Fort Alamo di Sergio Nazzaro sulla criminalità nigeriana

"Fort Alamo" di Sergio Nazzaro sulla criminalità nigeriana

Fort Alamo-Castel Volturno: nel suo nuovo reportage, in cui si ricostruiscono le presenze del proliferare dell’attività nigeriana in Italia, Sergio Nazzaro istituisce un parallelo tra il Commissariato di Polizia della cittadina del basso casertano e la fortezza in cui i ribelli texani di David Crockett affrontarono l’esercito regolare di Santana.

Fort Alamo conclude un ciclo di studi ultradecennale sulla mafia nigeriana condotto da Sergio Nazzaro, giornalista e scrittore, autore di numerose pubblicazioni sui temi della criminalità organizzata nazionali e internazionali, in special modo di origine africana. Scopo del lavoro è ricostruire il percorso dei procedimenti giudiziari che hanno condotto al riconoscimento della definizione di “mafia”, con propri caratteri geopolitici: l’Italia, peraltro, è l’unico Paese europeo che abbia nel suo codice penale il reato di mafia e che, conseguentemente, abbia inflitto condanne per mafia alla criminalità organizzata nigeriana. Il volume, pertanto, esamina le fasi dell’inchiesta Restore Freedom del 2000, dando voce alle vittime e incrociando le informative del Commissariato di Polizia di Castel Volturno alle memorie del poliziotto Ciro D’Alterio, che ha fattivamente partecipato alle indagini e alla redazione dell’informativa, e del magistrato Raffaele Marino, PM dell’inchiesta.

«Quante 20.000 lire ci vogliono per fare un miliardo?»

Un piccolo Commissariato di frontiera, attraverso l’inchiesta Restore Freedom, condotta in collaborazione con i Servizi segreti, ha saputo segnare la storia delle indagini di mafia in Italia, disvelando gli aspetti pratici e rituali di questa vera e propria tratta di esseri umani, su cui la camorra vigila e consente: nel 2000 ogni ragazza, adescata da una Madame grazie alla prospettiva di un lavoro ben retribuito in Europa, contraeva un debito di circa 40.000 dollari, equivalenti a 70-80 milioni di lire italiane. Prima della partenza, era vincolata ritualmente alla sua reclutatrice attraverso una pratica magica, quale strumento di violentissima pressione psicologica, nonché garanzia di assoggettamento ed omertà, e a un giuramento che la legava inscindibilmente al suo destino di vessazione. Al suo arrivo in Europa, grazie a documenti falsi, dopo un lungo e terribile viaggio dalla Nigeria attraverso il Ghana, il Marocco, il deserto, il mare, ogni ragazza era smistata nelle sedi di destinazione ed inserita nel business della prostituzione, al quale era costretta attraverso violente percosse e minacce ai propri familiari in Nigeria. In Europa queste giovani donne dovevano pagare il prezzo, già pattuito in precedenza, del trasporto, oltre quello dell’alloggio offerto dalla Madame, del vitto, del passaggio sul luogo di lavoro – mediante altri membri del sodalizio che fungevano da tassisti – e del luogo stesso del meretricio, il cosiddetto Joint.

Un rapporto sessuale con una ragazza africana sulle strade del litorale Domizio nel 2000 costava 20.000 lire, mentre il giro d’affari, così come registrato da un’analisi delle transazioni verso la Nigeria, sfiorava il miliardo: ciò restituisce la percezione di quella che è a tutti gli effetti una tratta di esseri umani.

“Fort Alamo”: la voce dell’autore

Il primo aspetto che vorrei rimarcare è la motivazione che sta alla base, per così dire, del “salto temporale”: ovvero, che cosa ti ha spinto a ritornare alle origini delle indagini, dal momento che i tuoi ultimi lavori sono stati pubblicati alla luce della più recente inchiesta Athenaeum?

Nella grande confusione che a volte c’è sulla mafia nigeriana, di quando sia nata e di come si sia evoluta, con il mio ultimo libro “Fort Alamo” ho voluto fare un punto preciso di quando nasca il fenomeno, almeno da un punto di vista delle indagini, dando il dovuto merito al Commissariato di Castel Volturno, che nel 2000 ha svolto la prima indagine per mafia sulla criminalità nigeriana. Questa indagine ha consentito di comprendere con precisione tutto il fenomeno criminale della tratta di esseri umani, costituito da una serie molto articolata e complessa di passaggi, come la compravendita, il viaggio, il rito voodoo, la sottomissione, il ruolo delle Madame, e di scriverlo nell’informativa “Restore Freedom”, diventata poi un processo. Essa rappresenta il documento investigativo più importante che ci sia, perché definisce la nascita della mafia nigeriana in Italia, ma soprattutto la descrive perfettamente in ogni suo passaggio. Ciò accadeva ventidue anni fa: se avessimo tenuto maggiormente presente tale documento, avremmo potuto forse contrastare anche meglio questo fenomeno.

Mi spiegheresti, inoltre, più nello specifico, che cosa intendi per «osservatorio permanente» e «cooperazione investigativo-giudiziaria», ma anche in che modo possa contribuire il singolo cittadino nel suo piccolo?

Parlo di un «osservatorio» specifico sulla mafia nigeriana perché credo che il fenomeno sia a noi molto vicino, insistendo nell’area del Mediterraneo: pertanto, dobbiamo avere una grande attenzione, a tutte le mafie ovviamente, ma soprattutto a quella nigeriana, perché abbiamo compreso che è inserita nella tratta di esseri umani – che coinvolge anche l’Italia – da  decenni e nel traffico di droga. Essendo la presenza di tali gruppi sul nostro territorio conclamata da tantissimo tempo, abbiamo sempre più bisogno di avere un quadro complessivo sempre aggiornato e non dei momenti di analisi su questo fenomeno: un osservatorio, dunque, permetterebbe di capire non solo i vari gruppi e gli interessi criminali connessi, ma anche di avere sempre a disposizione una mappatura completa di tutte le indagini e di come queste evolvano. Inoltre, il singolo cittadino è consumatore, e di droga e di prostituzione, quindi per poter combattere questi fenomeni criminali bisognerebbe sensibilizzare,  iniziando anche dai comportamenti personali, informandosi, avendo attenzione, imparando a distinguere. C’è, infatti, un punto fondamentale: una cosa è la mafia nigeriana e un’altra cosa è il fenomeno delle migrazioni di migliaia di persone che, invece, cercano semplicemente un futuro migliore.  

A tal proposito, che tipo di connessione c’è tra il fenomeno della tratta di esseri umani gestito dalla mafia nigeriana e i migranti che noi vediamo giungere sulle nostre coste? Nel tuo libro, infatti, vi è un passaggio che fa ben capire quante tappe rischiose queste giovani donne debbano affrontare per poter arrivare in Europa. 

La descrizione del viaggio, inserita nel libro attraverso il racconto in prima persona delle ragazze, vuole far capire la brutalità a cui sono sottoposte queste giovani vittime di una mafia violentissima, usate e spostate come merce. Già ventidue anni fa la Polizia raccoglieva le testimonianze e descriveva che cos’era questo terribile viaggio, in cui si moriva all’interno del deserto; tante cose, poi, sono diventate più chiare solo quindici anni dopo, grazie ai documentari. Ecco, molte volte si ignora completamente questo viaggio spaventoso, che serve semplicemente a rendere queste ragazze schiave. Il mio lavoro vuole, appunto, comunicare la necessità di comprendere chi siano le vittime, se si voglia contrastare una mafia: spesso le vediamo, ignorandole, perché sono ai bordi delle nostre strade, costrette a prostituirsi, pena la violenza, per soddisfare i bisogni dell’uomo bianco. Questa è l’amara realtà.

Pertanto, approfondire la conoscenza di un fenomeno così radicato nel nostro territorio dovrebbe indurci, ogni volta che ci imbattiamo in superficiali e tediosi commenti in merito al persistente arrivo di migranti, a considerare la presenza tra loro anche di tali giovani donne, spesso vergini, comprate e costrette a un destino di mercificazione del quale sono del tutto ignare. 

 

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A proposito di Adele Migliozzi

Laureata in Filologia, letterature e civiltà del mondo antico, coltivo una grande passione per la scrittura e la comunicazione. Vivo in provincia di Caserta e sono annodata al mio paesello da un profondo legame, dedicandomi con un gruppo di amici alla ricerca, analisi e tutela degli antichi testi dialettali della tradizione locale.

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