Negli ultimi anni la chirurgia plastica in Corea del Sud è diventata una vera e propria piaga. Infatti il Paese viene spesso definito capitale mondiale della chirurgia plastica. Secondo un sondaggio condotto nel 2020 dalla compagnia tedesca Statista il 25% delle donne coreane di età compresa tra i 19 e i 29 anni e il 31% di quelle di età compresa tra i 30 e i 39 anni ha subito qualche intervento di chirurgia plastica.
Le radici di un ossessione: l’impatto della guerra di Corea
Prima dell’avvento della chirurgia plastica in Corea, l’attenzione verso l’aspetto fisico è un fenomeno che si può ricondurre addirittura al VII secolo, quando era diffuso l’interesse verso la fisiognomica (in coreano gwansang): disciplina pseudoscientifica secondo cui i caratteri psicologici e morali di una persona possono essere dedotti dal suo aspetto fisico, in particolare dai lineamenti e dalle espressioni del viso.
La correlazione tra aspetto fisico e identità continua ad acquisire grande rilevanza durante l’occupazione giapponese in Corea, data la credenza sostenuta dai regnanti del Sol Levante secondo cui determinati tratti del viso fossero sinonimo di maggiore intelligenza e regalità.
La chirurgia plastica in Corea del Sud approda durante la guerra di Corea. Se in un primo momento tale pratica è introdotta a scopo correttivo, per chi ha riportato ferite di guerra ad esempio, ben presto diventa un modo per alterare i propri connotati. É stato il dottor Ralph Millard, arrivato in Corea nel 1954, ad eseguire per la prima volta l’intervento di blefaroplastica orientale: una procedura volta alla creazione di una piega palpebrale superiore di tipo caucasico o occidentale (detta anche doppia palpebra). La Corea era il luogo ideale dove praticare questo intervento, dato che gli occhi del 50% della popolazione di etnia asiatica non hanno la classica piega cutanea delle palpebre superiori, tipica dell’occhio di razza bianca caucasica. L’intervento di blefaroplastica orientale viene definito dallo stesso Millard “deorientalizzante”, ovvero con il solo scopo di far risultare il paziente più occidentale. Potrebbe definirsi un barbaro atto colonizzatore e di cancellazione sistematica dell’identità di un etnia attraverso l’alterazione di un tratto distintivo della stessa. Alla luce di questa considerazione, suscita una riflessione amara il fatto che questa procedura ad oggi sia una delle più effettuate nel campo della chirurgia plastica in Corea del Sud.
Il rapporto con la chirurgia plastica in Corea del Sud oggi
Attualmente il mercato della chirurgia plastica in Corea del Sud è valutato a 5 trilioni di won (3,4 miliardi di euro) ed è stimato un settore in continua crescita.
Secondo un rapporto del 2022 della World Population Review, gli interventi più popolari sono rinoplastica, liposuzione e blefaroplastica. Questo tipo di procedure si concentra più sul viso che sul corpo, a differenza degli Stati Uniti ad esempio, dove le più eseguite sono mastoplastica additiva e gluteoplastica. A sostegno di ciò vi è la grande diffusione negli ultimi anni di procedure semplici e rapide, spesso definite interventi chirurgici “one shot”, chiamati così perché è necessaria solo una dose di filler o una semplice procedura completata durante la pausa pranzo, come botox o lifting. Questo tipo di interventi è molto popolare tra le persone di età compresa tra i 20 e i 30 anni.
Come in passato, l’aspetto fisico continua ad avere un peso preponderante anche in ambiti dove a prevalere dovrebbero essere le competenze e la formazione. Sempre più persone infatti, principalmente donne, ricorrono alla chirurgia plastica in Corea del Sud prima di candidarsi per un posto di lavoro per avere più chances di essere assunte. Ad oggi questo fenomeno è diventato all’ordine del giorno tanto che gli è stato dato un nome, chwieop seonghyeong, ovvero chirurgia occupazionale. Fino al 2017, quando questa pratica è stata vietata dal governo, le persone erano spesso obbligate ad includere una foto insieme al curriculum e spesso le le decisioni di assunzione si basavano sull’aspetto dei candidati.
Quando l’apparire conta più dell’essere e la pressione sociale spinge a prendere connotati più vicini all’ideale di perfezione, cosa resta della storia e dell’identità di un individuo? Può ancora la capitale mondiale della chirurgia plastica riscoprire la propria naturale bellezza?
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