Codice Barbaricino: la legge secondo i pastori ed i banditi sardi del passato

Codice Barbaricino

Il Codice Barbaricino è un codice morale e comportamentale, tramandato oralmente dal tessuto pastorale e dal Banditismo sardo fin dai tempi antichi e di cui ne parla, negli anni Cinquanta, il filosofo Antonio Pigliaru con la pubblicazione del libro La vendetta barbaricina come ordinamento giuridico che fece una prima analisi di ciò, dato che in precedenza mai nessuno ne aveva parlato o messo qualcosa su carta che riguardasse questo argomento.

Codice Barbaricino: le leggi a trasmissione orale

Il Codice Barbaricino, detto anche ”della vendetta”, è composto da 23 articoli suddivisi a loro volta in 3 capitoli: ”I princìpi generali” (dall’articolo 1 al 10), ”Le offese” (dall’articolo 11 al 17) e ”La misura della vendetta (dall’articolo 18 al 23).

La parte iniziale è un’introduzione, la parte centrale di queste leggi definisce le offese subite, dall’insulto personale al furto e all’omicidio mentre l’ultima parte spiega le relative sanzioni. Il tema principale, dunque, sulla quale è focalizzato questo ordinamento giuridico è, senza dubbio, la vendetta. Di questo non se ne avvale solo la comunità dei fuorilegge, bensì tutta la società è venuta ad osservare questa norma e, ovviamente, tutto ciò è ben diverso dal processo penale dello Stato Italiano.

Si parla infatti, fin dai primi anni del Novecento di ”Processo Sardo” che si oppone in fase processuale al processo Italiano. L’ambito agro-pastorale in cui questo codice si è sviluppato è dunque un po’ degradato, distante dal centro urbano dell’isola e facente parte di quella zona sarda in cui vigeva la mentalità il cui scopo della legge era quello sì di rendere giustizia, ma tutelando in primis l’onore e la dignità dei singoli individui. Ad esempio una famiglia che riceveva un furto di bestiame da un’altra, era autorizzata a commettere lo stesso furto per tornare ad una situazione di parità. Alcuni studiosi hanno analizzato il fenomeno e ritenuto che ciò sia un codice naturale di diritto, riconosciuto dalla popolazione ed attivato contemporaneamente alla ”Carta de Logu” (che è invece l’atto istituzionale dei due). Alla base della creazione si crede che ci sia un vissuto psicosociale sofferente per quella che venne considerata una colonizzazione e, nei periodi migliori, una scarsa tutela dell’individuo da parte dello Stato, che negli anni in questione non era presente o lo era troppo poco.

Un Codice di leggi, dunque, di una popolazione abbandonata a se stessa e costretta a dirigersi e a difendersi da sola secondo questo tipo di processo che, seppur molto primitivo, costituiva il loro solo punto valente di appoggio. Fortunatamente però nel XXI secolo, grazie alla presenza più forte dell’ordinamento giuridico della Repubblica italiana, questo Codice ha perso di significato anche se, in alcuni casi, come spiega l’antropologo Barchisio Bandinu, si fa ancora ricorso a questo sistema.

Immagine in evidenza: Pixabay

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