Machado de Assis e le Memorie postume di Brás Cubas

Machado de Assis e le Memorie postume di Brás Cubas

Memorie postume di Brás Cubas, opera dello scrittore Machado de Assis, da luglio in libreria.

Fazi Editore propone uno dei libri più famosi dello scrittore di Rio de Janeiro. Pubblicate per la prima volta nel 1881, le Memorie postume di Brás Cubas rappresentano il periodo della maturità di Machado de Assis, tra i capisaldi della storia della letteratura brasiliana, nonché autore di classici intramontabili per irriverenza e spensieratezza. Tra questi, Memorie postume è oggi restituito al lettore contemporaneo a ribadire la fortuna degli eroi di una nuova epica fiorita tra XVIII e XIX secolo, quelli che con lunghi monologhi raccontano di aver viaggiato in lungo e in largo nei pochi metri quadrati della propria camera, come Xavier de Maistre, o che, pur uscendo dalle mura familiari, viaggiano «in tondo». Il secondo caso è proprio quello di Brás Cubas, un uomo che sceglie di raccontarsi in piccoli ritratti di vita, o meglio, in capitoli, non come estrema volontà prima della morte, bensì come primo atto al di là della vita.

Machado de Assis ferma la sua penna al Prologo, cedendola nella finzione letteraria al vero autore delle Memorie. Brás Cubas ama rivendicare l’originalità e il primato della sua scelta: con le sue parole non può perdere niente, perché ha già perso tutto. Decide infatti di raccontare la sua vita dall’alto della posizione privilegiata di defunto. Le Memorie sono tutto ciò che resta di lui, perché «l’opera è tutto». L’uomo è eletto (e non ridotto) a Opera: le fasi della vita sono definite edizioni, la recente soppianta la più obsoleta, inevitabilmente recuperata, però, dal perpetuo movimento nostalgico; l’uomo è un «refuso pensante», che gode della fortuna (o sfortuna) di «toccare con mano la volubilità delle […] impressioni e l’insensatezza dei […] sentimenti»; la narrazione riguarda una vita letteraturizzata, i cui episodi, scene di vita comune, sono intrisi della memoria atavica dei classici greci, della storia romana, degli idoli letterari di un uomo che legge nei piccoli avvenimenti una grande storia. O ancora, al contrario, di un narratore che imbriglia il lettore in una lunga sequenza descrittiva fine a se stessa, per il semplice gusto di onorare la parola.

Brás Cubas definisce la sua personale parola un «mugugno un poco pessimista». Non a caso la prima narrazione, quella della sua morte, è legata al tentativo di risolvere per sempre la tendenza dell’uomo alla malinconia attraverso un unguento miracoloso. Il tentativo del protagonista è l’emanazione di quella che lui definisce una delle sue periodiche idee fisse. Forse è a questo che fa riferimento Machado de Assis quando parla di un uomo che ha viaggiato in tondo, ritornando sempre ai suoi primi, ossessivi convincimenti. O ancora, Machado de Assis ha intenso riassumere in questa perifrasi calzante l’andamento circolare di un uomo che ritrova in ogni angolo molliche di un passato sbriciolatosi precocemente fra le sue mani. La spasmodica trafila di avvenimenti, riassunta in tappe amorose, disattesi tentativi di avanzamento di carriera e incontri fortuiti risucchia il lettore in un vortice incalzante ed euforico, significato dal narratore sotto forma di frequenti ragionamenti metaletterari. Non rari i momenti in cui Brás Cubas si rivolge direttamente al lettore, lamentando innalzamenti di stile, o piuttosto presentando con magniloquenza i suoi colpi di genio.

Di queste due tendenze prevale quella che solo il privilegio del suo punto di vista può dare: «questo non è un romanzo, dove l’autore indora la realtà e chiude gli occhi davanti a foruncoli e lentiggini». Nella visione proposta da Machado de Assis attraverso il suo picaro malinconico, dalla morte si può osservare la vita nella sua interezza. Brás Cubas abbraccia il compito eroico di raccontarla, nei suoi foruncoli e nelle sue lentiggini. E a chi avrà l’ardire di accusarlo di cinismo, il narratore risponderà: «no, animo sensibile, non sono cinico, sono stato uomo».

Immagine: Fazi Editore

A proposito di Carolina Borrelli

Carolina Borrelli (1996) è iscritta al corso di dottorato in Filologia romanza presso l'Università di Siena. Il suo motto, «Χαλεπὰ τὰ καλά» (le cose belle sono difficili), la incoraggia ogni giorno a dare il meglio di sé, per quanto sappia di essere solo all’inizio di una grande avventura.

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