Eurovision song contest 2019, recensione della finale

Eurovision 2019

L’Eurovision, l’annuale festival musicale europeo che attira sempre più appassionati di musica e di momenti trash di dubbio gusto (forse più la seconda che la prima) è giunto anche quest’anno. Perciò ecco a voi, signore e signori, il resoconto della serata finale di una delle manifestazioni musicali più eccentriche e discusse del vecchio continente.

Nella vita ci sono momenti che ognuno di noi attende con trepidazione. Alcuni attendono la domenica per gustarsi il ragù della mamma senza pensare alla dieta, altri il sabato per liberarsi dalla routine dello studio o del lavoro in modo da ubriacarsi con gli amici come se non ci fosse un domani, altri ancora attendono sul cellulare una notifica che li informa di un nuovo video pubblicato da Youtube anche per interrompere qualsiasi attività di estrema importanza come uscire con la propria morosa. Ci sono poi quelli che attendono un intero anno per poter vedere finalmente sul grande schermo l’atto conclusivo di un saga cinematografica dove un gruppo di supereroi affronta un titano pazzo pronto a spazzarli via con un guanto d’oro tempestato di gemme colorate e chi invece di anni ne aspetta due per assistere alla stagione finale di una serie tv fantasy in cui tutti i beniamini del pubblico muoiono male. Infine ci sono quei pochi che attendono il mese di maggio per un solo e semplice motivo: la finale dell’Eurovision Song Contest, la più importante e controversa manifestazione musicale europea che canalizza l’attenzione di tutti quegli appassionati (tra cui il sottoscritto) che hanno una sorta di attrazione/repulsione verso l’eccentricità che sfiora le vette del trash di maggior prestigio.

Eurovision Song Contest, piccola introduzione storica

Nato nel lontano 1956 a Lugano, in Svizzera, l’Eurovision Song Contest aveva come base quella di usare l’arma della musica per unire i popoli europei in uno spirito di pace e fratellanza, allo scopo di lasciarsi da parte i dissapori maturati durante l’ultimo conflitto mondiale e che nel secondo dopoguerra perduravano.

Le regole sono molto semplici. 26 cantanti provenienti da 25 nazioni europee e dall’Australia (sì, c’è anche l’Australia tra i partecipanti, ma ne riparleremo a tempo debito) si esibiscono in tre diverse serate. Le prime due sono le semifinali che determinano le 20 nazioni  che gareggeranno nella finale di sabato assieme alle Big five, le nazioni che accedono all’Eurovision di diritto: Francia, Regno Unito, Germania, Spagna e Italia). I cantanti rappresentanti di ogni nazione vengono scelti in base a festival nazionali, talent shows o possono esserci altri motivi dietro la loro scelta come una proposta da parte delle case discografiche.

Nonostante il messaggio veicolato sia quello della fratellanza tra i popoli, l’Eurovision ha sempre fatto parlare di sé più nel male che nel bene. L’atmosfera colorata e festaiola messa in scena risulta essere più uno specchietto per le allodole, dato che non sono mancate nel corso degli anni controversie a sfondo sociale e politico. Molte nazioni non hanno ritirato la loro partecipazione ad alcune edizioni in base a momenti storici particolari, come fece la Russia nel 2017 quando l’Eurovision fu ospitato in Ucraina. Ad ospitare le ultime edizioni è stata Israele, nella città di Tel Aviv, e data la situazione politica del paese le polemiche quest’anno sono state più che mai aspre. Polemiche che abbiamo deciso di non trattare, dal momento che non è questo l’obiettivo dell’articolo. Preferiamo piuttosto trattare il lato mondano che in questa manifestazione, che piaccia o no, è presente.

L’ora di chiosare questo lungo preambolo è giunta. La finale dell’Eurovision è in procinto di iniziare e il tanto amato quanto odiato Mahmood è pronto a rappresentare i colori del nostro paese. Buttiamoci a capofitto, si parte.

Eurovision 2019: le esibizioni

Le note del Te Deum che contraddistinguono la sigla dell’Eurovision rimbomba solenne dalle casse del televisore (con rischio di sordità perenne ai danni del sottoscritto) e si parte. L’arena Expo di Tel Aviv ci accoglie piena di gente e a introdurre la serata è Netta, la vincitrice della scorsa edizione che con un’elaborato filmato atterra da un aereo. Segue la presentazione dei 26 cantanti che “scendono” dall’aereo che li ha portati ad Israele introdotte da una coreografia molto luminosa, intervallata da una breve esibizione di Dana International, la prima cantante transessuale ad aver vinto un Eurovision del 1998, da Ilanit che ha vinto invece l’edizione del 1979 e da Nadav Gujed, in arte Golden Boy, che invece ha rappresentato Israele nell’edizione del 2005, Introduzione colorata e scoppiettante e ce ne è per tutti i gusti in fatto di cantanti. Ma ora li analizzeremo nei dettagli uno ad uno.

La prima nazione a scendere in campo è Malta, che schiera Michela con Chameleon. La giovane cantante balla e canta con una coreografia molto colorata e che richiama alla natura “selvaggia” (la traduzione del titolo è, guarda caso, Camaleonte), con un corpo di ballerini vestiti di bianco. Durante il ritornello si assiste ad un esplosione di colori intermittenti e la crisi epilettica è bella che servita. Michela si dimostra comunque brava e apre alla grande l’Eurovision.

La seconda ad esibirsi è Jonida Maliqi , che rappresenta l’Albania con Khteju tokes. Una canzone intensa dedicata ai profughi della guerra nel Kosovo ma che, a detta della cantante, parla anche di tutte quelle popolazioni costrette a fuggire per colpa della guerra. La prima canzone del festival ad essere cantata in lingua madre e, dato l’argomento, non poteva essere altrimenti. Esibizione contornata dalla predominanza dei colori nero, rosso e giallo con le immancabili fiamme che caratterizzano un po’ il 90 percento delle esibizioni dell’Eurovision.

Ora tocca alla Repubblica Ceca. I Lake Malati, band amata in patria, si esibiscono con Friend of a Friend. I tre componenti si esibiscono dentro tre quadrati che, durante il ritornello, si uniscono su di uno sfondo nero. A contornare il tutto lo schermo dell’arena che cambia colora in pochi nanosecondi e che causano la seconda crisi epilettica della serata. Nulla di che, una canzone sull’amicizia cantata da quelli che possiamo definire come “I Jonas Brothers dell’est Europa“.

La Germania è la prossima ad esibirsi con le S!sters che cantano il brano Sister (per la serie: “viva l’originalità”). Molto belle e molto brave, ma la scenografia le penalizza parecchio: un po’ spoglia e si risolleva solo nel finale, con i fuochi d’artificio che scendono dal tetto del palco. Carina, ma nulla di che.

Ed eccoci giunti a quello che abbiamo deciso di definire come il primo “momento manzo” della serata. La Russia infatti fa salire sul palco il suo rappresentante Sergey Lazarev con Scream. Il baldo giovane si esibisce davanti a degli specchi e l’immagine riflessa in essi prende vita propria (no, non chiamate nessun agente del paranormale: è un effetto al computer che si chiama “realtà aumentata”). Sergey, che vinse a 13 anni l’edizione di Bravo bravissimo del 1996, ha una voce potente e di certo non passa inosservato.

Arriva la Danimarca con l’ex-ballerina Leonora che canta Love is Forever. Esibizione che ci lascia interdetti. E noi che ci aspettavamo come cantante un fustone vichingo con capelli lunghi, giacca in pelle e scenografia contornata da drakaar e guerrieri con elmi da variego. Invece eccoci servita una canzone romantica, abbastanza dolce da far andare a fuoco i più cinici di noi e contornata da uno sfondo colorato a pennello, con tanto di nuvole e sole nascente. Insomma, ad un certo punto ci siamo chiesti se stessimo vedendo l’Eurovision o un contenitore per bambini in età prescolare.

Ora tocca a quella che per noi italiani è la nostra nemesi per eccellenza: San Marino. Il cantante che si esibisce si chiama Serhat, di origini turche (il regolamento dell’Eurovision contempla anche la partecipazione di cantanti che non siano nativi della nazione che rappresentano) e la canzone si intitola Say na na na. Tipica musica da discoteca, con tanto di cantanti femminili a ripetere “na na na”, mentre se a Serhat mettessimo una benda sull’occhio sinistro somiglierebbe tantissimo a Sagat di Street Fighter II. Per quanto riguarda la fama di San Marino come “nostra nemesi”.. ne riparleremo presto, tranquilli.

La prossima ad esibirsi è  Tamara Todevska per la Macedonia del Nord con Proud. Coreografia minimale, con lei al centro che si esibisce avendo dietro degli specchi che riflettono la sua figura di retro e con le luci bianche dei riflettori che la illuminano nel ritornello. L’esibizione si chiude con l’immagine di Tamara assieme alla sua figlioletta, un momento di indiscutibile tenerezza.

La Svezia scende in campo con John Lundvik che canta Too Late for Love. L’esibizione però non sembra che venga accolta con molto entusiasmo, dato che dal pubblico si sentono persino dei fischi all’inizio. Anche qui un’esibizione al massimo del minimalismo, con il cantante che al centro che viene illuminato da un fascio di luce arancione e, ad un certo punto, compaiono quattro cantanti gospel ad accompagnare John. Voce molto potente la sua e sicuramente sa muoversi molto bene sul palco e, dato il suo fascino, costituisce il secondo “momento manzo” della serata.

Ed ecco il secondo momento “estremamente dolce”, con la Slovenia di Zala Kralj & Gasper Santl che cantano Sebi. I “fidanzatini dell’Eurovision” dichiarano di essersi conosciuti su Instagram e la loro esibizione… non si può chiamare nemmeno così. Lei che canta davanti a lui che suona e alla fine si baciano. Nessuna empatia, nessuna emozione.

A ridare energia alla competizione è Tamta con Replay. Senza mezzi termini diciamo che lei è sicuramente affascinante (nonostante l’abito in lattice conferisca una certa “plasticità” alla sua persona) e la coreografia, la più classica di tutti (ballerini vestiti come gangsters e intermittenza di luci bianche e nere) fa comunque la sua bella figura. Insomma, noi maschietti ci siamo rifatti gli occhi.

I Paesi Bassi portano Duncan Laurence con Arcade, uno dei brani favoriti alla vittoria finale a detta di molti. Il cantante si esibisce suonando una tastiera (o pianoforte?), con uno sfondo in cui predominano il nero e il blu mare. Però l’esibizione è tutta qua, nulla che faccia sobbalzare dalla sedia. Piace al pubblico femminile, ma anche qui nulla di memorabile.

Tocca alla Grecia. Katerine Duska canta Better Love. Scenografia costituita da quello che sembra essere un enorme altare bianco, con attorno cinque ballerine vestite dello stesso colore. Sullo schermo invece si alterano le immagini di petali rosa e bianchi che sbocciano. Un brano che sa molto di Grecia, nulla da obiettare.

Siamo già alla quattordicesima esibizione dell’Eurovision  e si esibisce Kobi Marimi con Home a rappresentare i padroni di casa. Una voce da soprano niente male quella esibita dal cantante, che predilige anche lui una coreografia molto semplice e alla fine Kobi si commuove. Gli applausi sono più che meritati.

Ma ora si cambia registro con la Norvegia dei KeiiNO e il loro brano Spirit in the Sky. Tre cantanti dallo stile diverso che si cimentano nello stile tradizionale dello joik, un canto che evoca i suoni della natura e che viene messo in risalto soprattutto da Fred-René Buljo. Operazione che riesce benissimo grazie anche alla scenografia, costituita da fumo e dall’immagine di un’enorme renna che sovrasta dal palco e contornata dalle fiamme che fuoriescono dai lati del palco. Puro spirito scandinavo che fuoriesce da ogni poro (Danimarca, guarda e impara).

Micheal Rice si esibisce per il Regno Unito con Bigger Than Us. Lui è il classico ragazzo che piace alle madri delle figlie e l’esibizione non è nulla di memorabile. Prevediamo l’ennesimo ultimo posto occupato dal Regno Unito anche per questa edizione.
Drastico cambio con gli islandesi Hatari con Hatrid mun sigra (titolo che si traduce come “L’odio trionferà“) che ci regalano un momento di grande trash. Il gruppo si presenta su una scenografia dal gusto post apocalittico, illuminato di rosso e con catene che compaiono sullo schermo. I membri, con manie sadomaso ben evidenti, sembrano usciti direttamente da Mad Max: Fury Road. Esibizione eccentrica, cattiva (la loro è la prima canzone a portare la parola “odio” nel titolo) ma che incontra il favore dei cultori più puri del trash. “Voto dieSci!

Terzo momento manzo con lo svedese Victor Crone che rappresenta l’Estonia con Storm. Si ritorna sul pop con un’esibizione energetica, contornata anche da degli effetti di computer grafica che richiamano la tempesta che dà il titolo all’esibizione (anche se sembrano fatti da un sedicenne che non sa usare Adobe Effects).

La Bielorussia propone l’affascinante Zena con Like It. Da quel che sembra di capire la cantante, che è la più giovane concorrente dell’Eurovision (sedici anni) ambisce al titolo di “Britney Spears dell’est Europa” e vanta già una carriera come doppiatrice. L’esibizione rasenta molto la disco, con ballerini hip pop.

Ora tocca all’ Azerbaigian che porta sul palco Chingiz con Truth. Il cantante si presenta con due robot che puntano il suo cuore, il quale compare poi sul tetto dell’arena ricoperto d’oro. La scenografia richiama quindi un retrogusto tecnologico e futuristico che culmina verso la fine, con un ologramma del cantante che viene proiettato verso l’alto.

Bilal Hassani rappresenta la Francia con Roi, una canzone il cui testo parla di diversità e della paura del giudizio degli altri. Esibizione molto bella, con il testo tradotto in inglese che viene proiettato sullo schermo e con due ballerine, una “curvy” e una di origini asiatiche che rappresentano la vittoria contro gli stereotipi.

Ed ecco finalmente giunto il momento di Mahmood, pronto a rappresentare l’Italia con Soldi. Esibizione davvero incredibile, con il cantante che si esibisce con un corpo di tre ballerini e una scenografia unica: i soldi che danno il titolo alla canzone scorrono sullo schermo in un oceano di fiamme e viene proiettato il testo tradotto in inglese sullo schermo. Il pubblico apprezza molto l’esibizione di Mahmood (che merita un punto in più per la camicia indossata) e anche quest’anno, a seconda di come andrà, abbiamo fatto un figurone.

Dopo l’Italia tocca alla Serbia. Novena Bozovic si esibisce con Kruna, canzone la cui esibizione è predominata dalle varie sfumature di bianco. Lei, oltre ad essere molto bella ed elegante, è anche brava. Ed ecco arrivare l’ultimo “momento manzo” della serata con lo svizzero Luca Hanni che porta She got me. Appena l’esibizione inizia sembra di guardare la pubblicità di un profumo per uomini: bande nere orizzontali che racchiudono un sfondo che si illumina di rosso, riempito da ballerini vestiti dello stesso colore e dal cantante che invece predilige una tuta nera. Di certo il pubblico femminile si sta rifacendo gli occhi: la Svizzera è il paese del cioccolato, degli orologi, del più famoso paradiso fiscale e anche di bei uomini (ma noi preferiamo sempre e comunque il cioccolato alla fine).

La penultima cantante ad esibirsi è Kate Miller Heidke con Zero Gravity, a rappresentare l’Australia. Sì, avete letto bene: l’Australia in una competizione canora europea, un po’ come dare un pettine in mano a Lex Luthor. In ogni caso l’esibizione è qualcosa di spettacolare: il pavimento riproduce il globo terreste e la cantante, assieme ai suoi ballerini, si mette a volare appoggiata a quelli che sembrano dei lunghi bastoni piegabili. Insomma l’Australia fa la sua bella figura, con buona pace dei terrapiattisti che ne negano l’esistenza.

A chiudere le esibizioni è la Spagna con La venda di Miki, una canzone che invita ad accettare sé stessi per quel che si è. Un’esibizione festaiola e allegra, con colori vivaci che esplodono e il classico corpo di ballo che coinvolge il pubblico. Il cantante ad un certo punto prende una videocamera e riprende gli spettatori che compaiono sullo schermo, rendendoli così partecipi vivi dell’esibizione. L’energia di Miki chiude così le esibizioni alle 23:10 (insomma, come succede da noi con Sanremo in pratica).

Fase delle votazioni ed esibizione di Madonna

I quattro conduttori danno finalmente il via al televoto. Gli spettatori hanno la possibilità di votare tramite sms il cantante che hanno preferito, tranne quello della loro nazione (quindi noi italiani non possiamo votare per Mahmood). In seguito a questi voti si dovranno sommare quelli della giuria delle 41 nazioni partecipanti all’Eurovision, compresi anche quelle che non si sono qualificate alla finale.

Ma prima di scoprire il vincitore dell’Eurovision, l’Expo di Tel Aviv è pronto ad accogliere un ospite di eccezione: Veronica Ciccone, in arte Madonna. Intervistata, Lady Ciccone sfodera un outifit che la fa somigliare ad un cosplay malriuscito di Capitan Harlock che sfoggia anche durante la sua esibizione, costituita da un coro di monaci sopra le scalinate di una immaginaria cattedrale mentre canta Like a prayer. Si prosegue poi con un’esibizione di ballerini abbigliati secondo un gusto steampunk sulle note di Future, il suo nuovo singolo. Insomma, anche qui l’eccentricità trash ha trionfato.

E finalmente si giunge all’atto conclusivo. Le votazioni si chiudono e ora conosceremo la classifica provvisoria. I primi a dare i propri voti, su una scala da 1 a 12, sono i rappresentanti di giuria di 41 nazioni e qui vale la regola del “aiutamose tra amici“, ovvero “tra stati confinanti”. Fin da subito infatti si nota come il rinominato blocco Scandinavo (Svezia, Danimarca, Norvegia) si scambino i fatidici 12 punti tra di loro e lo stesso avviene tra Cipro e Grecia, con un boato di fischi di disapprovazione del pubblico. Il tizio che urla “Maledetiii” ci starebbe a pennello in questa atmosfera. Per quanto riguarda noi la giuria dà a Mamhood 212 voti ed è da notare che tra le nazioni a darci il massimo del punteggio c’è anche San Marino, nota al popolo di Twitter per aver sempre penalizzato l’Italia nelle scorse edizioni dandole 3 o 4 punti (quando si dice “passarsi una mano sulla coscienza”). Alla fine il voto della giuria porta al primo posto la Svezia (239 punti), seconda la Macedonia del nord  (237 punti), terzi i Paesi Bassi (231 punti) e al quarto l’Italia (212 punti).

La somma di questi voti con quelli del televoto ribalta completamente la situazione. L’Italia arriva seconda con 439 punti e vincere l’Eurovision di quest’anno sono i Paesi Bassi, i quali ospiteranno la prossima edizione del festival della musica europea. Una votazione vissuta al cardiopalma, dove in fondo ci abbiamo creduto un po’ tutti al trionfo finale del nostro paese. Ma il secondo posto è comunque un ottimo risultato.

Dear Italy, you will be lucky next time

Il sipario cala su questa edizione dell’ Eurovision song contest. Un’edizione in cui forse il fattore goliardico del dubbio gusto è venuto un po’ meno, ma che comunque ci ha regalato come sempre momenti in cui l’eccentricità sfarzosa ed esagerata da parte di ogni nazione che si è esibita e gli amanti del genere non sono rimasti di certo delusi. Il tutto si è svolto tra mille polemiche, ma alla fine ad unire gli spettatori e il pubblico europeo è stata la voglia di una serata spensierata e un po’ “ignorante” che facesse staccare la spina per qualche ora.

Rimane un po’ l’amaro in bocca per la mancata vittoria dell’Italia. Mahmood va ad unirsi a quella schiera di coraggiosi costituita da Il Volo, Francesca Michelin, Francesco Gabbani e Meta-Moro che sono partiti come i più favoriti sulla carta e che poi, nella realtà dei fatti, hanno ricevuto come premio le ovazioni e gli applausi di un pubblico che alla fine ha preferito altro. Ma si tratta comunque di una bella soddisfazione, seppur morale, e l’Italia ha la conferma di essere il paese più amato ad ogni edizione dell’Eurovision.

Forse ci rifaremo l’anno prossimo con un cantante che ben rappresenti gli standard eccessivi dell’Eurovision, qualcuno la cui esibizione farebbe impallidire ancor di più tutti gli altri paesi partecipanti. Non c’è dubbio, per Eurovision 2020 è necessario candidare lui: lo “Zingaro” di Lo Chiamavano Jeeg Robot.

Fonte immagine copertina: https://www.corrieresalentino.it/2019/02/chi-vincera-leurovision-2019-i-favoriti-secondo-i-bookmakers/

A proposito di Ciro Gianluigi Barbato

Classe 1991, diploma di liceo classico, laurea triennale in lettere moderne e magistrale in filologia moderna. Ha scritto per "Il Ritaglio" e "La Cooltura" e da cinque anni scrive per "Eroica". Ama la letteratura, il cinema, l'arte, la musica, il teatro, i fumetti e le serie tv in ogni loro forma, accademica e nerd/pop. Si dice che preferisca dire ciò che pensa con la scrittura in luogo della voce, ma non si hanno prove a riguardo.

Vedi tutti gli articoli di Ciro Gianluigi Barbato

Commenta