Chi era Omero: fonti e riferimenti letterari

Chi era Omero: fonti e riferimenti letterari

Tutti noi conosciamo l’Iliade e l’Odissea, due celeberrimi poemi epici: la prima opera può considerarsi un’enciclopedia della società dell’antica Grecia; i fantastici viaggi narrati nella seconda hanno ispirato intere generazioni di scrittori, pittori, scultori e registi.
Ciò che ancora non è chiaro agli studiosi è l’identità del loro autore; certo, si associa la scrittura di questi due grandi poemi alla figura di Omero, considerato dagli antichi il più importante poeta greco; ma come ci viene presto insegnato sui banchi di scuola, la sua fama è tanto grande quanto poche sono le informazioni sicure a suo riguardo. Cercheremo, dunque, in quest’articolo, di prendere in analisi ogni fonte che tratti di questo leggendario poeta per capire se e quali siano attendibili.

Chi era Omero?

Partiamo dall’etimologia del nome Omero (in greco Ομηρος) il quale è stato anch’esso interpretato in svariati modi nel corso dei secoli:

  • Alcune biografie antiche lo collegano al termine ὅμηρος (homeros), che nella variante del greco antico parlata a Cuma eolica significa ostaggio o pegno;
  • Altre biografie antiche lo collegano invece al verbo ὁμηρέω (homereo), che in italiano si traduce come incontrarsi, in riferimento probabilmente alle feste panelleniche in cui l’Iliade e l’Odissea venivano recitate dai cantori, detti aedi;
  • L’etimologia più accreditata è quella che vede il nome del poeta associato all’espressione ὁ μὴ ὁρῶν (ho me oròn), ovvero colui che non vede. La tradizione vuole, infatti, che Omero fosse cieco; se questa fosse l’opzione giusta, comporterebbe che, in realtà, quello che si pensava essere il suo nome, fosse in realtà un soprannome e che uno dei pilastri fondamentali relativi all’identità del poeta in realtà non c’è mai stato.

Come abbiamo avuto modo di accennare, molti autori antichi hanno donato ai posteri una loro versione della biografia di Omero: le fonti più antiche da cui attingere sono Callino (anche se si hanno dubbi sulla veridicità della sua testimonianza), Senòfane ed Eraclito, seguiti da Erodoto e Teàgene di Reggio.
Purtroppo, però, non di rado le loro testimonianze si contraddicono, contribuendo all’alone di mistero che avvolge l’uomo considerato padre del mito.
Per fare un esempio, nonostante le svariate testimonianze su Omero non si può affermare con precisione quale sia la città che gli ha dato i natali: le possibili candidate sono Atene, Cuma Eolica, Itaca, Pilo, Argo, Smirne e Chio; secondo le fonti, le ultime due sono le più gettonate. Anche se per molti antichi (e moderni) la nascita a Smirne è più probabile, alcune tradizioni vogliono che la nascita di Omero avvenne a Chio, per due motivi:

  • Il primo consiste nel fatto che, in antichità, lì viveva una famiglia di rapsodi chiamati Omeridi;
  • Il secondo consiste nell’Inno ad Apollo Delio, nel quale Omero si definisce «il cieco che abita nella rocciosa Chio»; però, dato che è ormai certo che quest’Inno non sia stato composto da lui, la prova non regge.

La questione omerica

Nonostante tutto quello di cui abbiamo appena discusso, ancora oggi il dubbio più importante che gli studiosi si pongono sul conto di Omero è quello della sua effettiva esistenza, conosciuto in tutto il mondo con il nome di questione omerica, un dibattito lungo e complesso che dura da secoli e che cercheremo di riassumere in pochi punti fondamentali.

La questione omerica nasce nel 1664 dalle considerazioni dell’abbate d’Aubignac François Hédelin, il quale credeva che l’Iliade non fosse altro che una compilazione di vari canti composti in epoche diverse, dato che la scrittura, ai tempi di Omero, non esisteva. E, in effetti, nel testo si possono riscontrare incongruenze che confermano che l’Iliade è stata modificata più volte quando si tramandava ancora oralmente: le più evidenti sono la coesistenza di armi di bronzo e di ferro e la presenza di personaggi deceduti in canti precedenti.

Anche il poeta romantico Giambattista Vico sosteneva che Omero non fosse mai esistito, ma non per le stesse ragioni di d’Aubignac: in linea con l’ottica del tempo in cui visse, sostenne invece che sia l’Iliade che l’Odissea non potessero essere l’opera di una sola mente, ma dell’intero popolo greco e più nello specifico delle sue generazioni di poeti che operavano sotto il nome collettivo di Omero e che, tramite innumerevoli aggiunte al materiale originale, donarono quelli che oggi sono i poemi omerici all’umanità.

La persona che per prima trattò la questione omerica in maniera scientifica fu il filologo tedesco Friedrich August Wolf, con la sua opera Prolegomena ad Homerum (1795): partendo anch’egli sia dall’inesistenza della scrittura ai tempi di Omero che dalla lunghezza considerata impossibile di entrambi i poemi, propose l’idea che l’Iliade e l’Odissea non fossero altro che canti separati cantati singolarmente dai rapsodi che sono stati messi insieme sotto Pisistrato (quindi nell’Atene del V secolo a.C. circa; in questo modo, interpretò una nota notizia antica): la loro unità verrebbe dunque dal filo conduttore della leggenda di cui i poemi narrano le vicende.

Infine, citiamo il grecista statunitense Milman Parry, che esaminò la natura orale dei poemi omerici prestando maggiore attenzione agli epiteti, ovvero delle formule ripetitive riscontrabili molto frequentemente in un testo, con rare modifiche: esempi possono essere «Achille piè veloce», o «Atena dagli occhi azzurri», come anche «Briseide guancia gentile» o «Troia dalle belle mura».
Gli epiteti aiutavano sia i rapsodi, per memorizzare poemi molto lunghi ed essere in grado di recitarli con pochissime variazioni, che chi li ascoltava cantare, in quanto, in una cultura in cui la scrittura non esiste, per conservare un’informazione nella propria memoria è essenziale ripeterla quanto più possibile.

Fonte immagine: Wikipedia

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