Aléxein Mégas e il suo primo album: The White Bird

Aléxein Mégas e il suo primo album: The White Bird

L’artista cilentano Aléxein Mégas rilascia The White Bird, il suo primo album da solista

Il Cilento è una terra pullulante, quasi straripante, di talenti musicali spesso inespressi o che non vengono valorizzati adeguatamente. Nelle lande del Cilento, sopravvive ancora quella pasoliniana purezza dell’arte, non fagocitata dai meccanismi cannibali della città. Si suona e ci si esprime per esigenza, per aggregazione e per esprimere il morso che ribolle dentro, o per comporre, con ogni mezzo, quella tela del proprio pensiero che non si smette mai di tessere.
L’ascoltatore, però,  è il più delle volte mediocre e non educato, ma il materiale c’è, basta soltanto riuscire ad avere la curiosità di scoprirlo, l’intelligenza di scorgerlo e la genuinità di riconoscerlo. Artisti di ogni genere affollano quella terra ibrida e selvaggia che è il Cilento, e si auspica una lucidità comune che non permetta di ignorare tutto ciò. Questo e altro è Aléxein Mégas.

Antonio Alessandro Pinto, in arte Aléxein Mégas, è un artista fortemente ispirato, dalle motivazioni eterogenee e quasi edonistiche: il suo stesso nome d’arte sgorga dalla bellezza dell’arte, e il suo primo album solista, The White Bird, ha molto a che fare con gabbie, scoperta di sé e peregrinazione interiore. Con lui abbiamo parlato di arte, missioni nella vita, situazione musicale in Cilento e di tanto altro.

Intervista ad Aléxein Mégas

Innanzitutto, la domanda più banale (o forse la più scomoda): chi è Antonio? E chi è Aléxein Mégas?

Per quanto banale possa sembrare, nasconde dietro un significato importante che prende vita attraverso le mie composizioni. Fondamentalmente, ho voluto dare un’identità al mio personaggio artistico, che si ispira fortemente alla bellezza dell’arte. Affianco il mio spirito musicale ad Alessandro Magno. Sento un forte legame tra le ragioni per cui compongo musica e il conquistatore dell’impero persiano. Non tanto per la sua intelligenza militare e diplomatica, ma per la passione, il coraggio ed il carisma dai quali era motivato. Il modo di spronare i propri soldati essendo egli stesso parte della battaglia, il modo in cui ha lottato per amalgamare diverse etnie facendole convivere sotto lo stesso tetto. Innumerevoli conquiste che diedero al suo impero un sapore universale.
Questo è ciò che attraverso la mia musica vorrei trasmettere: un messaggio universale che possa motivare ogni persona a cercare il proprio posto nella realtà, sentendosi libera di vivere secondo le proprie emozioni, condividendole attraverso l’arte che gli appartiene. Ogni essere umano, se educato all’arte ha la capacità di esprimere sé stesso attraverso di essa.
Purtroppo la società ci insegna altro, ovvero di formarci e strutturarci al fine di diventare uno dei milioni di ingranaggi che fanno girare l’immenso meccanismo del lavoro. Questo spesso diventa alienante per molti che trovano nella propria vita l’unico scopo di dedicarsi a questo grosso sistema, annullandosi inevitabilmente.
Sarebbe meraviglioso se ognuno di noi aprisse gli occhi e desse il giusto peso a questa parte sicuramente importante, ma che se mal gestita, ti annulla senza modo di tornare indietro. L’arte è bellezza che svanisce nella meccanicità dalla quale siamo chiamati ogni giorno a rispondere, senza renderci conto di quanto tempo si sprechi a sacrificio delle cose veramente belle che ci circondano e di cui potremmo essere protagonisti.

The White Bird mi fa pensare al White Album dei Beatles, che in questi giorni festeggia il suo anniversario. Ricollegandoci a ciò, quali sono stati i mostri sacri della storia di Aléxein Mégas, la tua storia personale, e coi quali hai un rapporto di devozione-emulazione-competizione-ispirazione?

Sono tanti gli artisti che stimo e dai quali sono stato influenzato negli anni. Ho ascoltato diversi generi musicali, ma fondamentalmente preferisco dividere in due fasi la mia formazione musicale: la prima piena di chitarre distorte, durante la quale band come Dream Theater, Pain of Salvation, Symphony X, Pearl Jam e Muse sono stati colonne portanti della mia formazione musicale.
La seconda ha visto evolvere il fascino per la musica da colonna sonora e per la world music in suoni più elettronici e moderni ed atmosfere più spaziali, nelle quali ho trovato grandissima fonte di ispirazione, vestendo a pennello ciò che i miei pensieri volevano veramente raccontare. Posso citare gruppi come Bonobo, Moderat, Jan Blomqvist, Jon Hopkins, Nicolas Jaar, Hans Zimmer, John Williams dei quali sono dipendente ma sono in costante apertura verso artisti nuovi che abbiano emozioni da trasmettermi.

 Come è nato The White Bird?

In riferimento proprio al mio lavoro, credo che ognuno di noi abbia in sé un uccello bianco che può sporcare d’ogni colore preferisce. In principio, non si ha consapevolezza di ciò che si ha dentro e di ciò che si desidera per essere felici. L’uccello bianco, come lo intendo, non rappresenta unicamente l’istinto creativo di ogni artista, bensì il fuoco ardente di passione che dimora in ogni persona. Ho voluto condividere ciò che mi è accaduto, allo stesso tempo suggerendo ad ognuno di cercare dentro di sé per trovare il proprio “white bird”, liberandolo dalla prigionia delle angosce legate alle futilità; godersi i semplici momenti mai prendendoli per scontati, assaporandoli a fondo è il modo speciale di vivere felici, mantenendo regimi di rispetto e condivisione. La strada è lunga, può richiedere anni ed a volte se non ci si guarda davvero dentro, può non arrivare mai a compimento.

Cosa pensi della situazione musicale in Cilento?

In generale, l’Italia è ricca di talenti che hanno da dire la propria ma spesso noto che ci si perde un po’ nel cliché, sopratutto quando si cerca di essere ciò che il mercato vuole e non ciò che in realtà si è.
In piccole realtà come quella del Cilento, questa genuinità rimane ancora a galla e di questo ne sono veramente contento. Sono in continuo contatto con persone ricche di voglia di fare e che se ne fregano di quello che sarebbe meglio scrivere, per emergere da quest’inferno ch’è diventato il mondo della musica.
Fatto sta che sono proprio questo tipo di artisti che riesce di più ad ispirarmi o a lasciare il segno. Attraverso la loro autenticità riescono ad arrivare all’ascoltatore senza filtri. Si percepisce naturalmente senza bisogno di tergiversare troppo.

Progetti futuri?

Oltre che la musica, amo l’arte visiva come foto e video che combinati insieme danno vita ad un meraviglioso gioco comunicativo. Cortometraggi muti accompagnati semplicemente da musica possono dire molto più di una regia standard come anche un brano senza testo può fare.
La mia missione è quella di raccontare il mio pensiero attraverso tutto questo, sperando che più persone possibili catturino un suggerimento od ispirazione al fine di dirigere la propria vita verso ciò che desiderano realmente e che li renderebbe veramente felici. Svestire l’abito del bravo cittadino modello per essere naturali, senza pregiudizi, senza egocentrismo, senza paura di condividere con il mondo la propria fragilità emotiva nonostante le paure verso un mondo severo. Spesso la soluzione è semplice. Uscire da sé per ascoltare le vibrazioni altrui ed amarle nella loro imperfezione.

In foto: Aléxein Mégas

A proposito di Monica Acito

Monica Acito nasce il 3 giugno del 1993 in provincia di Salerno e inizia a scrivere sin dalle elementari per sopravvivere ad un Cilento selvatico e contraddittorio. Si diploma al liceo classico “Parmenide” di Vallo della Lucania e inizia a pubblicare in varie antologie di racconti e a collaborare con giornali cartacei ed online. Si laurea in Lettere Moderne alla Federico II di Napoli e si iscrive alla magistrale in Filologia Moderna. Malata di letteratura in tutte le sue forme e ossessionata da Gabriel Garcia Marquez , ama vagabondare in giro per il mondo alla ricerca di quel racconto che non è ancora stato scritto.

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