La ragazza più triste che abbia mai tenuto in mano un Martini!
La ragazza più triste.
Le pareti di quella stanza trasudavano odore di tabacco, di soldi, sesso e sicurezza, quello dei rampolli dell’Upper East Side. In sottofondo, dei polpastrelli eseguivano con maestria sui tasti bianchi e neri Everything Happens To Me, nella versione melanconica e preziosa di Hans Stamer. Un’elegante tappezzeria, in stile Belle Époque, decorava gli interni di un porpora vivo, come quello che sboccia sulle gote di una pulzella innamorata, imbarazzata, nel fiore della sua piena ingenua genuinità.
Ogni oggetto, persona, suono e profumo in quella stanza era perfettamente incastrato, secondo moti astrali e provvidenziali, sconosciuti all’umano intelletto. Ogni cosa era esattamente dove doveva essere. Ogni parola seguiva un flusso preordinato da specifiche coordinate linguistico-temporali, per cui ogni presente lì dentro possedeva perfetta padronanza dei discorsi, interconnessi con l’atmosfera di compostezza che aleggiava tra mobilia, specchi, lampadari di cristallo e tappeti persiani. Tutto era così prezioso, ordinato, distinto, piacevole, nello scorrere di un tempo, che non sembrava poi in quei frangenti così crudele.
In quella folla indistinta, di cui la stanza porpora pullulava, un uomo fascinoso, e ignaro d’esserlo, si lasciava rapire il cuore da un sorriso disarmante e da occhi dolcissimi, i più dolci che lui avesse mai incrociato fino a quell’istante. Quell’uomo aveva avuto diverse donne. Ne aveva amate tante. In realtà non ne aveva amata nessuna. Si lasciava trasportare dalla marea degli eventi, di ogni possibile e fortuito incontro, rimasto ogni volta puntualmente sterile, e lasciando in lui, ancora e ancora, un vuoto a cui non riusciva ancora propriamente a dare un nome.
Ma quella sera, in quella sorta di bomboniera ottimamente confezionata, una gabbia dorata si potrebbe dire. Lì, tra quel lusso e perbenismo, tra calici di Pinot e tartine al caviale, quell’uomo avvertiva in maniera palpabile che in qualche modo la sua vita, quella sera, sarebbe cambiata per sempre. Incrociò nuovamente quegli occhi, così castani, intensi e sinceri. Era bellissima, ma non l’ostentava, e forse nemmeno sapeva d’essere così genuinamente bella! I suoi lunghi capelli castani, un filo quasi impercettibile di eyeliner, e quelle labbra che a lui sembravano il paradiso in terra, le cui porte i cherubini avevano deciso quella sera di spalancare solo per lui. Indossava un vestito morbido e attillato, di un beige che difficilmente attirava attenzione, eppure su di lei diveniva stoffa pregiata, come quella usata per tessere le preziose vesti indiane o turche per le mogli e le concubine del sultano. Il vestito copriva le gambe, fino ai piedi, lasciando appena scoperte le dita infilate in sandali dorati. Una lieve scollatura mostrava appena il décolleté, ed una più profonda metteva in risalto la sua schiena, lasciando godere l’occhio attento di tutta la sensualità che irradiava. E quella bellezza, così naturale quanto disarmante, colpì dritto al cuore quell’uomo, che forse mai nei suoi quarant’anni di vita aveva conosciuto e sperimentato l’amore, quello che ti toglie il fiato, che ti uccide solo per farti tornare a vivere sul serio. Perché quella fino ad allora vissuta, non era vera vita.
E mentre il fato, o l’universo sembravano operare affinché avvenisse uno degli incontri più rari e meravigliosi che si potessero compiere, in sottofondo, nella stanza porpora, risuonava ora al pianoforte Will You Still Be Mine di Erroll Garner. Il miracolo stava per compiersi. Ma né lui né lei ne erano ancora consapevoli. Né lui né lei potevano ancora immaginare che i rispettivi universi si sarebbero incontrati, compenetrati, fino a creare una supernova di elettricità, di energia emozionale, che qualunque altra esplosione in natura non avrebbe retto il confronto.
Si guardarono per qualche frazione di secondo, incuranti del mondo intorno, della stanza porpora, della musica, degli odori, del tabacco, dei rampolli lì presenti. In quell’istante divennero gli unici abitanti della Terra. Nulla sembrava aver senso, a parte i loro occhi, che, incontrandosi, comunicavano un desiderio mai prima sperimentato.
Lui, Lei, Loro. Un “noi” senza precedenti, affidati ad un futuro ben più bisbetico e crudele delle loro rispettive velleità.
Quegli occhi si incontrarono. Stelle e pianeti collassarono. La terra iniziò a tremare. I colori intorno divenivano bianchi, neri e scale di grigi. Questo era ciò che i loro cuori percepirono nell’istante stesso in cui si riconobbero. Come in una sorta di déjà vu, come un destino che sta per tagliare il suo traguardo e compiersi. Come se lui e lei dovessero essere esattamente dov’erano. Lì, immobili, con sorrisi appena abbozzati da labbra già bisognose di cercarsi, prima ancora d’incontrarsi. Lì, in quella stanza porpora, la cui bellezza e il cui splendore ormai stonavano di fronte alla meraviglia di un tal miracolo.
Quegli occhi si incontrarono, e non ci fu possibilità alcuna di scampo, di salvezza. Da quel momento esistevano solo loro. Lui, Lei, il loro destino, il loro incontro, il loro futuro.
L’amore però, si sa, è egoista. Nell’istante in cui il cuore viene trafitto dai dardi di Cupido, più nulla intorno ha realmente importanza. È anche generoso l’amore? Beh. Quando si ama incondizionatamente, tutto l’amore provato appare così incontenibile, che si necessita per forza di donarlo totalmente all’oggetto e all’artefice di quell’amore.
Ma l’amore è egoista. Lui e lei cominciavano a camminare, l’uno verso l’altra, come calamite che non possono per natura evitare di attrarsi e avvicinarsi. Così, lui avanzava verso lei, e viceversa, in una così perfetta sincronizzazione. Inconsapevolmente presero ad ignorare qualsiasi cosa li circondasse. Quello che più di ogni altra cosa ignoravano però, quello che lui davvero ignorava, sebbene suo malgrado e inintenzionalmente, era la ragazza alle sue spalle.
Occhi azzurri, capelli biondi semiraccolti, abito nero attillato sopra al ginocchio e tacchi vertiginosi; un filo appena di trucco e un lieve tocco di tinta labbra color cipria, delineavano in modo sexy i suoi lineamenti. Era sexy, sì. Aveva fatto più volte impazzire a letto quell’uomo. Quell’uomo che ora, dandole le spalle, e attratto da un nuovo sorriso, da nuovi occhi, così diversi che nemmeno credeva esistesse una bellezza così. Quell’uomo ora nemmeno immaginava di trafiggere con mille lame il cuore della ragazza bionda, con i capelli semiraccolti e sexy alle sue spalle. Nemmeno si accorse che era lì, elemosinando nel suo cuore, nel suo intimo e bistrattato cuore, la sua attenzione.
La ragazza più triste che abbia mai tenuto in mano un Martini
Lui intanto aveva raggiunto lei. Lei intanto aveva raggiunto lui. Vicini, fermi, sotto l’arcata della stanza porpora, prendendo un discorso come un altro, tra la moltitudine di presenti, davanti agli occhi della ragazza bionda con i capelli semiraccolti alle spalle di lui.
Si sorrisero, si innamoravano sorridendosi, sia con le labbra che con gli sguardi. “Quel sorriso sarà la fine per me!” Così lui si rivolse a lei, sorprendendola e infondendo nel suo cuore un calore inedito, prima sconosciuto. Mentre, intanto, alle sue spalle, gli occhi della ragazza in abito nero diventavano sempre più tristi. Distrutta nell’anima, sembrava cercare un minimo di conforto nel bicchiere che reggeva nella mano destra, portato leggermente e inconsciamente un po’ accanto alla guancia, mentre il dolore la divorava senza tregua.
Sotto l’arcata, lui continuava ad immergersi e bagnarsi della grazia di lei, sofisticata ma non troppo, intelligente, naturale, caliente, eccezionale, meravigliosa e bellissima creatura, da cui sentiva che niente e nessuno sarebbe riuscito ad allontanarlo; né tempo, né geografie, né circostanze avverse. La guardava e si innamorava. Lei guardava lui e gli sorrideva. La serata sarebbe volta al termine. Ma non loro. Loro non avrebbero terminato. Sembrava ci fosse scritto qualcosa nel loro incontro, ed erano lì pronti a rivoluzionare ogni istante delle rispettive esistenze, cominciare da capo, guardare la vita con occhi nuovi, con nuova pelle e cuore incline a pulsare a velocità supersoniche.
Lei, ad un certo punto, distoglie per un momento gli occhi dal suo sorriso e dalle sue parole, dirigendo lo sguardo, attonito e man mano più compassionevole, verso la ragazza bionda con i capelli semiraccolti in abito nero alle spalle di lui.
Li guardava, li osservava da lontano, e capiva che fosse in procinto di perderlo. Capiva d’averlo già perso, irrimediabilmente, scorgendo in lui la felicità di cui si stava vestendo, come il primo vero grande amore, come un adolescente che si innamora per la prima volta. Di fronte a lei però c’era un uomo. Un uomo ora consapevole di cosa necessitasse la sua vita, conscio di ciò che desiderava davvero. E ciò che voleva con tutto se stesso era proprio lì, di fronte a lui, occhi castani da cerbiatta, capelli lunghi dello stesso colore ed espressione insieme maliziosa ed ingenua, pura come poche donne alla sua età.
La ragazza più triste che abbia mai tenuto in mano un Martini
Lei notò la ragazza alle spalle di lui, costringendolo a notarla a sua volta. Dall’altra parte della stanza, la ragazza bionda sperimentava un collasso emotivo mai prima provato. Lo amava. Oh, se l’amava. Per lui però, la ragazza bionda in abito nero rappresentava puro sesso, e un passato da cui intendeva ora, sempre più consapevolmente, prendere le distanze.
La ragazza bionda, via via meno sexy e più infelice ad ogni istante trascorso in quella stanza porpora, continuava ad osservarli. Loro si innamoravano. Lei moriva. Sentiva crescere un disagio nel cuore. Sentiva sulla pelle un formicolio, simile a quello provato per il calo di pressione. Sentiva la sua vita, la sua vitalità abbandonare corpo, cuore e mente. Sentiva le gambe vacillare, come se di lì a poco potessero crollare sotto il peso di grattacieli, ponti e tutto il cemento armato presente al mondo. Gli occhi si gonfiavano, divenivano rossi, a mano a mano che il sospetto diventava certezza, certezza di un amore non corrisposto, un amore soltanto elemosinato, un amore che mai sarà. Gli occhi si gonfiavano di lacrime, che stranamente, sebbene tutto quel dolore provato, tardavano a bagnarle il viso. Ma erano lì pronte a sgorgare, come cascate da una rupe. Quella ragazza era lì, pronta a morir d’amore, col cuore che le sarebbe esploso in petto da un momento all’altro. Loro si innamoravano davanti alla sua anima andata in frantumi, realizzando di essere l’altra. Anzi no. Di essere stata l’altra, quella di transizione, quella di cui non ti innamori sul serio, quella che “è solo un gioco, è solo sesso!” Tutta la sofferenza umana, l’assorbiva in quegli istanti la sua aura, il suo spirito che, emanando gli ultimi pseudo bagliori di nostalgia, si sarebbe deleteriamente raffreddato, provocando una morte più atroce di quella biologica. Era questa una morte insopportabile, crudele, bieca, indifferente, maligna. Era una non morte, che accoglieva in sé una non vita, perché la sua esistenza si sarebbe perpetuata. Quella ragazza avrebbe continuato a respirare, ma per inerzia, con fastidio e riluttanza, trascinando dietro sé tutto il peso dell’incomprensione, dell’egoismo e di tutto quanto, di lì a poco, avrebbe stonato con la sua idea di felicità. Nessuna speranza. Nessun riscatto. Nessuna possibilità per lei. Solo un lento logorio a torturare il suo cuore. Solo un’insana follia che avrebbe deturpato per sempre la sua mente. Il respiro accelerava e decelerava, cresceva e diminuiva. Un tripudio di tormento, disperazione, angoscia, afflizione, struggimento e senso d’oppressione, che ormai non sarebbero stati clementi con la sua passata speranza.
Mentre tutto questo dolore si consumava davanti agli occhi impietriti di lei davanti a lui, lo costrinse, con il suo fare gentile e delicato, a voltarsi, mostrandogli, inconsapevole di tutto, una delle visioni più cupe che avesse mai contemplato.
“Guarda. Quella ragazza bionda con i capelli semiraccolti in abito nero con in mano un bicchiere. Ci osserva. Dio! È la ragazza più triste che abbia mai tenuto in mano un Martini!”