cari e alla scomparsa delle loro case tra fiamme e cenere, prima di spegnersi a loro volta; bambini rimasti orfani di entrambi i genitori e condannati dalla bomba ad orologeria dell’esposizione alle radiazioni. Il suo pianeta, ormai gelido, era ridotto a una massa oscura e irriconoscibile.

La missione di uno scrittore

Questa sensazione emerge anche nella seconda parte della trilogia di Fiori d’estate, Dalle rovine, in cui Hara racconta della sua vita a Yawata, il villaggio dove lui e alcuni dei suoi familiari si rifugiarono pochi giorni dopo il 6 agosto. Lo scrittore afferma di «sentirsi come un essere umano caduto sulla Terra per la prima volta», simbolo dell’impossibilità di collegare ciò che i suoi occhi vedevano con i ricordi di un passato ormai totalmente distaccato dall’incubo che era diventato il presente. Nonostante ciò, l’urgenza di condividere con il resto dell’umanità, in parte ignara, la sconvolgente realtà dell’olocausto atomico, e di preservare la memoria di quella Hiroshima scomparsa nel nulla a cui era profondamente legato, lo indusse a reprimere per anni gli istinti suicidi che già in passato si erano manifestati. Il desiderio di raccogliere e pubblicare la sua esperienza, già espresso in Fiori d’estate con la frase «pensai tra me e me: devo mettere tutto questo per iscritto», viene ribadito in un saggio di datazione incerta (probabilmente risalente al 1948), La volontà di pace: «Tu, che sei scampato al fragore del tuono della bomba atomica — quando hai cercato di rialzarti tra i tanti i cui corpi erano ormai distrutti, quando ti sei trovato nel clamore del vortice di morti intorno a te, quando hai lottato per sopravvivere nonostante la lunga morsa della fame: perché era importante sopravvivere? Qualcosa ti ha ordinato di farlo? — Rispondi! Rispondi! Racconta del suo significato!»

L’intera trilogia è stata raccolta in un unico volume con il titolo di L’ultima estate di Hiroshima. L’uomo sopravvissuto all’atomica, edito da Marotta e Cafiero.

Fonte immagine: Amazon

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A proposito di Christian Landolfi

Studente al III anno di Lingue e Culture Comparate (inglese e giapponese) presso "L'Orientale" di Napoli e al I anno di magistrale in Chitarra Jazz presso il Conservatorio "Martucci" di Salerno. Mi nutro di cultura orientale in tutte le sue forme sin da quando ero piccino e, grazie alla mia passione per i viaggi, ho visitato numerose volte Thailandia e Giappone, oltre a una bella fetta di Europa e la totalità del Regno Unito. "Mangia, vivi, viaggia!"

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