Il consumismo secondo Pasolini: uno sguardo profetico

collage critica al consumismo

Che cos’è oggi il potere? Non più manganelli e censura, ma vetrine, spot e like. Il consumismo secondo Pasolini, è un nuovo totalitarismo che non si impone con la forza, ma con il desiderio.  E lui, uno dei maggiori intellettuali del Novecento, l’aveva visto arrivare.

Il ruolo dell’intellettuale

Il ruolo dell’intellettuale, è cambiato nel corso del tempo. Per Pasolini, un vero intellettuale “si assume la responsabilità di comprendere il presente e di raccontarlo, anche quando la verità è scomoda”. Ed è proprio in questa capacità di leggere tra le pieghe della realtà che si radica la sua feroce critica al consumismo. Pasolini individua in esso una delle trasformazioni più profonde ed inquietanti dell’Italia del dopoguerra. A preoccupare non era soltanto l’aumento degli acquisti o l’arrivo di nuovi beni sul mercato, ma qualcosa di più sottile: a cambiare erano i desideri stessi delle persone. Desideri che non erano espressione di reali necessità, ma risultato dell’effetto della pubblicità o del fenomeno di imitazione sociale. Secondo il poeta non si trattava soltanto di un effetto collaterale della modernità, ma di una delle sue più pericolose derive.

L’arrivo del consumismo con l’Italia del boom economico

In un tempo ancora non troppo lontano, l’Italia cambiava pelle: le città si ingrossavano a dispetto delle campagne, nelle case cominciavano a comparire frigoriferi e televisori, in strada le automobili. Una fase di passaggio cruciale, che va dalla fine degli anni Cinquanta alla metà dei Settanta e che Pasolini aveva osservato con una lucidità profetica e spietata.

È in questo contesto, tra il 1973 e il 1975, prendono forma Gli scritti corsari, sulle cui pagine il poeta imprime la sua critica al consumismo. Non un semplice attacco al benessere materiale, ma un’analisi profonda dei cambiamenti culturali che stavano ridisegnando il paese. L’Italia, nonostante le forti disuguaglianze, si avviava a diventare una potenza industriale. Masse di proletari venivano inglobate in un’economia capitalista fondata sul consumo ed influenzata dal modello americano.

Ma questo processo, secondo Pasolini, era tutt’altro che indolore. Comportava, di fatto, lo smantellamento delle culture contadine legate alla natura, al mistero, alla sacralità, in favore di una visione del mondo che esaltava il possesso, l’efficienza e l’intrattenimento. Trattasi secondo Pasolini di un “genocidio culturale”, una sorta di mutazione antropologica che cancellava intere forme di vita per far spazio allo sfruttamento della manodopera salariata e all’edonismo da tempo libero, in apparenza innocuo ma devastante nella sua capacità di annullare ogni spazio per l’autodeterminazione. Erano i primi anni di una nuova Italia, sicuramente più ricca, ma forse anche più sola.

Il fascismo del consumismo: la critica di Pasolini

Pasolini denunciava come il consumismo desse soltanto l’illusione della libertà, mentre in realtà imponeva nuovi modelli di schiavitù. I giovani erano prigionieri di desideri ‘indotti’ da mode passeggere e basati su valori superficiali. Le nuove narrazioni dei media e nello specifico della pubblicità rendevano le persone inermi e prive della capacità di criticare il potere. Il tutto in una società soltanto apparentemente tollerante e democratica: le coscienze non venivano più soffocate con la violenza ma con il benessere e i beni materiali.

Per Pasolini il consumismo si configura come una neonata forma di potere, sottile e pericolosa, destinata ad essere accettata come un fatto autoevidente perché non vieta nulla, anzi, offre tutto in cambio dell’omologazione alla massa. Il ‘fascismo del consumismo’ che non reprime ma persuade, che non comanda ma condiziona.

E come viene esercitato questo potere? Come opera questa omologazione di massa? Anche e soprattutto con la televisione, un “medium di massa” che come tale non può che mercificare e alienare“. Non siamo più individui unici, con pensieri e identità singolari, bensì, spettatori da catturare, gusti da indirizzare, desideri da creare per alimentare il mercato. Il piccolo schermo proietta vite non nostre, facendoci dimenticare chi siamo, rendendoci insoddisfatti e “stranieri” rispetto alla nostra autenticità.

Il consumismo secondo Pasolini, ancora oggi attualissimo

Per dare senso alla vita, gli esseri umani si sono sempre affidati a punti fermi condivisi: religione, famiglia, ideologie. Ma cosa succede quando questi pilastri vacillano? Quando smettono di offrire risposte? Per Slavoj Zizek, uno dei pensatori contemporanei più incisivi, quando l’ordine dei simboli crolla, le persone cercano un altro rifugio. Un altrove che si costruisce con il consumismo o con ideologie radicali capaci di offrire un senso illusorio.

Attualizzando il discorso alla società contemporanea, l’identità si misura in follower, il successo si monetizza anche nel passatempi, e persino le relazioni diventano strumenti per accumulare capitale sociale. Il fenomeno del personal branding – l’essere imprenditori di sé stessi – ne è forse la manifestazione più evidente.

Pasolini, aveva profeticamente intravisto tutto questo. La sua forza risiedeva nella sua strabiliante “immaginazione sociologica” che gli permetteva di guardare oltre l’apparenza, di leggere i meccanismi invisibili che modellano la società e influenzano i nostri comportamenti quotidiani. Una dote che oggi più che mai dovremmo riscoprire, per decifrare davvero il mondo in cui viviamo.

 

Fonte dell’immagine: freepik

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