23 aprile 1616: Cervantes, Shakespeare e la modernità

23 aprile 1616: Cervantes, Shakespeare e la modernità

Tra le centinaia di giornate istituite dall’UNESCO, spesso dimenticate, la Giornata mondiale del libro e del diritto d’autore è senz’altro tra quelle che merita un’attenzione particolare per la convenzionale coincidenza della morte di Cervantes e Shakespeare il 23 aprile 1616. 

Origini della Giornata

Questa celebrazione nasce in Spagna, precisamente in Catalogna, nel 1926. Tre anni prima, la Camera del libro di Barcellona, nella figura del vicepresidente Vicente Clavel, propone di dedicare una giornata al Libro, e nel 1926 il re Alfonso XIII firma il Real Decreto del Día del Libro. Questo documento prevedeva, oltre alla celebrazione, l’instaurazione e l’ampliamento di biblioteche in tutta la Spagna e la promozione della lettura per tutti i cittadini. Per qualche anno, la definizione della data è stata incerta ma nel 1931, finalmente, viene stabilito il 23 aprile: oltre a essere il giorno della morte dello scrittore Miguel de Cervantes, nel 1616, la data coincide anche con San Giorgio (Sant Jordi in catalano e San Jorge in castigliano) patrono di diversi Paesi tra cui anche l’Inghilterra. Nel 1955 la celebrazione del libro diventa mondiale: l’Unione Internazionale degli Editori propone la Giornata all’UNESCO, che nel 1995 approva il 23 aprile come Giornata mondiale del libro e del diritto d’autore. 

Se vi dovesse capitare di trovarvi in Spagna in questo giorno, oltre alla miriade di eventi, conferenze, letture condivise a cui è possibile partecipare, vedrete libri in vendita ovunque e banchi pieni di fiori: è usanza, infatti, il 23 di aprile regalare un libro e una rosa rossa

Il 23 aprile 1616: Cervantes e Shakespeare

In realtà, un’altra affascinante coincidenza ricorre in questo giorno, per noi europei: Miguel de Cervantes e il drammaturgo William Shakespeare muoiono entrambi il 23 aprile del 1616. Tuttavia, questa coincidenza è puramente convenzionale e stabilita proprio perché affascinante, visto il debito di modernità che abbiamo con i due autori. Bisogna considerare, infatti, che nessuno dei due morì effettivamente in quell’anno, né in quel giorno. Cervantes probabilmente morì il 22 aprile, mentre Shakespeare undici giorni dopo, ovvero il 3 maggio secondo il calendario gregoriano, adottato in Spagna nel 1528, ma il 23 aprile per il calendario giuliano che l’Inghilterra usò fino al 1752. Al di là della data, comunque, entrambi gli autori hanno diversi punti  di contatto, a partire dal mistero dell’autorialità.

William Shakespeare (Stratford-upon-Avon, 23 aprile 1564 – 23 aprile 1616) ha scritto moltissimo ma tutto ciò che ci è pervenuto sono copie pirated ovvero trascritte clandestinamente in teatro durante le recite. Naturalmente ciò significa che queste versioni contenevano tutte le alterazioni apportate dagli attori o dai direttori di spettacolo, più eventuali refusi e fraintendimenti in fase di stampa. Secondo il traduttore per l’edizione Garzanti, Antonio Meo, nasce da qui il problema della critica testuale shakespeariana che, «come tutte le cose che non hanno un punto certo di inizio, è destinato a non avere mai fine». E infatti sono ad oggi innumerevoli le teorie secondo cui William Shakespeare sarebbe in realtà ora John Florio, ora Christopher Marlowe, ora Thomas Kyd – questi ultimi due già molto noti nel teatro elisabettiano. 

Per quanto riguarda Miguel de Cervantes Saavedra (Alcalá de Henares, 29 settembre 1547- 22 aprile 1616), invece, la questione è diversa. Nel suo caso, infatti, si hanno molti più dati biografici certi, rispetto al collega inglese, che avranno un riscontro anche nelle sue opere. Pare che Cervantes non avesse previsto di scrivere quello che poi è diventato il classico Don Quijote de la Mancha (1605), ma che ne avesse scritto il capitolo iniziale, quello in cui l’anziano Alonso Quijano o Quijada ossessionato dalla narrativa cavalleresca impazzisce e decide di diventare cavaliere errante. Questo primo capitolo poteva essere già un racconto finito, che muoveva parodicamente delle critiche alla letteratura cavalleresca di moda nel tardo Rinascimento. Addirittura, però, non solo amplierà l’opera aggiungendo tutte le note disavventure di Don Chisciotte ma, un anno prima della sua morte nel 1616, ne pubblicherà un secondo volume – la seconda parte del Quijote – sollecitato dalla comparsa di un Don Chisciotte apocrifo, firmato con lo pseudonimo di Alonso Fernández de Avellaneda. Quest’imprevisto lo costringe ad inserire nella seconda parte giochi intertestuali e allusivi al volume apocrifo, creando una sofisticata riflessione anche sul tema dell’autorialità, intesa sia come proprietà legale del testo sia come proprietà semantica – due funzioni che invece Foucault nel saggio Qu’est ce-que un auteur? separerà. 

Don Chisciotte e Amleto

Perché continuare, più di 400 anni dopo quel simbolico 23 aprile 1616, a omaggiare questi due autori? Come si è anticipato, sicuramente per il debito di modernità che la civiltà – letteraria e non – ha verso i loro personaggi più noti: Don Chisciotte della Mancia e Amleto, innanzitutto. Essi hanno indubbiamente esercitato una profonda influenza sull’immaginario europeo, pur non essendo un’invenzione dei rispettivi scrittori. Al di là di categorie storiografiche, in ogni epoca si condensa uno spirito del tempo, la Zeitgeistche si manifesta in aneddoti, nel folklore, nei proverbi, negli usi: in definitiva, nel linguaggio; un linguaggio, però, di cui si perde la voce gestante e che finisce per appartenere democraticamente a tutti, travalicando anche frontiere geografiche. Per molti rimane tradizione e per altri diventa punto di dissidenza da cui si origina una riflessione paradigmatica. Accade, infatti, che questo livello del linguaggio come espressione dello spirito venga captato da un individuo e utilizzato come materiale per descrivere un’eternità dello spirito e non solo un’attualità del tempo storico. 

La mutazione fondamentale che introduce il Rinascimento nella letteratura di finzione consiste nella sempre maggiore indipendenza dei personaggi dal proprio autore: l’autore – lo scrittore – non ripete più insegnamenti immutabili me impone l’avventura al proprio pensiero, liberandosi finalmente da alcune rigide categorie. Questa è, innanzitutto, la modernità che celebra il 23 aprile 1616

Prima di Shakespeare «tutti i drammi si ispiravano a leggende popolari, o a fatti storici, o a tragici episodi di cronaca: […] personaggi molto allegorizzati, che provenivano direttamente dalle moralità medievali: sarà Shakespeare a introdurvi i chiaroscuri, il contrappunto dei sentimenti». Non è certa l’origine della leggenda del principe Amleto ma è di sicura derivazione germanica. Una traccia è nella Historia Danica (1200 ca) del danese Saxo Grammaticus, che poi passa in Francia attraverso l’opera Histoires tragiques di François de Belleforest nel 1567. Il giovane Principe di Danimarca, Amleto, è un personaggio che dalla penna di Shakespeare trae lo spessore tragico che, dal 1700 in poi, è stato ora messo in discussione ora osannato (soprattutto dai romantici Coleridge e Hugo) ora approfondito fino a farne un caso di psicoanalisi per Sigmund Freud e per Ernest Jones. Anche questo – ancora – è la modernità di quel 23 aprile 1616. 

Don Chisciotte, Amleto e la modernità

Per quanto i singoli pareri possano essere discutibili, seppure autorevoli, è fuori di dubbio che Amleto, il figlio di un re assassinato dal proprio fratello, sia probabilmente il primo personaggio drammatico moderno: «dubitando di tutto, disprezzando tutto, egli, non risparmia neppure se stesso» e sembra meditare continuamente il suicidio come unica forma di amore verso la vita che lo costringe ad agire.  Certamente, un Amleto non potrebbe mai decidere di diventare un cavaliere errante e combattere ingiustizie, accecato da un ideale. Per Amleto, tutto quanto è così com’è: tutto ha in sé un valore finito per cui la battaglia idealistica non è nemmeno contemplata come fantasticheria. Tutto è immobile.

Don Chisciotte, o meglio le sue imprese, nasce dall’ambito del Romancero medievale e dalla parodia dei racconti di gesta cavalleresche e imprese epiche. Quando si afferma che Cervantes fonda il romanzo moderno, ciò che si sta dicendo è che Cervantes ha insegnato ad accomodare il linguaggio alla realtà del mondo quotidiano. Infatti, il modo verosimile in cui Cervantes mette assieme tutte le farsesche avventure di Don Chisciotte è supportato da un sistema espressivo polifonico e, in sostanza, moderno: ogni personaggio parla come deve parlare, senza essere portatore di alcuna morale o saggezza didascalica. La portata di questa innovazione, a quattro secoli da quel 23 aprile 1616, è per noi oggi quasi incomprensibile.

Lungi dall’essere solo uno scherzo ai danni dei libri di cavalleria, Don Chisciotte è anch’egli un tragico: Don Chisciotte prima di impazzire è Alonso Quijano, o Quijada, un uomo che sente avanzare la vecchiaia, che sente la morte bussare alla porta e si ribella. La sua ribellione – e dunque la sua tragicità – sta nel fatto che non può utilizzare lo spirito idealistico per raggiungere scopi pratici, per combattere le ingiustizie sulla terra. Don Chisciotte rappresenta la fede incrollabile, e accetta la vita solo perché in essa può manifestarsi l’espressione concreta dell’ideale in tutta la sua purezza, e della verità. Perciò egli non può vivere in sé, come farebbe Amleto, ma vive completamente fuori di sé, per gli altri, tenendo sempre a mente il bene. Amleto, invece, dubita del bene ma non nega il male: è scettico ma non indifferente, ed è qui il suo valore. Don Chisciotte, al contrario, non è né scettico né indifferente, ed è qui la sua comicità. 

Lo scrittore russo Ivan Turgenev afferma con ragione che Amleto e Don Chisciotte «rappresentano due peculiarità fondamentali e antitetiche della natura umana». Ritiene che tutti gli uomini appartengano a uno di questi due tipi, consapevolmente o inconsapevolmente: «per ognuno di noi al primo posto c’è il proprio io, oppure qualcos’altro che il nostro io riconosce come superiore». Essere moderni, dunque, è proprio la consapevolezza – l’entendimiento di Cervantes – della vita senza le mistificazioni necessarie alla persuasione di uno scopo bell’e pronto. Conclude Turgenev, infatti, «[…] in questo dualismo che abbiamo appena ricordato, dobbiamo riconoscere la legge fondamentale di tutta l’esistenza umana; cos’è infatti la vita, se non l’eterna riconciliazione e l’eterna lotta tra due principî che si separano e si riuniscono in continuazione?»

Fonte immagine in evidenza: Pixabay

Fonti bibliografiche: 

Shakespeare William, Amleto, Otello, Macbeth, Re Lear, Aldo Garzanti editore, Milano, 1980.

Turgenev, Ivan, Amleto e Don Chisciotte, il melangolo, Avegno, 2022.

Lázaro Carreter, Fernando, Las voces del Quijote, 

Boschiero, Gabriele, Alcuni aspetti del Chisciottismo di Miguel de Unamuno: la morte.

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