In questo articolo vi presentiamo la recensione dell’ultimo romanzo di Ottessa Moshfegh, Lapvona, edito da Feltrinelli.
Uscito a marzo 2023 nelle librerie d’Italia, Lapvona è l’ultimo romanzo della scrittrice e saggista statunitense Ottessa Moshfegh, già divenuta celebre per la sua precedente opera Il mio anno di riposo e oblio, datato 2018.
Sinossi di Lapvona di Ottessa Moshfegh
La Lapvona che dà il titolo al romanzo di Ottessa Moshfegh è una piccola cittadina immaginata dall’autrice, situata probabilmente nell’Europa settentrionale dopo la Grande Peste del ‘300. I personaggi che popolano il villaggio sono umili contadini e allevatori, che si dedicano con impegno alle proprie mansioni nella speranza che i sacrifici compiuti in Terra possano assicurare loro un posto in Paradiso, e praticano il vegetarianismo.
I primi abitanti che ci vengono presentati sono Jude e Marek, rispettivamente padre e figlio che allevano agnelli. Jude è un uomo rude, ignorante, che sembra curarsi solo del benessere dei propri animali, mentre Marek è un ragazzino di tredici anni affetto da gravi disabilità fisiche e dal carattere remissivo. Marek è continuamente maltrattato dal padre che lo picchia, insulta ad ogni errore e lo incolpa di aver provocato la morte della madre Agata appena dopo il parto. L’unica persona che dona affetto al giovane Marek e lo fa sentire accettato è Ina, l’anziana levatrice di Lapvona, conosciuta da tutti anche per le sue misteriose arti di guaritrice. Al comando di Lapvona vi è Villiam, il quale tiene sotto controllo e soggioga l’intera cittadina tramite saccheggi e violenze di briganti che si ripetono ad ogni segno di malcontento fra la popolazione.
Un giorno, mentre è di ritorno da casa di Ina, Marek incontra Jacob, figlio di Lord Villiam, e insieme s’incamminano su per i sentieri di montagna alla ricerca di nidi di uccelli. In un raptus di gelosia ed invidia per le infinite fortune di Jacob, il ragazzino storpio lo colpisce con una pietra e Jacob inciampa nel terreno scosceso e finisce per cadere da un dirupo, morendo sul colpo. Da quel momento, un susseguirsi di vicende terribili coinvolgono gli abitanti di Lapvona, che saranno costretti a compiere anche i gesti più terribili per sfuggire alla cattiveria umana e all’apparente crudeltà della natura.
Considerazioni
Iniziamo con lo specificare che Lapvona non è un romanzo adatto a tutti. Ottessa Moshfegh è un’autrice nota per il suo stile di scrittura ispirato al realismo sporco di Bukowski, le sue opere sono caratterizzate dalla grande presenza di immagini disgustose, brutali, personaggi grotteschi e perversi. La lingua utilizzata da Moshfegh ricalca esattamente tale tendenza: non vi sono arzigogoli stilistici, le frasi sono brevi, la lettura è semplice e scorrevole (fatta eccezione per alcune parti dall’andatura più flemmatica e riflessiva), ma non per questo piacevole nel senso più letterale del termine. La crudezza di certe scene risulta essere il più delle volte ridondante, quasi come se l’autrice si dilettasse nel descrivere in tutto il loro orrore mutilazioni e aspetti abominevoli dei suoi personaggi.
Per quanto si possa essere fan del genere gore e della violenza gratuita nelle varie tipologie di media, ci si accorge subito dell’abuso ridicolo di simili dettagli, volti a riproporre una sorta di caricatura dei personaggi e dei luoghi di ispirazione medievale. È lampante l’ispirazione di Moshfegh ai classici della letteratura gotica e dell’orrore del passato, basti notare la somiglianza fra la figura del piccolo Marek e quella di Quasimodo di Victor Hugo in Notre-Dame de Paris, o l’attenzione per la degradazione umana tipica del sadismo dei personaggi proposti dal Marchese de Sade. Ciò che dovrebbe suscitare sconcerto, terrore e repulsione nel lettore colpisce solo i primi istanti, appare poi come un crogiolo insensato e per nulla necessario di pornografia del dolore, che finisce irrimediabilmente con il tediare il pubblico e rendersi banale ai suoi occhi.
Con il suo preludio e la presentazione di Jude e Marek, Lapvona crea i presupposti per una storia che si prospetta intrigante, una possibile discesa nelle più oscure profondità dell’animo umano, ma purtroppo le premesse rimangono in larga parte lettera morta nelle sue 270 pagine. Ciò che delude maggiormente nel romanzo di Ottessa Moshfegh è la mancanza pressoché totale di introspezione e analisi psicologica dei molti personaggi che popolano il paese. Nessuno di essi riesce a creare quel legame con il lettore dal sapore magico e difficilmente descrivibile a parole, nessuno è in grado di rimanere impresso nella mente. Tale carenza non è dovuta al fatto che tutti i lapvoniani, in un modo o nell’altro, si rivelino alla fine animati solo da sentimenti negativi e sgradevoli; non è detto che il patto personaggio-lettore nasca solo con i “buoni”, anzi. La letteratura, il cinema e molte altre arti ci hanno insegnato che spesso tendiamo ad essere attratti di più dalla malvagità che dal bene. Il problema di fondo sta proprio nella piattezza di Marek e gli altri, diventa tangibile la regressione della loro caratterizzazione dopo la carestia e la siccità causate da Villiam che colpisce Lapvona nel periodo estivo (sarà una scelta voluta oppure no?).
Forse l’unica, fra i protagonisti nati dalla penna di Moshfegh, ad avere successo nell’attirare l’attenzione e la curiosità dell’audience è proprio Ina, la reietta del villaggio. Ella vive lontana dal centro di Lapvona, in una piccola casa fra i boschi oltre i prati adibiti al pascolo, dedicandosi da sempre alla crescita dei neonati e allo studio dei doni della Natura. Ina ricalca gli stilemi del cieco saggio, della guaritrice la cui conoscenza delle leggi del mondo naturale attira i sospetti della gente e la porta a ricevere l’epiteto di “strega”. Solo Ina sembra essere immune al caos che assale il villaggio.
A Lapvona le persone vivono senza porsi domande, nell’apparente calma delle sue sporche vie gli abitanti covano sentimenti di odio, invidie, frustrazioni e si ha l’impressione che nemmeno i membri di una stessa famiglia provino interesse o affetto l’uno per l’altro. La stupidità e la falsità che regnano sovrane sono perfettamente incarnate da Lord Villiam, un uomo che esiste soltanto per essere divertito, così avviluppato in un mondo fatto di finzione da arrivare a pensare che persino la morte del figlio Jacob sia una messa in scena per intrattenerlo.
Alla fine di Lapvona di Ottessa Moshfegh non rimane che una scarna fiaba nera, condita da una sovrabbondanza di allegorie e immagini che promettono di più di quanto in realtà rivelino; non vi sono messaggi, temi su cui riflettere, il lettore chiude il romanzo avvertendo solo la sensazione di aver compiuto un breve viaggio all’interno di un tragicomico villaggio di pecore belanti.
«Quando chiedeva consiglio agli uccelli, quelli rispondevano che non sapevano nulla dell’amore, che l’amore era un difetto propriamente umano che Dio aveva creato per controbilanciare il potere della avidità degli uomini»
Immagine di copertina: Pixabay