Finale Sanremo 2019. Vince Mahmood tra mille polemiche

Finale Sanremo 2019

Siamo sopravvissuti a quattro serate di canzoni, interminabili e tediosi sketch comici, problemi tecnici di varia fattura e tanto altro, nonché a mancanze evidenti come quella del viso amichevole e pacioccone del maestro Beppe Vessicchio. Ora, tra noi e la libertà c’è solo un ultimo ostacolo da superare: la finale di Sanremo 2019. 6 ore di musica che con i duetti di Baglioni diverranno 12, nuovi sketch di dubbio gusto che metteranno alla prova la nostra pazienza e le nostre palpebre e un’attesa interminabile per scoprire chi sarà il vincitore che all’Eurovision song contest di Israele sarà il portabandiera del nostro paese il prossimo maggio.

Una prova ardua che solo i più tenaci e coraggiosi possono affrontare e che, se superata, si dice che dia un enorme prestigio e rispetto da parte dei comuni mortali che devono invece sottostare ai loro limiti.

Previously, on Sanremo 2019

Ma prima di buttarci a capofitto nella finale di Sanremo 2019, facciamo un breve riassunto della penultima serata riservata ai duetti. Quasi nessuno è in disaccordo sull’affermare che quella di venerdì è stata la serata più godibile del festival. C’è chi con i duetti ha rimarcato la propria indiscutibile perfezione: è il caso di Daniele Silvestri e Rancore, che grazie a Manuel Agnelli hanno conferito una tonalità ancora più dura alla loro Argento vivo, così come Ermal Meta è riuscito a rendere ancor più intensa Abbi cura di me di Simone Cristicchi  ricambiando il favore all’amico il quale, l’anno scorso, aveva duettato assieme a lui e Fabrizio Moro.

Alcuni duetti hanno migliorato un prodotto non molto convincente se preso singolarmente, come ha fatto Brunori Sas con L’amore è una dittatura dei The Zen Circus o Diodato e i Calibro 35 con Rose viola di Ghemon. Altri sono soltanto poco convincenti e basta: ci riferiamo soprattutto ad Anna Tatangelo e Syria, al trittico Federica CartaShadeCristina d’Avena, al contrasto tra la pacatezza di Ultimo e l’urlo graffiante di Fabrizio Moro e al siparietto messo su da Morgan e Achille Lauro.

A fine serata si è poi ripresentata quella che, assieme ai fiori, è la tradizione immancabile del festival: i fischi del pubblico, non appena Motta e Nada hanno vinto il premio per il miglior duetto per Dov’è l’Italia. L’inciviltà del gesto si commenta da sola.

Ospiti della quarta serata sono stati Anastasio, rapper vincitore dell’ultima edizione di X Factor chiamato per condire un monologo di Claudio Bisio incentrato sui giovani d’oggi e scritto da Michele Serra. Meglio Ligabue il quale, anche se non riesce a capire che i tempi di Fuori come va e Buon compleanno Elvis sono belli che passati, dà il meglio di sé presentando il nuovo singolo Luci americane per poi scatenare il pubblico con la celeberrima Tra palco e realtà. Tutto molto bello, se solo Bisio non l’avesse messo in ridicolo con una gag inutile e Baglioni non l’avesse costretto a rovinare Dio è morto di Francesco Guccini.

Finale Sanremo 2019: prima parte

Eccoci qui, amici nottambuli, l’ora della finale di Sanremo 2019 è giunta. Avete preparato le macchinette del caffè? Fatto scorta di Red Bull? Avete messo attorno alle palpebre delle pinze in modo da tenere aperti gli occhi come Alex DeLarge di Arancia Meccanica? La finale di Sanremo 2019 è da tradizione la serata più lunga della kermesse e se per voi sarà una fatica immane seguirla, nemmeno chi scrive sa come farà ad uscirne vivo.

Subito si inizia nel migliore dei modi: Claudio Baglioni vestito di punto in bianco che canta E adesso la pubblicità con attorno ballerini abbigliati con camicia bianca e pantaloni neri, seduti su delle sedie a mimare i telespettatori che cambiano canale ad un immaginario televisore. I ballerini impazziscono, saltano, si lasciano andare ad espressioni facciali più ridicole di quelle fatte da Roby Fachinetti l’anno scorso.

 Eppure il pubblico sembra apprezzare, data la standing ovation che gli riserva. Baglioni chiude ringraziando di consueto i tecnici, l’orchestra e tutti i cantanti (particolare rilievo per i giovani) che hanno reso possibile questo Sanremo.

Ennesimo sketch comico tra il conduttore, Claudio Bisio e Virginia Raffaele, riepilogo del regolamento per le votazioni e finalmente si parte. Il primo a scendere nell’arena è Daniele Silvestri con la sua Argento Vivo. Un pugno nello stomaco per il pubblico di Sanremo, poiché è tutto tranne che la tipica canzone sanremese: la storia di un ragazzo difficile e iperattivo, raccontata con tono ruvido, spietato e indifferente alla speranza, apprezzata dalla critica durante tutto il festival.

L’aggiunta del rapper Rancore enfatizza il tono e fa sì che la canzone non passi inosservata. Se è possibile usare un aggettivo per descriverla, mi permetto di ricavarlo dal repertorio del saggio Jerry Calà: «Libidine, doppia libidine!»

Cambio radicale con Anna Tatangelo, la seconda cantante ad esibirsi con Le nostre anime di notte. Per la prima volta la cantante originaria di Sora porta un brano non influenzato da Gigi d’Alessio, ma comunque si tratta di qualcosa di non entusiasmante. L’esibizione finisce e Bisio dà alla cantante l’ennesimo mazzo di fiori sanremesi e una domanda ce la poniamo spontanea: che fine fanno tutti gli altri mazzi di fiori che le cantanti hanno ricevuto durante le serate precedenti? Lecito pensare che vengano ceduti ai venditori ambulanti di rose mediante contrabbando.

L’avellinese Ghemon (che per via dell’enorme trench rosso e arancione che indossa dovrebbe cambiare nome in “Ispettore Zenigada”) è il terzo ad esibirsi in questa finale di Sanremo 2019 con la sua Rose viola, fresca della buona impressione che ha avuto nella serata dei duetti. Finalmente la canzone riesce a convincere rispetto alle prime serate. Tematicamente descrive la classica fine di una storia d’amore, però c’è da dire che la voce del cantante abbinata ad un sound vicino al soul e al blues dà un enorme contributo.

I Negrita salgono sul palco a cantare per l’ultima volta I ragazzi stanno bene. Non c’è dubbio che sia un brano godibile (Pau e soci sono una garanzia), ma è come se la band si fosse limitata a fare il compitino e ad esibirlo davanti al pubblico dell’Ariston senza osare, privi di un guizzo d’energia o di invettiva. Quelli che ascoltiamo sono gli stessi Negrita che abbiamo sempre ascoltato e sinceramente è un peccato, davvero un grande peccato.

I tuoi particolari di Ultimo è la canzone che segue. Classico piano che suona, di nuovo estratti del testo che compaiono sullo schermo e subito il pubblico apprezza. Il vincitore delle nuove proposte della scorsa edizione del festival si cimenta in un disperato canto sull’amore finito che però non scade mai nel patetico. Anzi, la voce mista tra la disperazione e la rabbia contenuta (motivo per cui il duetto con Moro è da dimenticare) rendono il brano uno dei papabili candidati alla vittoria della finale di Sanremo 2019.

Sale ora sul palco Nek con Mi farò trovare pronto, ispirata ad una poesia di Borges. Noi maschi siamo coscienti che a cinquant’anni non potremo mai essere fighi e affascinanti come Filippo Neviani, ma tralasciando i dubbi sugli ultimi residui di eterosessualità che se ne vanno (Selma Bouvier approva) la canzone trasuda energia e potenza. Sembra di risentire il Nek che negli anni ’90 faceva impazzire e sognare le ragazzine dell’epoca con Se una regola c’è o Laura non c’è.

Primo momento di intrattenimento (traduzione: noia) in cui il trio Baglioni-Bisio-Ferrari, si cimenta in un “numero di avanspettacolo” sulle note di Camminando sotto la pioggia del Trio Lescano. I nostri eroi mettono in scena un balletto sotto tre nuvole fatte di quella che sembra carta igienica degna di una puntata di Art Attack e a Bisio capita proprio quella da cui cade la pioggia. Risate garantite (per chi ha coraggio di ridere) e raffreddore, febbre a 40 e tachipirina per il comico.

Prima della pubblicità le telecamere si spostano fuori dall’Ariston, dove troviamo Renato Pozzetto e Lo stato sociale cantare E la vita e la vita. Fa piacere rivedere i secondi classificati della scorsa edizione del festival e anche loro si cimentano in uno sketch comico che, seppur dimenticabile, risulta essere migliori di tutti quelli proposti dai conduttori in tutte e cinque le serate.

Ma ecco arrivare il primo ospite della serata: Eros Ramazzotti, giunto sul palco per festeggiare i 25 anni di una carriera iniziata proprio a Sanremo nel 1987. A fine esibizione giunge Baglioni e cosa succede quando giunge Baglioni con un ospite cantante sul palco? Ovviamente si mette a cantare! E via, duetto sulle note di Adesso tu. Oramai è risaputo che il direttore artistico del festival si metterebbe a duettare persino se sul palco si dovessero presentare Gigione e Jo Donatello (immaginate solo che roba sarebbero hit come ‘O biscotto, Te si magnate ‘sta banana oppure ‘O ball ‘ro cavallo condite dalla sua voce).

Ma la performance di Ramazotti non è ancora finita, poiché giunge sul palco un collega del cantante: Louis Fonsi, il creatore di quella dannata Despacito che ha intasato stazioni radio, bacheche di Facebook e quanto altro per un’estate intera e con il quale canta un nuovo singolo che fa ballare  la prima fila del teatro.

Insomma, il momento ideale per chiamare la propria morosa/il proprio moroso o per vedere se sul cellulare è giunta una notifica che ci informa di un nuovo video pubblicato da Youtubo anche io con conseguente calo temporaneo degli ascolti del festival.

La finale di Sanremo 2019 ricomincia con Che cosa ti aspetti da me di Loredana Bertè. I capelli colorati di blu e l’abbigliamento da ragazzina riflettono un po’ la figura tanto cara al Pirandello dell’Umorismo per descrivere il “sentimento del contrario”, ma è indubbio che la Bertè abbia sorpreso nel bene e nel male. Dimostra una grinta incredibile che le valgono le ovazioni del pubblico. Una tigre che fa sentire ancora forte e potente il proprio ruggito e che è pronta a lottare per contendersi i primi posti.

Fresco di polemiche riguardanti le opinioni sulle voci femminile espresse durante lo scorso dopofestival, Francesco Renga sale sul palco con Aspetto che torni (e dal pubblico si sente una donna in piena effervescenza ormonale urlare «Sei bellissimo!»). Durante l’esibizione il nostro cantante prende una spettatrice e la fa stare un po’ vicino a lei ( Per quale motivo?). Quanto alla canzone, niente di che: lui dice alla sua lei “Aspetto che torni”, noi aspettiamo che finisca di cantare. Ci manca troppo il Renga dei Timoria, questa è la verità.

Mahmood, vincitore di Sanremo giovani, è pronto ad esibirsi con quello che sembra essere diventato un vero e proprio tormentone: Soldi. Il microfono però sembra fa i capricci e decide di non funzionare. Ci pensa Bisio, che dà ai tecnici il tempo di aggiustare il problema e si ricomincia. Il brano del cantante, sardo per madre e egiziano per padre, è la classica melodia accattivante e ballabile dal testo neanche tanto banale (storia di un rapporto tra padre e figli, tutto basato sul denaro), però a molti dà la sensazione della classica canzone che appena passano alla radio ti spinge a cambiare stazione. Poi però finisce che ti entra in testa come un tarlo e allora non puoi più farci niente.

Dopo il break pubblicitario salgono sul palco i genovesi Ex-Otago e la loro Solo una canzone. Il complesso sembra aver preso ispirazione da Baglioni per l’abbigliamento, essendo anche essi vestiti di bianco come se fossero i rappresentanti di una ditta di gelati. Anche questa una canzone d’amore, in particolare sulla difficoltà di tenere acceso il sentimento dopo tanto tempo. Bella nella sua semplicità, con un sound sospeso tra finta spensieratezza (a ciò contribuiscono le movenze del cantante Maurizio Carucci) e malinconia. Il risultato è una tenera dichiarazione d’amore, che si chiude con l’oramai iconico abbraccio del cantante ad una fortunata signora in prima fila: chissà se quest’ultima sarà andata a cercarlo nel camerino per lasciargli il numero.

La finale di Sanremo 2019 prosegue. Ora è il turno dei tre tenorini che, a detta di Bisio, «tutto il mondo ci invidia» (la migliore battuta fatta dal comico in tutto il festival): Il Volo.

I tre pupilli di Antonella Clerici si esibiscono con Musica che resta, l’immancabile ballata d’amore sanremese che tanto piace a chi è rimasto fossilizzato negli anni ’50-’60. Il “bel canto all’italiana” amato da zie zitelle, nonnine un po’ sorde e vecchietti che ad ascoltare la canzone si ricordano della figlia del pastore a cui non sono mai riusciti a dichiararsi.

Baglioni e Bisio stanno per annunciare la prossima esibizione, ma irrompe Virginia Raffaele che decide di fare quello che non ha fatto per tutto il festival: cimentarsi nelle imitazioni. Tira fuori dal cilindro Malika Ayane, Amore e Capoiera, Fiorella Mannoia, Ornella Vanoni. Era ora che facesse vedere le proprie abilità di caratterista, per troppo tempo represse in un ruolo non suo come quello della conduttrice.

Sono quasi le 23:00 e devono ancora esibirsi altri 13 cantanti nella finale di Sanremo 2019. La prossima è Paola Turci con L’ultimo ostacolo. Oltre a contemplare il fin troppo corto vestito che lascia in bella mostra le gambe snelle della cantante riusciamo anche ad apprezzare il brano: Paola Turci riesce ad essere grintosa e potente, mostrando una femminilità che trasuda da ogni poro abbinata ad una voce in cui ruvidezza e dolcezza riescono a fondersi.

Finale Sanremo 2019: seconda parte

La seconda parte della finale di Sanremo 2019 si apre con L’amore è una dittatura dei The Zen Circus. Il problema principale è il testo di non facile lettura per un pubblico abituato a canzoni semplici e immediate. L’invito a non farsi spaventare da ciò che è estraneo e il coraggio della band toscana a portare un brano privo di ritornello non gli permettono di avere una buona risonanza e senza Brunori Sas perde parecchio. Una canzone bella, se non viene ascoltata sul palco dell’Ariston.

Ed ecco ora la regina degli inconvenienti tecnici: Patty Bravo la quale ha abbandonato il look in stile Predator in favore di uno che richiama la capigliatura serpentina della leggendaria medusa. Accompagnata dal giovane cantante (e toyboy) Briga canta Un po’ come la vita. Qui le palpebre dei più valorosi iniziano a precipitare, data la potenza soporifera della canzone. No, davvero, non c’è nulla di salvabile e Patty Pravo poteva fare decisamente di meglio.

Bisio, Baglioni e Raffaele si esibiscono nuovamente nello sketch “Famiglia Adams” (ispirato a un meme che confrontava i tre conduttori con Mortisia, lo zio Fester e il maggiordomo della celebre famigliola gotica) con cui si fanno burla degli haters e bisogna ammettere che, in fin dei conti, è simpatico. In pochi secondi si giunge al secondo ospite della finale di Sanremo 2019, un’elegantissima Elisa che canta il nuovo singolo Fragile che forse la allontana dalla sua produzione precedente. Baglioni, sentendo odore di duetto, si avvicina alla cantante e ricorda come la città di Genova abbia sfornato un sacco di cantanti importanti e chiede alla cantante di ricordare Luigi Tenco esibendosi assieme sulle note di Vedrai, vedrai. Per una volta un duetto riuscito bene e non forzato come tutti gli altri e alla fine Elisa, commossa, ringrazia tutti. Di acqua sotto i ponti ne è passata da quando su quello stesso palco, 18 anni fa, vinse con il brano Luce.

Ore 23:35 e siamo alla quindicesima esibizione, quella di Arisa. Mi sento bene parte come un canto mesto per poi esplodere con una vivacità scoppiettante degna di un film Disney e non ci stupiremmo se dovessimo vedere salire sul palco scoiattoli, cervi, cani e qualunque altro animale del bosco che si mette a ballare e cantare a ritmo di musica. Sul viso di Arisa si legge chiaramente la spensieratezza, l’energia e la libertà quando canta e proprio la canzone è un invito a, guarda caso, stare bene con sè stessi e a lasciarsi andare. Alla fine la voce della cantante risente per gli enormi acuti, ma il pubblico la ripaga con una forte ovazione e lei sembra sul punto di commuoversi. Tutto meritato.

La ragazza con il cuore latta di Irama narra invece la storia di una bambina vittima di abusi sessuali da parte del padre. Rispetto alle scorse serate il suono del carillon che apre la canzone è suonato da una misteriosa ragazza e subito parte il brano: un rap accompagnato da un coro gospel che fa un po’ Sister Act, ma può starci. Apprezzabile sia per tematica affrontata che per resa, ma si trova una certa difficoltà nell’inserirla in qualunque posizione della classifica finale.

Ora è il turno di uno dei cantanti più discussi del festival, con accuse di incitamento alla droga mosse da Striscia la notizia: Achille Lauro e la sua Rolls Royce, quella che nelle intenzioni dell’autore dovrebbe essere un tributo a miti come Amy Winehouse, Elvis e i Rolling Stone. Sinceramente è difficile comprendere l’entusiasmo con cui la critica ha elogiato il brano. Un mistero che certamente resterà irrisolto.

Nino d’Angelo e Livio Cori si esibiscono con Un’altra luce, canzone che ha sofferto di alcuni problemi tecnici nelle prime serate del festival. Fortunatamente il tempo è stato generoso con i due e abbiamo avuto possibilità di riascoltarlo e di apprezzarlo. Un dialogo tra padre e figlio, due generazioni a confronto e non in conflitto, dove oltre al testo e alla musica risulta importante anche la messa in scena della canzone: Nino d’Angelo e Livio Cori sono infatti al centro del palco e si guardano negli occhi, rendendo ancora più forte l’idea del dialogo. Passerà in sordina e non vincerà la finale di Sanremo 2019, ma è sicuramente da apprezzare il lavoro fatto dall’ex caschetto biondo e da una giovane voce della musica napoletana.

È giunta l’ora dell’ennesimo momento “spensierato” della serata con Federica Carta e Shade e la loro Senza farlo apposta. Lui vestito come un corriere della droga, lei che sembra uscita da una festa di seconda media con l’abitino glitterato e pieno di stelle.

A seguire c’è Simone Cristicchi, subito accolto dagli applausi, con Abbi cura di me. Non c’è nulla da dire, c’è solo da ascoltare: una preghiera laica, una messa a nudo e ammissione delle proprie fragilità che ricorda a tratti il miglior Battiato. Cristicchi dimostra di essere uno dei pochi eletti capace di passare con agilità dall’arguta ironia delle prime canzoni a una profondità d’animo e sensibilità senza cadere nella banalità. Applausi, applausi e ancora applausi.

Altro momento intenso da parte di Enrico Nigiotti con Nonno Hollywood, brano che l’autore dedica al nonno scomparso da poco. Forse è presente una leggermente ingombrante retorica sui “bei tempi andati”, ma ai più sensibili non mancherà di far cascare una lacrima. Insomma, la figura del nonno diventa simulacro di un tempo semplice e più umano che cerca di sopravvivere in un mondo digitale e anaffettivo. E alla fine Nigiotti si emoziona anche.

E ora la finale di Sanremo 2019 diventa una sala da ballo con Per un milione dei Boomdabash, una commistione di musica italiana e reggae che sarà il trionfo della banalità in quanto a testo (costruito principalmente sull’ossessiva anafora “Ti aspetterò ”), ma già la vediamo bene sparata continuamente sulle spiagge della prossima estate e magari il vostro o la vostra partner vi costringeranno ad alzarvi dalla vostra sdraio o dal vostro asciugamano su cui vi state rilassando con La Settimana Enigmista in mano per andare a ballarla assieme. Di certo non dispiace e non stanca.

Einar, il secondo vincitore di Sanremo Giovani, è il penultimo ad esibirsi con Parole nuove. Il titolo tradisce però le aspettative, perché le parole sono belle che ripetute e conosciute da tanto tempo. In parole povere: l’ennesima ballata d’amore sanremese, riscaldata in un forno a microonde e servita con qualche sfumatura elettropop per dare l’impressione che sia qualcosa di nuovo. Dimenticabile.

Chiude le esibizioni della finale di Sanremo 2019 Motta, il tanto contestato vincitore per la categoria duetti, con Dov’è l’Italia. La canzone di questo giovane cantante (il cui nome, fino a prima dell’inizio del festival, era associato dai più ad una nota marca di panettoni), descrive lo stato di sradicamento e di estraniamento di una generazione che non riesce a sentirsi parte di una società sempre più inquietantemente diversa a livello sociale. La voce di Motta si traduce in un grido d’aiuto rivolto all’amore, l’unica forza che potrebbe salvarlo in questo clima di incertezza. Anche qui applausi meritati.

Siamo giunti alle 00:40 e Baglioni chiude il televoto e ci annuncia che a breve verrà pubblicata la classifica dal 24 al 4 posto. Ebbene sì, per conoscere i primi 3 classificati della finale di Sanremo 2019 dovremo aspettare ancora un po’. Mentre iniziamo a disperarci e ad urlare un sonoro «Nooo!!» in stile Dart Fener, Baglioni e Raffaele ne approfittano per deliziarci con le loro abilità canore (e la voglia di buttare il televisore dalla finestra è grande assai).

Ed ecco la classifica. Si parte con Nino d’Angelo e Livio Cori ultimi, poi seguono Einar, Anna Tatangelo, Patty Pravo e Briga, i Negrita, Nek (e i fischi aumentano), Federica Carta e Shade, The Zen Circus, Paola Turci, Francesco Renga, Motta, gli Ex – Otago (i fischi aumentano fino a rompere il muro del suono), Ghemon, i Boombadash, Enrico Nigiotti, Achille Lauro, Arisa, Irama, Daniele Silvestri, Simone Cristicchi e Loredana Bertè. Non avessero mai messo la Bertè al quarto posto: è un trionfo di fischi e pollici versi talmente forte che se ci aggiungessimo le urla di disperata rabbia di Richard Benson e gli insulti che Gennaro d’Auria lancia contro la ragazza di Montuoro in una famosa diretta di Arte divinatoria staremmo apposto.

E alla fine la finale di Sanremo 2019 se la giocano loro: Ultimo, Il volo e Mahmood (per dirla alla Sora Lella: «Annamo bene!»), ma il pubblico continua ad invocare il nome di Loredana Bertè: per loro è lei la regina della finale di Sanremo 2019. A calmare (più facile a dirsi che a farsi) gli animi ci prova l’ultimo ospite del festival: il mago Forrest. Segue l’altrettanto inutile one man show di Baglioni sulle note di No tu no e in cuor nostro speriamo che il microfono si spenga all’improvviso: quando i problemi tecnici dovrebbero presentarsi nei momenti opportuni e invece niente.

Finale Sanremo 2019: vince Mamhood

Prima di scoprire il vincitore della finale di Sanremo 2019 vengono conferiti il premio Mia Martini e il premio Lucio Battisti e il premio Sergio Bargotti a Daniele Silvestri e Rancore, mentre il premio Sergio Endrigo e quello intestato a Giancarlo Bigazzi vanno a Simone Cristicchi. Il premio Tim music per il brano più ascoltato in streaming va ad Ultimo.

E ora l’agonia sta per finire: terzo classificato Il Volo (grazie al cielo), secondo Ultimo e a vincere la finale di Sanremo 2019 è Mahmood, con quest’ultimo che sembra nemmeno non crederci. Reazioni miste del pubblico, ma alla fine ha vinto lui e non sono mancate fin da subito le polemiche che si sono tradotte nella trita e ritrita retorica politica.

Il popolo di internet, legittimato dall’avere accesso ad una connessione, ha subito lanciato i propri slogan preferiti: “festival del buonismo”, “operazione anti-italiani”, “tutto organizzato dalla marmotta che confeziona la cioccolata” da un lato, mentre dall’altro “l’abbiamo messo in quel posto ai fascisti!”, “state tutti a rosicà!” in quanto ha vinto un ragazzo di origini italo-arabe. Cosa che al suddetto popolo non piace e che gli ha causato la schiuma alla bocca.

Sinceramente ci sembra esagerato e soprattutto discutibile spiaccicare addosso ad un ragazzo, la cui canzone può piacere o meno (e oggettivamente c’era chi meritava di più), etichette politiche tanto da destra quanto da sinistra come se già Sanremo non fosse divenuto una fiera delle ideologie e dei colori politici insopportabile, che già accende i suoi motori poco prima di iniziare e che mostra le sue contraddizioni evidenti.

Detto ciò, Fabula acta est: lo spettacolo è finito, il vincitore della finale di Sanremo 2019 è stato decretato e ce ne dobbiamo fare una ragione. Le polemiche ci saranno per i giorni avvenire, ma poi passeranno le settimane e succederà che ce ne saremo praticamente dimenticati fino al prossimo festival (anzi, fino all’Eurovision di maggio) e a nuove polemiche fresche di giornata. Fino a quel momento, fate i bravi se potete.

Fonte immagine di copertina: https://www.altrospettacolo.it/sanremo-2019-anticipazioni-conferenza-stampa-9-gennaio/

A proposito di Ciro Gianluigi Barbato

Classe 1991, diploma di liceo classico, laurea triennale in lettere moderne e magistrale in filologia moderna. Ha scritto per "Il Ritaglio" e "La Cooltura" e da cinque anni scrive per "Eroica". Ama la letteratura, il cinema, l'arte, la musica, il teatro, i fumetti e le serie tv in ogni loro forma, accademica e nerd/pop. Si dice che preferisca dire ciò che pensa con la scrittura in luogo della voce, ma non si hanno prove a riguardo.

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